FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 67
luglio 2024

Primavera

 

CON GLI OCCHI DI UN ALTRO

testi poetici di Giancarlo Cavallo
foto di Gaetano Paraggio



Con gli occhi di un altro è stato ispirato da un denso lavoro fotografico di Gaetano Paraggio condotto nel territorio della provincia di Matera tra il 2015 e il 2018, da cui sono tratte le sei foto qui riprodotte (tra le quali figurano la Tricarico di Scotellaro e la Tursi di Albino Pierro). Il testo poetico, evitando la mera funzione didascalica, intona una sorta di controcanto in cui alla dolente, straniante “oggettività” delle fotografie si aggiunge la voce profonda degli assenti. [NdR]


        I
        (Tricarico)

        Senti le nostre donne
        il silenzio che fanno.


        ROCCO SCOTELLARO
        Una dichiarazione d’amore a una straniera (1948)

        Senti questo silenzio?
        Eco di passi assenti
        risuona costante
        passato e presente
        passato e presente
        scendere e risalire
        cuore cuore
        antico strumento
        oltre non ti fermare
        senti il silenzio
        cuore?



        II
        (Craco)

        Lento tintinnare liturgico
        sulla lamiera del dio scasato
        ky ky ky-rie ky-rie ky-rie
        pozzanghere celesti stagnano
        sulla metallica serrata soglia
        biascica l’ombra eleison
        ky-rie-lei-son kyrié-leisòn
        e sullo sfondo lontano
        frullo d’ali di angeli caduti
        trepidi squarci
        di sereno.



        III
        (Tursi - Calanchi sulla strada provinciale Tursi-Policoro)

        Sentire l’accanirsi della tempesta
        scavare solchi profondi sulla roccia
        placare l’arsura millenaria
        sturando un cielo di strati di pece
        antica faccia di terra corrugata
        esili piramidi disertate
        dalla prosopopea dei morti
        dal vacuo vociare dei viventi
        sentire spuntare nuovi arbusti
        tra i calanchi visti
        con gli occhi di un altro.



        IV
        (Tursi)

        Sarabanda nel vento di panni
        stesi al sole ad asciugare
        indolente fruscio di scopa
        ronzio d’aria condizionata
        cozzare di colori e di lamiere
        vecchio e nuovo ammogliati
        con ruffiana indifferenza dalla vita
        ma le parabole non sanno raccontare
        lo stare senza
        il sogno di tornare.


        V
        (Bernalda)

        S’impiglia tra gli sterpi
        un sogno o una bestemmia
        il rumore del tempo
        nei tetti crollati nell’invadente
        erba rinata nel sibilo insidioso
        del serpente
        nel vuoto
        che avanza silente
        nella perdita d’occhio
        sul filo dell’orizzonte
        parole scritte sul muro
        a calce, guscio
        di voci assenti.



        VI
        (Matera)

        Scava solchi l’inverno
        di pietra e tufo e sassi
        ancestrale ipogeo
        sacro terrestre canto
        vivi e morti uomini e bestie
        nell’aria metallici rintocchi
        plananti ali di falco o di nibbio
        a fermare il giro del tempo
        alveare di memoria edificato
        da vivi e morti uomini e bestie
        tra le millenarie
        rughe delle montagne.


        VII
        (26 San Mauro Forte)

        Sul selciato orfano di passi
        stride la luce e l’alluminio
        anodizzato serra il segreto
        misero della vita
        anziane lente
        parole o trasmissioni televisive
        fuga d’ombra fosca nel vico muschiato
        due stelle infisse a capochiave
        canto di ferro e pietra incatenate
        moderne e antiche
        incurabili ferite.



        VIII
        (32 Calciano)

        Transito d’anime sul davanzale
        ruvido bianco rumore solare
        di tempo fermo al bordo incipiente
        di un effimero eterno arcano silenzio
        bianco su bianco vuoto per pieno
        vago sussurro d’ombra grigiastra
        sopra le note ritmate
        da bordature ortogonali
        angolo retto tra la terra e il cielo
        fantasmi di fumo e cera fusa
        e crepitare di stoppini
        al fatuo fuoco.



        IX
        (Grottole)

        Remoto il raglio dell’asino sfida
        questo respiro vasto e lo misura
        la curva generosa del cielo.
        Eppure
        non è che un varco
        questo cielo smorto
        al verso degli uccelli
        senza nome insieme
        preda e predatore
        a scrivere rapide parole
        appena in tempo
        prima di migrare.


        X
        (Irsina)

        Quasi le case parlassero d’altro
        nel sole che spacca
        nell’ombra che fugge
        nelle persiane custodi gelose
        estranee a questo fluido tempo
        così vicino così distante
        quasi parlassero
        di pioggia di vento
        di morti
        di azzurri aneliti
        del niente
        le case la gente.



        XI
        (Tursi/ sulla SS 653 Sinnica)

        Lunga ferita d’asfalto
        stretta soglia tra morte
        e vita
        rombo d’automobili
        astioso morso delle colline
        al tenue azzurro del cielo
        l’acciaio del guardrail marca
        il confine tra rapido e lento
        fra impercettibili sussurrati suoni
        (verdi ipotetici grilli, invisibili cicale)
        e il roboante
        transito del moderno.


        XII
        (Pomarico)

        Intrappola l’azzardo del cielo
        una fitta ragnatela elettrica
        groviglio di fili sul lapideo
        domino della memoria
        sussurri d’ombra alle finestre
        mentre tace il portone deserto
        di vite umane in attesa
        di un’improbabile epifania
        lastra lucente di sole nostalgia
        di una nenia di uno sperduto
        canto popolare.


        XIII
        (Salandra)

        Arcana s’incunea un’ombra
        al culmine dell’assenza
        passi di pietra rintoccano
        nella memoria
        opere
        umane come il sogno
        di domare per sempre
        il vasto regno
        l’eco spenta
        di scalpellini ormai defunti
        pioggia di ieri che non placa
        l’atavica arsura di questo
        mezzogiorno deserto.



        XIV
        (San Giorgio Lucano)

        E tècchete, na vota, come ll’erva
        ca tròvese ‘ncastrète nda nu mure,
        nascìvite ‘a paròua,

        ALBINO PIERRO, I ‘nnammurète


        Aspro di roccia il passo che si perde
        fischio che chiama lungo dalle creste
        zoccoli assenti di transumanti mandrie
        trapassate epoche di guerrieri e poeti
        misteriosi aurei corredi funerari
        per trascendenti viaggi ultraterreni.
        Sacramentano ora paesi senz’anima
        nuovi agli sguardi muti dei viandanti
        erba bastarda rinasce nell’incastro
        di muri su cui nessuno grida più
        amore amore mio t’amo
        per sempre.


        XV
        (87 Marconia)

        Mi hai risposto tra l’altro
        che un padre che ama i figli
        può solo vederli andar via

        ROCCO SCOTELLARO
        Lezioni di economia, 1952

        Anonima postmoderna periferia
        democraticamente tale in ogni dove
        fino a confondere lingua e geografia
        uguale negli sguardi dei ragazzi
        che aspettano soltanto di andar via
        mentre sentono lo scorrere del tempo
        lento come in un sogno senza verbo.
        All’insegna di antiche speranze
        di padri quasi sempre assenti
        di troppo cupe e silenziose mamme
        tutto costantemente si trasforma
        in questo interminabile presente
        perpetua vana promessa
        di un impossibile ritorno.



Salerno, gennaio-settembre 2022

gaetano.paraggio@tin.it
gccaval@gmail.com