“Quindi la causa viene prima, la conseguenza viene dopo, ma come faccio a capire ed essere sicuro che uno è prima e uno è dopo” bisbigliava Emanuele al suo compagno di banco.
“Se stai attento, capisci, non è mica difficile” replicava Damiano, sgranando gli occhi color antracite verso la lavagna.
“È facile, ragazzi. La causa è il cosa, quello che ci porta a un fatto ben preciso, che lo provoca. Può essercene più di una. La conseguenza è quello che segue, l’effetto. Prendiamo l’esempio di questo fatto storico”.
La prof era seduta sulla cattedra e parlava guardando fuori. I camini delle case cominciavano a fare i primi sbuffi. Le foglie per terra, nel cortile, parevano di cartapesta.
Emanuele si arrovellava tra copiare lo schema alla lavagna, seguire il monologo della prof e sentire Marta dietro che raccontava del pomeriggio all’Adigeo, il super mega centro commerciale paradiso di ogni preadolescente. Causa e conseguenza erano come una lunga, lunghissima catena. Dove gli anelli si incontravano, ecco, lì era la causa, che però a sua volta era stata conseguenza. Ma come? E chi stabiliva cosa era cosa, in base a cosa?
“Prendo un brutto voto: non ho studiato è la causa. La conseguenza è che i miei mi mettono in punizione” intervenne Emanuele.
“Bene! È propri così. Lo stesso meccanismo si applica ai fatti storici. Facciamo un esempio” incalzò la prof.
Ma Emanuele non era mica convinto. Quelle volte che aveva preso un brutto voto, non aveva sempre capito il perché, cioè la causa, al contrario. Eppure, aveva studiato. Aveva studiato eccome, ma erano le parole che gli si perdevano in gola, e non era in grado di acciuffarle. Il perché gli era rimasto oscuro e, non trovandolo affatto, si era messo l’anima in pace.
Giovanni, che gli era seduto davanti, spaziava in un mondo parallelo. Causa e conseguenze erano sferette galleggianti nell’aria, rosse e verdi, che si potevano legare con frecce laser. Il colore glielo si poteva dare un po’ secondo il proprio piacimento, tanto se una sferetta era verde-causa poteva anche essere rosso-conseguenza in qualche modo, così aveva capito. Aveva un cinquanta e cinquanta di possibilità. Facile, dai.
Bilal accennava un lieve sorrisetto allineando penne come a voler formare un reticolato di fatti storici, di cause e conseguenze. Bilal però non parlava italiano, era arrivato da poco dall’Algeria, quindi passava le sue ore in attesa della sua tutor linguistica. La catena numerata alla lavagna, però, l’aveva incuriosito.
Damiano era sul pezzo. I perché gli erano sempre sembrati abbastanza chiari, e aveva anche capito che, se le invasioni barbariche erano la causa del crollo della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, non erano comunque state la sola causa, tanto più che i barbari non è che fossero sempre per forza brutti e cattivi e incivili. Non era tutto bianco e nero, la storia era fatta di tanti grigi. Dipendeva un po’ dove ti mettevi, con chi ti identificavi, come quando leggi una storia che ti prende.
Il suo papà, poi, che se n’era andato ormai da tempo, gli aveva detto che non sempre c’è un perché sotto, che è inutile cercare. Allora significava che quella catena disegnata alla lavagna si poteva anche spezzare?
Fuori le foglie volteggiavano in brevi piroette, alcune si incollavano alla finestra della classe per brevi secondi, cercando di lasciare un’umida impronta, invano. Damiano aguzzava l’occhio per catturarne la forma che si stagliava in controluce, e ne seguiva poi la traiettoria. Ognuna con il suo perché fosse finita lì e con un senso da seguire, forse imprevedibile.
La classe iniziava a sonnecchiare, era ormai la sesta ora.
Dal torpore generale, in quell’aria viziata di tute e maglie impregnate, si levò la mano di Mattia che svettò rapida in contemporanea alla sua domanda:” Ma allora, prof, la causa infinita ultima di tutte, andando indietro, è Dio? E l’autunno è la conseguenza dell’estate oppure no?”
Risatine generali e smarrimento. La prof tirò un sospiro e con un lieve sorriso avvicinò il mento alla spalla.
“Beh, dipende Mattia”.
“Posso andare in bagno?” pronunciò svelto Damiano, approfittando dei soliti trucchetti perditempo del compagno.
“Vai pure”.
Una volta chiuso dentro, il ragazzino salì sul water e sfilò da sotto la felpa l’indelebile che aveva fregato a Bilal.
Si mise in punta dei piedi per arrivare al punto più alto del muro, leggermente scrostato, e scrisse bello in grande, imitando alla perfezione il corsivo stentato di Mattia: “Emanuele di prima B è uno sfigato”.
Non c’era una vera e propria causa, pensò.
Scese dal water, infilò di nuovo il pennarello nero dentro l’elastico dei jeans e si lavò accuratamente le mani.
Avviandosi in classe, sorrise delle prossime conseguenze.
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