FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

MINDFIELD - CAMPO MENTALE
La poesia di Gregory Corso

di Alessio Brandolini



Gregory Corso (vero nome Gregorio Nunzio Corso) è uno dei più grandi poeti del secondo Novecento. Senz'altro meritoria, quindi, la pubblicazione in Italia dell'antologia Mindfield, voluta e curata dallo stesso Corso nel 1989, con l'aiuto degli amici librai Roger e Irvyne Richards, che tra l'altro lo ospitavano in quegli anni nella loro casa a New York. L'antologia è uscita qualche mese fa per la casa editrice romana Newton Compton, cura e traduzione di Massimo Bacigalupo, con il titolo Poesie e il sottotitolo "Mindfield - Campo mentale". Il libro propone l'edizione integrale con testo originale a fronte e vari disegni dell'autore; ne è venuto fuori un bel volume che oltrepassa le 500 pagine ed è giusto che sia così: questa è la casa - lui che non ne ebbe mai una definitiva o duratura - di Gregory Corso, la sua autobiografia esistenziale e poetica. Molto interessanti sono poi le introduzioni-testimonianze degli amici scrittori Burroughs e Ginsberg, riprese dall'edizione inglese, oltre a quella di Bacigalupo, alla quale segue una fitta e utile "Nota biografica" e note che aiutano a scoprire le citazioni e i riferimenti dei testi poetici. Un'antologia, quindi, che risulta indispensabile a chi voglia conoscere o approfondire la poesia di Corso. Libro prezioso, eppure al modico costo di sei euro. Una cosa insolita nel panorama editoriale italiano, soprattutto di quello che si occupa di poesia, e che quindi sorprende positivamente: un libro così ben fatto e curato, a un prezzo tanto accessibile, vuole essere ed è un concreto invito alla poesia. Di sicuro avrebbe fatto piacere a un poeta come Corso, che in carcere s'innamorò della poesia e poi la portò con sé per tutta la vita:

a volte anche l'inferno è un buon posto, se serve a dimostrare con la sua esistenza che deve esistere anche il suo contrario, cioè il paradiso. E cos'è questo paradiso? La poesia.

Poeta della "beat generation", battuto e beato, o, meglio, bastonato e illuminato. Nella poesia di Corso la sensibilità alla sofferenza (personale, ma anche quella altrui), l'estraniamento, la deriva, la polemica contro ogni convenzione sociale, si accompagnano sempre a toni originali di nostalgia o di esaltazione creativa, di ironia e autoironia. Il dolore non diventa mai autocommiserazione ma, al contrario, può trasformasi in capriola filosofica che tutto ribalta, o in guizzo clownesco, risata liberatoria, impennata d'orgoglio per la propria libertà personale e artistica.
In lui il rifiuto di ogni regola sottintende sempre la totale accettazione di un'unica, semplice regola: essere poeta fino in fondo e senza compromessi.
Allora più che un poeta della "beat generation" Gregory Corso è la "beat generation" stessa. Il primo a riconoscerlo fu il più fortunato (poeticamente ed economicamente) Allen Ginsberg che chiude la citata introduzione ricordando l'amico poeta come "un solitario, ridicolmente ignorato dai patri allori, divino Poeta Maledetto".

Gregory Corso nasce a New York il 26 marzo 1930 da genitori adolescenti di origine italiana. La madre, appena sedicenne, dopo il parto si separa dal marito e torna in Italia dalla sua famiglia. Ha un'infanzia dura e randagia, trascorsa in povertà e divisa tra la strada, tentativi di adozione, orfanotrofi e, più tardi, riformatori e prigioni. A 11 anni il padre si risposa e riprende il figlio con sé ma, come scrive il poeta, "tutto andò storto perché due anni dopo scappai". Nel 1947 viene condannato a tre anni di carcere per aver partecipato a una rapina. Li trascorre nella prigione di Clinton ("salvai la mia verginità lottando") e, anche se aveva fatto solo le scuole elementari, seguita a leggere avidamente e di tutto (anche volumi di retorica e dizionari) e qui inizia a scrivere i primi versi.
Quando a vent'anni esce di prigione si considera "colto e innamorato di Chatterton, Marlowe e Shelley".

