FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 6
aprile/giugno 2007

Scorie & Rifiuti

MICHELE GOVERNATORI
La città scomparsa

di Alessio Brandolini


La prima Alfa Romeo Giulia Super che si è vista a Tagliacozzo è stata quella di Gilberto Timone.
Aveva la vernice rosso cupo, i doppi fari tondi, lo scarico cromato e dietro la scritta "Super" vicino al bordo del baule. Per il paese verso le sette di sera si è sentito il rombo che veniva da Avezzano dove Timone aveva appena ritirato la Giulia dal rivenditore Alfa Romeo Pasquarelli.
Era l'ottobre 1966 e a Gilberto Timone di stare attento al rodaggio dell'auto nuova non gliene importava niente. Si vedeva da come guidava. Tirava le marce e faceva ruggire il motore e intanto trafficava col pomello della radio stereofonica che aveva fatto montare direttamente da Pasquarelli.
Del resto il rodaggio era la tipica cosa che interessava a quelli che avevano paura del domani, e invece un domani Gilberto Timone la macchina l'avrebbe di sicuro cambiata con qualche modello ancora più nuovo e più veloce, ne era convinto, e quindi tutte le magagne meccaniche sarebbero state un problema semmai per qualcun altro.


Inizia così, nel segno della velocità e del lusso, La città scomparsa (Barbera Editore, 2006), il nuovo romanzo di Michele Governatori (1972), nato a Mondavio (PU) ma che da diversi anni vive a Roma con moglie e figlia (alla quale il libro è dedicato). È il suo terzo lavoro nel giro di pochi anni; l'esordio risale al 2003 con Venere in topless (Fernandel), un romanzo a più voci, un po' vorticoso, seguito da Il paese delle cicogne (Foschi, 2004), una storia dal taglio più classico e piano: toccante avventura d'una difficile adozione in terra polacca.

La città scomparsa si mantiene nel solco della storia precedente e, ugualmente, prende avvio da una fatto realmente accaduto. Va subito detto che il romanzo è acuto e divertente, senz'altro il migliore dei tre fin qui pubblicati dall'autore, ed è per questo che si legge tutto d'un fiato: parte lentamente per poi accelerare verso il finale, con il precipitare degli eventi. Scritto in una prosa elegante e precisa, composta di frasi per lo più brevi.

Il protagonista è il giovane abruzzese Gilberto Timone che trovandosi a Roma per gli studi universitari - passati nel frattempo da biologia a lettere - mentre osserva la costruzione della sopraelevata ("la tangenziale"), con l'innalzamento dei grossi piloni, decide all'improvviso di gettare i libri dalla finestra (non solo metaforicamente) e di mettersi a lavorare, sì, di darsi da fare con la speranza d'inserirsi presto nel giro degli affari grossi. Magari in quelli della costruzioni di palazzi o altri simili progetti, sempre molto redditizi: Gilberto è ambizioso, vuole avere successo e si sente addosso una specie di formicolio.

Siamo nel pieno boom economico, allo scadere degli anni '60: c'è frenesia, cominciano a girare parecchi soldi, a sorgere spaventose periferie prive d'un piano regolatore, a sventrare centri storici e paesaggi. Auto sempre più veloci sostituiscono le vecchie utilitarie e c'è chi riesce ad arricchirsi in pochi anni e poi ostenta il proprio status sociale con l'auto potente, da parcheggiare ovviamente sempre in divieto di sosta.
Viene in mente Il sorpasso (1962), il capolavoro di Dino Risi con l'auto che viaggia sul filo costante dei 200 chilometri orari. Non solo per l'incipit sopra citato e l'importanza che hanno i motori per Gilberto Timone, ma per il taglio del libro che, come il film, è di critica sociale e di costume, ma sempre con eleganza, e talvolta con fine umorismo (penso alla scena del tassista in pensione che tortura Gilberto con i suoi "rumori di lingua" e con il bastone che aggancia gli oggetti sulla scrivania).