Nel 1950 torna a vivere a New York, dove casualmente incontra in un bar del Greenwich Village il poeta Allen Ginsberg che, colpito dai suoi testi e dal suo fervore poetico, lo presenta ai suoi amici e poi lo aiuta a trovare un editore per l'uscita della sua prima raccolta poetica: The Vestal Lady Brattle and other poems (1955, La vestale di Brattle), con testi dedicati alla memoria del musicista "Bird" Parker e al poeta Dylan Thomas, sregolato come Corso e morto a New York nel 1953. I due poeti rimarranno amici per sempre e Ginsberg risolverà non poche situazioni di difficoltà economiche costantemente attraversate dall'amico Gregory.
Nel 1958 Corso pubblica una seconda e più ampia raccolta, Gasoline (Benzina), ottavo volume della serie "City Lights Pocket Poets", curata da Lawrence Ferlinghetti. Molti i testi surreali e ironici come "Non sparate sul facocero" o biografici (v. "Capriccio italiano", "Ritorno alla casa natale", "Ho 25 anni"). Abbastanza in linea con le poesie della precedente raccolta, tanto che il lavoro verrà poi riproposto nel 1976, aggiungendovi i testi del suo primo libro.

Sempre nel 1958 scrive a Parigi e poi diffonde la famosa poesia "Bomba", redatta in forma di fungo nucleare, un po' per provocazione (come era nel suo stile) un po' per reagire agli eccessi degli antinuclearisti. La poesia suscita molte polemiche e vari tipi di accuse, ma in realtà essa è un'elegia dai toni ironici e corrosivi, talvolta comici ("Povera piccola Bomba che non sarai mai / una canzone eschimese Io ti amo / Voglio mettere un leccalecca / nella tua bocca forcuta / Una parrucca da Ricciolidoro sulla tua zucca pelata / e farti saltellare con me alla Hänsel e Gretel / attraverso lo schermo hollywoodiano"), contro ogni tipo di violenza quotidiana inflitta all'uomo (spesso non vista o trascurata da chi si occupa - e giustamente si preoccupa - della proliferazione nucleare), contro il fanatismo e la paura, contro l'aggressività del pensiero e, quindi, intimamente pacifista.

Nel 1960 Corso dà alle stampe la raccolta The Happy Birthday of Death (Il buon compleanno della morte), il libro più ampiamente antologizzato in Mindfield, che contiene testi famosi, paradossali e lunghi ("Bomba", "Matrimonio", "Capelli", "Esercito", "Pagliaccio", "Potere"; quest'ultima è dedicata all'amico Allen Ginsberg ed è, come in Corso capita spesso, un'esaltazione della poesia e della vita); del 1962 è Long Live Man (Lunga vita all'uomo), quarta raccolta poetica e anche questa, come la precedente, pubblicata dalla casa editrice New Directions.

Lunga vita all'uomo, è dedicato al padre Sam Corso e il poeta lo considera "il preludio alla mia nuova franchezza". Di sicuro è un lavoro più equilibrato e meditavo dei precedenti, con testi molto belli come "Uomo", "Amici", "Stelle" (che sono "Fossili vivi incastonati nella notte"), "Notte attiva", "Scritto alla vigilia del mio 32mo compleanno" ("32 anni; vista tutta l'Europa, incontrate persone a milioni; / sono stato grande per alcuni, tremendo per altri. (...) 32 anni e quattro duri veri buffi tristi brutti stupendi libri di poesia / - il mondo mi deve un milione di dollari. / Penso di aver vissuto 32 anni piuttosto strambi"), "Una gara di suoni" e "Pensieri europei - 1959":

    Se non c'è mai stata una casa dove andare
    c'è sempre stata una casa dove non andare
    Ricordo bene come bambino scappato
    dormivo nella sotterranea
    e si fermava sempre
    alla stazione della casa da cui scappavo
    Era il dolore più amaro ah lo era
    (...)