La città scomparsa narra in modo convincente del cosiddetto "miracolo economico", degli intrecci tra banche, politica e i "palazzinari". Con la descrizione di una classe affaristica maneggiona, spesso meschina e cinica. Con i suoi personaggi coraggiosi ma sostanzialmente ipocriti, grandi lavoratori ma anche privi di scrupoli, come il costruttore Malnati. Uomini che caratterizzarono l'Italia degli anni '60 (e ne accrebbero il benessere, nonostante tutto, per via dello sviluppo caotico e selvaggio), ma che devono aver seminato in profondità e tirato su degni eredi visto che i settori economici del nostro paese sono tutt'ora restii a darsi regole etiche o a rispettare controlli democratici e legali.

Gilberto torna al paese d'origine, Tagliacozzo, dopo la morte del padre e ne prende il posto come assicuratore. A Roma, dopo l'abbandono degli studi, ha fatto dei lavoretti, ma nulla d'importante, però ha capito che deve "darsi da fare di più", che "le cose succedevano solo se uno le faceva succedere", che "le cose famose all'inizio non sono niente, che all'inizio di tutti i progetti ci vuole qualcuno che ci mette un po' di coraggio".
Infatti nell'agenzia del padre, lui così attivo e con quel formicolio sempre addosso, ci resiste ben poco: non sopporta di starsene lì, tranquillo, a perdere tempo con i clienti, a guadagnare quel tanto sufficiente appena a vivere dignitosamente. Un giorno esce fuori di testa, nell'episodio tragicomico a cui accennavo prima, quello dello scontro con il tassista in pensione. Anche qui tira all'aria le carte assicurative (come aveva fatto con i libri) e smette di fare l'assicuratore: lui è un ardito, un uomo d'azione.
E ora, che fare?

A soccorrerlo ci sarà un'imprevista eredità della prozia Femide, che nel nipote Gilberto aveva visto "qualcosa che lo rendeva degno di appoggio". Ecco il colpo di fortuna che aspettava da tempo: ora finalmente ci sono i soldi per innescare il progetto, per fondare il "Consorzio Candora", ovvero la costruzione d'un villaggio nella piana sotto il monte Midia, lì dove i primi ecologisti, come l'introverso professore di greco Cipollone, detto Strega per via della svolazzante mantella che usa quando gira in moto, vorrebbero creare il parco dei Monti Simbruini.
Gilberto, e con lui i soci che troverà per realizzare il progetto, in mezzo ai quei boschi stupendi vuole farci una città candida (da qui Candora?) e ben funzionante, che darà soddisfazione a chi verrà a viverci e tanti soldi a chi ce li ha investiti, a chi ha avuto quell'idea coraggiosa. Una città "con le piste da sci e gli impianti e le case e gli alberghi e le villette dove adesso c'erano a dir molto quattro pastori". Un progetto che avrebbe fatto invidia a Cortina e i romani, pensa Gilberto, quando apriranno lo svincolo dell'autostrada per L'Aquila che passa lì sotto, accorreranno a frotte per comparsi ognuno la propria bella e quieta seconda casetta in mezzo al bosco.

In effetti, Candora verrà costruita in fretta e in furia proprio per non far bloccare il progetto, approvato dal sindaco Cerquetani di Tagliacozzo. In meno di due anni, ma con materiali scadenti, o inquinanti come l'eternit, il famigerato impasto di cemento e amianto che provoca il cancro ai polmoni (e all'epoca, più di qualcuno, già lo sapeva). I risultati disastrosi per via dell'uso di prodotti scadenti e cancerogeni usati per negligenza nella costruzione del villaggio, ma anche per risparmiare sui costi di produzione, cominceranno a farsi sentire ben presto, e in modo tragico su un bambino (vedi il brano riportato sotto). Ma in questa sede è meglio non aggiungere molto per lasciare al lettore il gusto di scoprire come prosegue il romanzo di Governatori e che fine farà Candora.