Poco più che trentenne Gregory Corso è conosciuto come poeta eversivo e sperimentale: ha pubblicato quattro importanti e originali lavori poetici, ha partecipato ai famosi e affollati "poetry reading" di San Francisco, in locali e in aule universitarie, in cui affascina gli spettatori con la sua forza umana e poetica. È il più giovane dei quattro padri della "beat generation", nata a New York intorno al 1950, che come modello di vita sostiene la libertà da ogni vincolo sociale e il nomadismo, il rifiuto del conformismo e dell'opulenza americana, dell'assillo del denaro e del successo, la ricerca di nuove dimensioni di conoscenza attraverso il viaggio, la trasgressione, l'eros, l'uso di sostanze stupefacenti.
Gli altri tre ribelli del gruppo sono William S. Burroughs (1914-1997), che nel 1959 pubblica a Parigi il romanzo Il pasto nudo, poi proposto nel 1962 negli Stati Uniti e qui messo sotto processo per oscenità, Jack Kerouac (1922-1969), che nel 1957 dà alle stampe il famoso rotolo-romanzo Sulla strada, che presto si trasforma in una sorta di bibbia moderna per la generazione "beat" e, più tardi, per quella dei "figli dei fiori", e il poeta Allen Ginsberg (1926-1997), che nel 1956 pubblica Urlo, manifesto di una nuova poesia visionaria, eppure nutrita d'immagini urbane e carnali.

Durante i primi anni '60 i testi di Corso iniziano a essere tradotti e a farsi apprezzare anche all'estero. In Italia nel 1964 esce l'antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli), a cura di Fernanda Pivano, che comprende "Bomba" e altre poesie di Corso. "Bomba" verrà poi letta da Vittorio Gassman nel film di Zampa La contestazione generale (1969), lettura poi riproposta nel disco Poeti americani d'oggi (Fonit, 1972). La raccolta Benzina viene tradotta da Gianni Menarini e pubblicata da Guanda nel 1969.

Dopo le prime quattro raccolte, uscite nel giro di soli sette anni, Corso dirada molto le sue pubblicazioni ("anche negli ultimi tempi la mia produzione è stata / scarsa e casuale, / è la vita che fa la poesia / non la poesia che fa la vita", in "Lettura di poesia a Columbia University - 1975"). Soltanto nel 1970 darà alle stampe la sua quinta e ambiziosa raccolta Elegiac Feelings American (Elegiaci sentimenti americani), che si apre con l'omonimo lungo testo dedicato all'amico Jack Kerouac, morto l'anno prima:

    Quanto inseparabile tu e l'America che vedevi eppure
                        non era mai lì da vedere; tu e l'America
                        come l'albero e la terra, siete la stessa cosa; eppure quanto
                        simile a una palma nello stato dell'Oregon... morta
                        prima di fiorire, come un orso polare che trotti sul
                        Miami -
    Quanto così ciò che eri o speravi di essere,
                        e l'America no, l'America che vedevi eppure
                        non potevi vedere.
    Così simile eppure dissimile dalla terra da cui nascesti;
                        eri piantato sull'America come un albero
                        senza radici dal fondo piatto (...)

con testi quasi epici, sempre spiazzanti, imprevedibili (v. "Requiem spontaneo per l'indiano metropolitano" e quello sull'assassinio del presidente Kennedy) e provocatori (v. "Dio è un masturbatore"), caratterizzati da una musicalità barocca (Milton), da una voce poetica debordante (Whitman), dove il poeta-profeta esprime il suo amore-odio per gli Stati Uniti d'America (v. "Historia politica d'America, in spontaneità" e, soprattutto, "La Via Americana" : "Ve lo dico io la Via Americana è un mostro orribile / che mangia Cristo (...) / Non c'è modo di uscire dalla Via / L'unica via d'uscita è la morte della Via / E cosa ucciderà la Via se non una coscienza nuova / Qualcosa di grande e nuovo e magnifico deve succedere / per liberare l'uomo da questa bestia").

Nel 1981, sempre per la casa editrice New Directions, pubblica dopo undici anni la sua sesta e ultima raccolta poetica Herald of the Autochthonic Spirit (Nunzio dello spirito autoctonio), dai toni retrospettivi, a volte autobiografici (Nunzio Gregorio era il suo nome di battesimo - v. "Primissima memoria", "Esperienze religiose giovanili", "Sentimenti mentre invecchio") o strutturati come brevi racconti poetici (v. "Come non morire", "Ho dato via...", "Nascita galattica", e la stupenda "Tutta la baracca... o quasi"), o dedicati alla poesia, ai suoi amati poeti (v. "Per Omero", "Caro Villon": "Villon, quanto fraterne le nostre somiglianze...", "Arrivare a una poesia": "Io vivrò / e non saprò mai la mia morte"), o alla riflessione spirituale che non sfocia mai nel misticismo, nell' astrattezza (v. "Spirito", poesia poi voluta sulla propria lapide).

Nel 1989 esce l'antologia tradotta nel volume della Newton Compton: Mindfield: New and Selected Poems (nuova edizione 1998), che contiene un'ampia selezione dalle sei raccolte pubblicate da Corso dal 1955 al 1981, con l'aggiunta di una corposa sezione di "Poesie inedite".
Immergersi nella lettura di questo denso volume significa entrare nel vasto mondo poetico di Gregory Corso, pieno di riferimenti colti e popolari. Con il trascorre degli anni il poeta tesse un fitto universo di richiami, di luoghi, di passioni, di voci, di plurimi registri espressivi talvolta in confitto. Ci si trova in una strada di New York e subito dopo nell'Antico Egitto, in Grecia e nel Medio Evo, nel centro di Roma o in quello di Parigi, in una grotta calabrese (da dove proveniva il padre) e in pieno Rinascimento fiorentino. Si entra in un obitorio o in un celebre quadro di Paolo Uccello, di Giotto, di Botticelli.

La condizione dell'artista contemporaneo è marginale, insignificante, eppure il poeta non abbandona il campo, lotta fino alla fine e lo fa con passione e orgoglio, persino con gioia. Non si adatta all'orrore della condizione umana, alla frenesia delle città moderne, all'uomo-macchina che agisce in modo automatico. Il poeta ribelle non si adegua nemmeno alla poesia aristocratica e accademica: nel mondo e nei conflitti moderni cerca la propria strada. Non mira alla perfezione ma all'autenticità, dove la bellezza è carne che pulsa e sangue che circola veloce.
I versi di Corso sono fulminei, spesso melodiosamente violenti, privi sia di sentimentalismi che di eccessi intellettualistici e solo nelle ultime composizioni, talvolta, viene fuori un pizzico di autocompiacimento, di ironico autocitazionismo ("Sono solo un orfanello invecchiato / Non ho papà, né mamma, né denti, né casa").

Una poesia "minata" (e Bacigalupo sottolinea nell'introduzione che "mindfield" per assonanza rimanda a "minefield", cioè "campo minato"), spesso esplosiva e vibrante, come se fosse costruita intrecciando e tirando dei fili di ferro, che sa essere colta e possente eppure mai "accademica", d'ufficio, vacua e artificiosa. Piena di sarcasmo e stupore, di venature comiche e scanzonate, di colpi bassi e fendenti, di ritmo jazzistico e di un primitivo flusso vitale perennemente in movimento.
E questo anche se poi la morte, fin dall'inizio - fin dalla prima poesia pubblicata in La Vestale di Brattle, "Suicidio a Greenwich Village" - è, e resterà fino alla fine, una costante presenza, un'ossessione, che non è corteggiamento ma sfida: la morte non esiste è solo "una favola messa in giro dalla vita..." o, come in "Finestra" (tra gli inediti): "disprezzo la morte / posso provare sentimento solo per i vivi".