Il romanzo ha origine da un scempio ambientale degli anni '60 verificatosi al confine tra Abruzzo e Lazio e gli ettari di faggeta furono tagliati davvero e la città (ben presto fatiscente) fu costruita tra il 1968 e il 1971. Candora è un nome di fantasia ma di quella città sotto il monte Midia tutt'ora si vendono (o, meglio, si prova a vendere) appartamenti a prezzi stracciati.
Alla storia principale s'intrecciano altre vicende, che si possono definire meno importanti, eppure decisive per la struttura e l'armonia del romanzo, per il ritmo, per l'approfondimento delle vicende, dei luoghi (Tagliacozzo, Avezzano ecc.), dei personaggi, delle relazioni umane: la vita scolastica, la musica e il concerto di Battisti a Pescara, le amicizie, i rapporti di lavoro, la natura distrutta e i romani che escono dalle loro villette in pantofole, il solitario professor Cipollone che affronta la montagna in lunghe camminate, anche se nevica, e alla montagna si sente profondamente legato e fa di tutto per salvarla: se ogni cosa verrà stravolta non potrà fare più le sue camminate in quella zona che tanto ama, e quindi si preoccupa per sé, certo, ma pensa anche a chi verrà dopo di lui perché (lo afferma in un colloquio con il sindaco) se si fa "quella città di seconde case levando di mezzo i pascoli e i boschi (...) il territorio poi non lo recupera più nessuno". E, infine, la misteriosa Postfazione firmata S.B.

Nel romanzo si segue in modo preciso anche l'amore tra Gilberto e Simona, la figlia del sindaco di Tagliacozzo: i due non potrebbero essere più diversi eppure si amano, in un modo un po' folle, com'è normale che sia in amore, e si ha l'impressione che proprio la diversità possa far nascere un grande amore, come se questa unione, così strana e forte, possa completarli a vicenda. Una storia delicata che finisce in modo brusco per colpa del rozzo Gilberto (e di una amante dalle parti intime molto villose...), che tanto aveva lottato per attirare l'attenzione della bella e intelligente Simona: con il lungo corteggiamento fatto di poche frasi, ma bene orchestrate dal rombo della sua potente Alfa Romeo.

Il protagonista de La città scomparsa alla fine fa quasi tenerezza e le sue ambizioni, nel corso degli anni, si ridimensioneranno parecchio. Sembra un pugile suonato, ma ancora giovane, che ha combattuto con caparbietà, ma ha perso di brutto in incontri (a sua insaputa) truccati. Fa tenerezza anche per la sfortuna che lo perseguita: gli affari economici andranno sempre peggio, la ragazza (che lui ama ancora) lo lascia per sempre e senza rimpianti, soci e amici sono tutti andati via con i loro bei guadagni, persino l'Alfa Romeo Giulia Super, alla fine, sarà solo un rottame rumoroso.
Gilberto Timone, un uomo così attivo e coraggioso, lui che, dannunzianamente, voleva prendere a morsi la vita ed era l'unico a credere (ingenuamente, però fino in fondo e con "candore") nel progetto della città di Candora, a conservare un barlume d'idealismo e di primitiva purezza alla fine resta solo e sconfitto, anche se non molla del tutto, anche se seguita a stare sul ring e a tirare pugni a vuoto. Forse Gilberto non vince perché, al contrario degli altri soci, la costruzione del villaggio turistico (quello scempio ecologico) per lui non era soltanto una questione di soldi, di facile profitto, ma una sfida: con il mondo, con la vita. Quasi certamente anche con se stesso.

Michele Governatori, La città scomparsa, Barbera Editore, Collana Radio Londra, Siena 2006, pagg. 191, euro 16




Da La città scomparsa (cap. 18)


"Il bambino deve fare un esame ai polmoni" ha detto l'altro alla madre. Ma la madre lo guardava come qualcuno che non parla la sua stessa lingua, così lui ha preso direttamente un foglio per appunti e ci ha scarabocchiato qualcosa tra cui compariva il nome "Pater Spiritis".