Leggendo e lasciandosi trasportare dalle audaci correnti poetiche si entra nel vasto "campo mentale" di Corso, lo si esplora con attenzione perché nuovo e mutevole, autentico e sofferto. Quella zona sconvolta, irta di cocci e sorprese, che trova un diretto collegamento con il lungo e commovente "Rapporto di campo" scritto a Roma ("Ho sostato in Piazza Colonna / (nome di mia madre da ragazza) / su Via del Corso / (nome di mia madre da sposata) / Questo vi dice qualcosa?" (...) "io a Roma in tutto il mio fulgore"), testo di congedo dalla raccolta antologica e, insieme, dalla (sua) Poesia e dalla Vita: "Sì, è vero, stiamo partendo / è sempre ora di partire".
"Campo" in senso agricolo, ma anche militare, dove si sparano "pallottole poetiche". Non a caso il disegno di Corso che chiude la poesia (e quindi tutto il libro) raffigura proprio una feroce battaglia tra antichi guerrieri, con un cielo fitto di frecce che piovono sugli elmi e parole (per esempio "flash", "spleen"...) che s'intrecciano e formano nuvole d'inchiostro. Testo e disegno rimandano alla bella poesia "Paolo Uccello", scritta trent'anni prima e contenuta nel libro Benzina (1958); l'universo poetico di Corso con gli anni si addolcisce e adotta un linguaggio più colloquiale e accessibile, si fa più lirico e morbido come se i fili tesi dei suoi versi, ai quali ho fatto cenno, si allentassero, eppure rimane molto fedele a se stesso. Supera i toni apocalittici e maledetti delle prime raccolte per picchiare la testa sul cuore e dire l'essenziale, con laica introspezione, ma non diserta il suo "campo" di battaglia, quello della poesia, del pensiero e della vita:

    Mio figlio nei miei sogni sembra me
    la piccola stanza senza balia
    l'ombra veloce
    la piccola testa innocente sicura sotto il lenzuolo
    Sono un padre lontano dai suoi figli
    ma come dice Hölderlin io sono più vicino a dio
    lontano da Lui...

    STOP

    1989-90

        (da "Rapporto di campo")

Pur non avendo mai avuto un lavoro stabile, pur essendo alcolista e tossicodipendente dall'inizio degli anni '60, Gregory Corso viaggiò molto (Sud America, Africa, Messico...) e visse a lungo in Europa: in Francia, in Germania, in Spagna, in Inghilterra, in Grecia, in Italia. Trascorse quasi un decennio della sua vita (1957-1966) a Parigi, spesso all'Hotel Rachou, detto "Beat Hotel", del Quartiere Latino. Hotel in cui abitualmente risiedevano gli scrittori americani della "beat generation" come Ginsberg, Peter Orlovsky e Burroughs.
Negli anni tra il 1970 e il 1980 fu spesso di nuovo in Europa. Nel 1975 è a Parigi dove si sposa e nasce il figlio Max (in tutto si sposò cinque volte e da ciascuna delle mogli ebbe un figlio). Risiede anche in Italia, ospite della Pivano a Milano (conosciuta nel 1960), e soprattutto a Roma, dove la sera si ubriaca nei bar e nelle vinoteche di Campo de' Fiori e via del Governo Vecchio. Nel 1976 Guanda gli dedica un denso volume di Poesie, a cura di Gianni Menarini. Nel 1979 partecipa con Ginsberg al Festival dei Poeti di Castelporziano, sul litorale romano. Negli anni '80 tiene molte letture in tutta Italia, dove viene ormai considerato il rappresentante della poesia americana "beat".

Nel 1997 muoiono altri due padri della "beat generation", Ginsberg e Burroughs. Nel 2000 Corso è operato a New York per un tumore alla prostata, l'11 gennaio del 2001 muore a Robbinsdale, presso Minneapolis. Il 5 maggio dello stesso anno le ceneri di Gregory Corso vengono trasportate in Italia e sepolte, per sua espressa volontà, nel Cimitero acattolico del Testaccio, sotto l'ombra della piramide Cestia, accanto ai suoi amati poeti inglesi Keats e Shelley.
Sulla sua lapide sono incisi i versi della poesia "Spirito":

Spirito
è Vita
Scorre attraverso
la mia morte
incessantemente
come un fiume
che non ha paura
di diventare
mare


Gregory Corso, Poesie (Mindfield - Campo Mentale), cura e traduzione di Massimo Bacigalupo, Newton Compton editori, Collana Grandi Tascabili Economici n. 548, Roma, 2007, pagg. 526, euro 6,00




    OPERE DI GREGORY CORSO
1955 The Vestal Lady on Brattle (La vestale di Brattle)
1958 Gasoline (Benzina, con introduzione di Allen Ginsberg)
1960 The Happy Birthday of Death (Il buon compleanno della morte)
1961 The American Express (il suo unico romanzo)
1962 Long Live Man (Lunga vita all'uomo)
1960 Elegiac Feelings American (Elegiaci sentimenti americani)
1981 Herald of the Autochtonic Spirit (Nunzio dello spirito autoctonio)
1989 Mindfield: New and Selected Poems (Campo mentale - antologia, con introduzione di Allen Ginsberg e William S. Burroughs - nuova edizione nel 1998)




DIECI POESIE DI GREGORY CORSO
da Poesie (Mindfield - Campo Mentale)
(traduzione di Massimo Bacigalupo)



SUICIDIO A GREENWICH VILLAGE

Braccia spalancate
mani schiacciate sugli stipiti della finestra
Lei guarda giù
Pensa a Bartok, Van Gogh
E alle vignette del New Yorker
Cade

La portano via con un Daily News sulla faccia
E un negoziante getta acqua calda sul marciapiede


NELLA MANO FUGGEVOLE DEL TEMPO

Sui gradini del manicomio luminoso
odo la campana barbuta battere per il prato di bosco
l'estremo rintocco del mio mondo
salgo ed entro in una infuocata assemblea di cavalieri
questi ignari della mia presenza espongono piani di pergamena
e con dita inguainate fanno risalire il mio arrivo
su su fino a quando stavo sui neri gradini di Roma Nerone con la cetra
nelle mie braccia il filosofo lamentoso
l'estremo singulto della storia folle
Ora la mia presenza è nota
il mio arrivo segnato da macchie miniate
Le grandi vetrate del Paradiso si aprono
In polvere radiosa si disfano le tende del Passato
Arrivano in volo stormi di uccelli multicolori
Ali lievi lucenti oh la meraviglia della luce
Il Tempo mi prende per mano
nato il 26 marzo 1930 sono sospinto a 100 all'ora sul vasto mercato della scelta
cosa scegliere? cosa scegliere?
Oh - - - e lascio la mia camera arancione del mito
nessuna possibilità di mettere sotto chiave i miei giocattoli di Zeus
Scelgo la camera di Bleecker Street
Una madre bambina mi ingozza con un pallido seno milanese
Poppo mi divincolo grido oh madre olimpia
strano questo seno per me
Nevi
Decennio di asfalto ghiacciato cavalli condannati
Sogni deboli   Corridoi scuri della Scuola Pubblica 42   Tetti   Piccioni con colli di topo
Sospinto a 100 all'ora per queste strade mafiose fin troppo reali
profondamente depongo le mie ali d'Ermes

Oh Tempo sii misericordioso
gettami sotto la tua umanità di automobili
dammi in pasto a giganteschi grattacieli grigi
riversa il mio cuore nei tuoi ponti
io rinuncio alla mia lira d'orfica futilità

E per tale tradimento salgo questi luminosi pazzi gradini
ed entro in questa stanza di luce paradisiaca
effimero
Il tempo
un cane lungo lunghissimo dopo aver rincorso la sua coda orbitante
viene ad afferrarmi la mano
e mi guida nella vita condizionale


NON SPARATE SUL FACOCERO

Venne da me un bambino
dondolando un oceano su un bastone.
Mi disse che sua sorella era morta,
io gli tirai giù i calzoni
e gli diedi un calcio.
Lo rincorsi lungo le strade
lungo la notte della mia generazione
urlai il suo nome, il suo nome maledetto,
lungo le strade della mia generazione
e bambini saltarono di gioia a quel nome
e corsero da me in processione.
Madri e padri chinarono la testa per sentire;
io urlai il nome.