È stato così che una settimana dopo Rota si è trovato davanti a un caso che avrebbe potuto rilanciare il suo legame troppo trascurato con l'università dell'Aquila dove aveva un posto da professore associato. Un caso di silicosi infantile come probabilmente non ne erano ancora stati descritti, benché da un po' un sacco di riviste e di convegni avessero cominciato a parlare dell'amianto e dei tumori che si sospettava gli fossero legati. Rota non ne sapeva quasi niente, aveva dato poco peso alla questione più che altro per mancanza di tempo, ma vista la moda recente forse aveva fatto male. E questo paziente ora lo poteva aiutare a rimettersi in pari e a dire la sua sull'argomento.

Peccato che fosse un ragazzino da mettere paura per quant'era brutto e per il modo di guardare con una tigna strana. In più, era impossibile farsi spiegare da lui qualcosa dei sintomi. Ma il suo polmone in compenso era incredibile. Qualcuno che non aveva lavorato in miniera e non aveva respirato polvere per almeno vent'anni non poteva avere un polmone così. La pleura era ispessita e irritata proprio nello stesso modo che secondo gli studi recenti potevano provocare le fibre di asbesto. Ma dove il bambinone avesse respirato l'asbesto era un mistero.

Invece di aiutarlo a capire cosa il figlio potesse aver respirato e dove, la madre si piazzava seduta con le mani sulle ginocchia e guardava Rota come una che porta un ex voto a una madonna di marmo. Venerava il "professore" come un essere miracoloso e questo non le permetteva di ascoltarlo o dargli spiegazioni.

Poi un giorno che Rota esaminava un'altra radiografia da nuove angolazioni e che il bambinone aveva una faccia più livida del solito e sembrava anche più scontroso soprattutto verso la madre, lei si è messa a raccontare quasi tra sé che l'aveva trovato il giorno prima a terra nella sua stanza in mezzo a delle specie di convulsioni dove lui si muoveva come se non riuscisse a respirare, e che si era poi accorta di un armadietto scostato dal muro e di un buco.

"Un buco nel muro?" ha chiesto Rota.

Un buco nel muro scavato con un cucchiaio e un coltellino. Il bambinone stava preparando una specie di sua fuga da Alcatraz. E a giudicare da quanto aveva già scavato doveva essere al lavoro da anni a togliere cucchiaiate dalla casa di Candora dove la madre lo costringeva a vivere per mesi di seguito. Aveva scoperto che il materiale con un po' di pazienza si sbriciolava in scaglie polverose. Probabilmente era stato il primo a scoprirlo, visto che Malnati aveva usato Candora per sperimentare nuove soluzioni costruttive e che si era poi però disinteressato di verificarne gli effetti nel tempo.

Nelle pareti di quella palazzina Malnati aveva provato un'emulsione di cemento e amianto che lì per lì sembrava funzionare bene.


INTERVISTA A MICHELE GOVERNATORI

Il tuo ultimo romanzo s'intitola La città scomparsa, ma in realtà, poi, quel villaggio turistico costruito in mezzo a un bosco, cioè Candora, la "Cortina dei romani", non scomparirà del tutto. Resteranno i ruderi, le macerie, i materiali inquinanti...

È vero. L'unica cosa che scompare, o meglio: che s'infrange definitivamente, è il sogno di successo Gilberto Timone. Ma gli errori, le brutture, non hanno effetti cancellabili.

Dopo Venere in topless (2003) e Il paese delle cicogne (2004) questo nuovo lavoro che parla di uno scempio realmente accaduto. Com'è nata l'idea de La città scomparsa? Candora è un nome di fantasia, sì, ma dietro c'è luogo vero. Puoi rivelarci qual è il suo nome?

Lo rivelo senza paura anche perché è stato già fatto il giorno prima dell'uscita del romanzo da un quotidiano abruzzese ("Cronache d'Abruzzo e del basso Molise") e la cosa per ora non ha comportato conseguenze negative. Il luogo si chiama Marsia, è sul gruppo dei monti Simbruini. Molti romani lo conoscono.
L'idea mi è venuta passandoci per caso. Anzi non per caso: andavo a vedere com'era l'appartamento che un annuncio immobiliare offriva a prezzo stracciato...

Restando in tema all'argomento di questo numero di "Fili d'aquilone", i costrutti di Candora usano materiali fortemente inquinanti come l'amianto: per negligenza, per costruire più in fretta i loro palazzi, per tagliare sui costi di produzione?

Certamente per spendere meno. Ma non con la consapevolezza della pericolosità dell'amianto. (Mi è stato fatto notare che la comunità scientifica negli anni Sessanta aveva già appurato il rischio da esposizione all'amianto, ma a ciò non sono seguite purtroppo norme immediate che mettessero al bando l'uso di questo materiale).

La lingua usata ne La città scomparsa mi è sembrata vicina a quella de Il paese delle cicogne: frasi brevi, ben tornite e raffinate. A volte mi ha fatto venire in mente la prosa di Claudio Piersanti. Che scelte hai operato dal punto di vista linguistico?

Intanto grazie per il paragone decisamente lusinghiero. Quando ho "progettato" la lingua del romanzo e fatto le prime prove di stesura avevo in mente una voce non pomposamente letteraria, immediata, sintetica e possibilmente accurata. Su questo ho cercato di lavorare sia in fase di prima stesura sia in quella (lunga) di limatura.

Gilberto Timone alla fine, nonostante i gravi errori, fa quasi tenerezza. Appare come un eroe negativo, certo, eppure con del coraggio, la voglia di fare, di vivere fino in fondo la sua vita, di fare delle scelte pur avendo ridimensionato le proprie aspettative. Puoi dirci qualcosa in più sul protagonista di questa storia?

Fa tenerezza anche a me, e lo rispetto perché temo che alcuni caratteri che in lui sono così evidenti (l'approccio velleitario ai progetti, la mancanza di senso della realtà, l'intima solitudine pur abbinata a un carattere aperto) siano in realtà molto comuni.

Nel romanzo i rapporti umani sono molto freddi, a volte cinici, come quelli tra Gilberto e i soci del consorzio Candora, ma anche quello con la mamma (dopo la morte del padre e il ritorno a Tagilacozzo) è alquanto distaccato. Solo la storia d'amore tra lo stesso Gilberto e Simona appare autentica, davvero bella, eppure alla fine la cosa non regge. L'inquinamento ambientale viaggia parallelamente a quello sociale? Il boom economico degli anni '60 ha mutato profondamente i rapporti sociali nel nostro paese?

Non sono in grado di fare confronti storici, ma di primo acchito non mi sembra prudente vedere nel tempo contemporaneo una fase socialmente o moralmente degenerata. (Anche perché immagino che questa sia una tentazione comune: credersi all'inizio di una stagione di maggior degrado o di decadenza). Il fatto è che secondo me le persone sono naturalmente individualiste. E la capacità da parte delle sovrastrutture sociali di correggere gli effetti di questo individualismo può essere incostante e diversa da periodo a periodo, ma non credo sia peggiore oggi rispetto a ieri. Oggi, per esempio, abbiamo almeno in parte una coscienza ambientalista che anche solo vent'anni fa non esisteva. Quindi, forse, quel "boom", insieme alle rovine, ha lasciato anche qualche seme per una sorta di ravvedimento o di ritorno (tardivo?) alla responsabilità.

Un'ultima domanda che ci riporta all'inizio del tuo romanzo: "La prima Alfa Romeo Giulia Super che si è vista a Tagliacozzo è stata quella di Gilberto Timone". La velocità e lo sfarzo? E nel tuo romanzo torni spesso su questo aspetto e alla fine l'auto segue il destino di Gilberto, ridotta un relitto...

La velocità, certo. L'illusione che essendo dirompenti e coraggiosi si possano piegare le proprie sorti. Un'illusione inconsistente e caduca quanto la lucentezza di una carrozzeria...

 

alexbrando@libero.it