Il bambino tremò, cadde,
e si rialzò barcollando,
io urlai il suo nome!
E una furia di madri e padri
gli affondarono i denti nel cervello.
Invocai gli angeli della mia generazione
sui tetti, nei vicoli,
sotto l'immondizia e le pietre,
io urlai il nome! e corsero da me in processione
e rosicchiarono le ossa del bambino.
Io urlai il nome: Bellezza
Bellezza   Bellezza   Bellezza


HO 25 ANNI

Con un amore un delirio per Shelley
Chatterton   Rimbaud
e l'affamato guaito della mia gioventù
          si è propagato da orecchio a orecchio:
     IO ODIO I VECCHI SIGNORPOETI!
Specialmente i vecchi signorpoeti che ritrattano
che consultano altri vecchi signorpoeti
che esprimono la loro gioventù in bisbigli,
dicendo: - Queste cose le ho fatte allora
          ma è acqua passata
          è acqua passata -
Oh vorrei tranquillizzare i vecchi
dirgli: - Sono vostro amico
               ciò che eravate una volta, grazie a me
               lo sarete ancora -
Poi di notte nella sicurezza delle loro case
strappare le loro lingue apologetiche
          e rubare le loro poesie.


CIAO

È disastroso essere un cervo ferito.
Sono il più ferito, lupi incalzano,
e ho anche i miei difetti.
La mia carne è artigliata dall'Inevitabile Uncino!
Da bambino vedevo molte cose che non volevo essere.
Sono la persona che non volevo essere?
La persona-che-parla-da-sola?
La persona-presa-in-giro-dai-vicini?
Sono colui che, sui gradini di un museo, dorme coricato sul fianco?
Porto l'abito di un fallito?
Sono lo svitato?
Nella grandiosa serenata delle cose
          sono il brano più cancellato?


SUL PONTE NEUF

Mi lascio il paradiso alle spalle
il mio paradiso interamente sperperato
Ciò che muore muore in bellezza
Ciò che muore in bellezza muore in me -
Solo in questa cella monastica
Passo monete di mano in mano -
Con il cancello sbagliato aperto
Tengo un occhio diabolico sulla Montagna Rossa
- È una sera calda
spiove da mezzogiorno
Stasera piango che non c'è amorevolezza
Niente amore! - Niente amore e amore!
Grida di amore! Grida di disamore!
Bestemmie dei disamorati!
Armonie degli amati!
Vorrei una corda intorno al collo
Una fredda scossa di musica -
Oh che idiozia rang-a-tang, ora insensata e bagnata,
     sotto uno dei cavalli degli uomini illustri di Francia
           sto mettendo a fuoco?


PENSIERI EUROPEI - 1959

Se non c'è mai stata una casa dove andare
c'è sempre stata una casa dove non andare
Ricordo bene come bambino scappato
dormivo nella sotterranea
e si fermava sempre
alla stazione della casa da cui scappavo
Era il dolore più amaro ah lo era

Come sarebbe se io
corressi da ogni uomo che incontro
e con un gran sorriso felice dicessi:
"Non è tutto magnifico?!"
O corressi in un ristorante affollato e gridassi:
"Bon appétit!"

Quando le donne di Germania alla fine della guerra
sostavano fra le macerie chiedendosi dei loro uomini
e i vecchi cercavano nel pietrisco le loro case
non videro la svastica delle molte gambe
sgusciare come una blatta sotto le macerie
incinta di pace?
Sembra che ai bambini tedeschi non fu risparmiato
quindici anni dopo, cioè oggi,
il dolore di quelle macerie.
Ci sono altre cose scritte sui muri
Può Merde offendere più che  
E scritte come U S GO HOME
ALGERIA FRANCESE o RICORDA L'UNGHERIA
sono davvero peggio di MERDE?
E La Grecia era un Paese stupendo
ma naturalmente io non ero stupendo in quel Paese
perché l'uomo è costretto a soffrire in un posto felice
quando è stato felice fin troppo felice
in un posto insopportabile.


NOTTE ATTIVA

Un tarsio accusa la fine di un acquazzone epico
Scarabei becchini trasportano pesantemente un ratto morto
Una falena, nata da pochi secondi, rotola giù da una felce.
Pipistrelli stanno bevendo fiori
Il tapiro solitario perlustra il letto del fiume
E salta fuori un lamantino con un anemone di mare
         sul naso


UNA GARA DI SUONI

Suoni stanno disputando una gara la corsa la scalata la nuotata
         la maratona
E voci guadagnano terreno e diventano boati e subito alle spalle
         porte sbattute e tonfi di conigli
E si fa strada sul rettilineo l'ululato di fantasmi
Lo squittio di uccelli e ora le voci sono testa a testa
Con la scalata di rampicanti e l'incedere di pinguini
Il nuoto dei pesci è terzo e sulla curva interna si fanno sotto tuono
         e bombe e sul fondo urto di bare
         la caduta di tronchi e l'ondeggiare di palme
Voci conducono conducono sorgono e respirano
         parlano e cantano tutte nella volata ma ecco ecco
Dal nulla il miagolio di gatti la masticatura di carote
Una scarpa scricchiolante contende il primo posto ah che gara!
Ecco sopraggiungere il cadere di uno spillo il gracchio di un pappagallo
Lo schianto del vetro il grattarsi un prurito
La folla impazzisce! Urla scalcia salta
è tanto pazza che vince la gara


da RAPPORTO DI CAMPO

La notte muore nell'alba
come un gigantesco sbadiglio
Sono fuori sul campo
a fare rapporto
A chi faccio rapporto, volete saperlo?
Gli uccelli non sono spie?
Fanno rapporto agli alberi;
gli alberi fanno rapporto al vento
e il vento fa rapporto a tutti -
Ma è sempre lo stesso messaggio
Da ciò questo rapporto...
Rompe la monotonia
Io vedo lo stesso che vedono gli uccelli
Solo trasmettiamo diversamente
Comunque sono fuori sul campo
e dovreste che non è uno scherzo
- sopra fioccano pallottole
non sono vere, sono pallottole poetiche
È la musa, chi altro?
là fuori sulla banchina di tiro
Ha con sé Pegaso
Lui avverte tutti a TESTA GIÙ
Io urlo TU VOLA E VAFFANCÙ
Lei ride
Sapevo che l'avrei fatta ridere
No, non è per niente facile
specialmente quando devo combattere
con la mia particolare visione del mondo

Oh dio! ecco che passa Kelly
voi non lo conoscete
io sì e lui deve morire
non è più una pancia da Buddha
sono suppergiù quaranta litri d'acqua
che porta in giro come una gravidanza
Ecco sul colle Capitan Bill che è
...un'ombra di me
Fra due settimane sarà morto anche lui
È duro
parlare sinceramente a Dio
dire quel che senti davvero
senza scoppiare a ridere
(...)

Ho sostato in Piazza Colonna
(nome di mia madre da ragazza)
su Via del Corso
(nome di mia madre da sposata)
Questo vi dice qualcosa?
Se Gregory non sono me
allora perché tutta questa bella gioventù
si sbraccia per me?
Un cerchio è vuoto
come molto tempo fa in boccio
Pace! Possa la mia bomba far cilecca
Pace! Oh mondo tieniti la tua belletta
(...)

Tremore! Abbandono!
dannate stanze ammobiliate!
Prigioni! dannato
andar su e giù, su e giù
dannate eternità di muri che si fronteggiano
ore e poi ore, e io
che non sono mai stato sulla luna
- mettetemi al muro!
ma io sono indispensabile senza di me -
Quando sei un orfano hai bisogno di te
Avendo raggiunto la paternità
ho ottenuto il diploma all'orfanità -
Consegno il mio rapporto: (così per ridere)
Non ci sono collegamenti misteriosi
né atteggiamenti frivoli
né lassismi alla moda
abbasso i giorni di morte predeterminati
ah, questo trattato queste ore
io a Roma in tutto il mio fulgore -
sì questa leggerezza brevità frivolezza
così liberi e comodi, cavalcata di buon umore!

(...)

STOP

1989-90



Disegno di Corso che chiude "Rapporto di campo"


alexbrando@libero.it