Lo que tengo está en medio de las olas, scriveva Pablo Neruda in Vals. Come essa stessa dichiara, questo verso segna fin dalla giovinezza la ricerca di vita e il percorso poetico di Noni Benegas. Viaggiatrice di andata e ritorno fra Sudamerica e Spagna come tirata da due forze in contrasto – l’attaccamento al luogo natale e la fascinazione di un diverso orizzonte –, nello stabilirsi definitivamente a Madrid nel 1977 la poetessa argentina sceglie la condizione di chi possiede o forse meglio, appartiene, a due paesaggi, a due atmosfere, a due mondi: ovvero a una duplice memoria, che fa di lei in molte occasioni un naturale ponte fra le culture delle opposte sponde dell’Atlantico.
Due mondi, due memorie, che si fanno tutt’uno attraverso la lingua, nell’incontro fra il castellano d’Argentina formatosi attraverso una lunga vicenda di meticciato, e il castellano di Spagna, tutt’altro che rimasto immobile dai tempi della Conquista.
Stabilirsi in Spagna, dice Benegas, fu “como abrir el ‘cofre del tesoro’, el tesoro de la lengua”; l’incanto, dunque, della rinnovata scoperta di una fonte primaria, che si apre come un forziere dal doppio fondo rivelando altri spazi e forme del dire, dello scrivere, dell’immaginare. È questo il Vello d’oro di cui scrive l’autrice nel primo libro da lei pubblicato in Spagna, Argonáutica del 1984: la sua conquista la spinge al di là di ogni pura identificazione di sé come scrittrice argentina, scrittrice spagnola, scrittrice immigrata o assimilata, per assumersi invece pienamente, su un gradino più alto, come felice cittadina della lingua.
Una lingua il cui esercizio nella poesia di Benegas indugia, indaga, penetra nell’anima delle parole per spremerne le potenzialità espressive e liberarne l’ampiezza polisemica, mettendo in gioco quella “relación carnal con la palabra poética” che uno dei massimi poeti di Spagna, Juan José Valente – che della poetessa argentina fu lettore e mentore –, indicava come via suprema alla scoperta del linguaggio in quanto elemento costitutivo della poesia. Poesia come soglia al di là della quale il linguaggio viene sottratto a ogni funzione predicativa, a ogni unilateralità definitoria, a ogni identificazione funzionale di una realtà che per Benegas ha piuttosto l’incantata parvenza di un campo aperto, vergine, intatto.
Linguaggio come materia che con la materia si misura individuandone l’incessante metamorfosi che travalica anche i confini fra organico e inorganico, come in questa poesia d’amore in cui il corpo si espande – come per sentirsi più vivo – dilatandosi in sostanza inanimata. Cuando vuelva / de no haber vuelto, / desde su repliegue óseo, calcáreo / de caracola atónita / y venga a mí / como a su arena, / cuando me mude en sílice aventado / borrosa y densa / y yo masque y muerda duna, / encenderé una hoguera para su oído, / cosecharé la lluvia, / seré un tormento / de piedra y lava. / Pero no volverá / de no haber vuelto. (Quando ritornerà / dal non esser tornata, / dalla sua ruga d’ossa e di calcare / di attonita lumaca / e verrà a me / come alla sua sabbia,/ quando di me farà silice disperso / fosca e compatta / e io morderò, masticherò duna, / accenderò un falò per il suo udito, / mieterò la pioggia, / sarò un tormento / di pietra e lava. / Non tornerà però / dal non esser tornata).
A partire dalla giovanile condizione esistenziale di Noni Benegas, il senso del verso di Neruda si va così amplificando, a definire l’essenza stessa della poesia nel generarsi e nel compiersi, in uno stato mai definitivo nell’assolutezza dell’essere ma piuttosto particella di un mare in movimento: metafora e specchio del linguaggio reso vivo da un moto perenne di sottrazione al discorso totalizzante, di trasformazione continua attraverso l’esperienza del limite.
Dijimos el tiempo por los instantes scrive l’autrice in El lenguaje. A esser fatto di istanti è il tempo della memoria: e nella sua poesia la memoria è il luogo di residenza della materia interiorizzata. Cómo disolver una casa, la estructura / de canela simple, sólida en la memoria, / los travesaños de letras de molde / y las ventanas, que enmarcan un único paisaje, / lívido, de la infancia…… / Cómo, una vez la casa quieta, borrar / la ausencia del padre / instalada con rabia de polvo en el vacío. (Come far svanire una casa, la sua struttura / lieve come legno di cannella, solida nel ricordo, / le travi con scritte in maiuscole / e le finestre che inquadrano un paesaggio solo, / livido, dell’infanzia…. / Come, una volta che la casa sia tranquilla, cancellare / l’assenza del padre / con polverosa rabbia insediata nel vuoto). È quel verbo, disolver, a marcare un universo memoriale compresso fra la materia che si vorrebbe dissolvere, e la permanenza di essa nella memoria implacabile, più forte del desiderio di dissoluzione.
La materia interiorizzata è al centro del libro De ese roce vivo: è il corpo materno, la sua pienezza carnale che si sfibra e si distrugge lottando in una sua battaglia disperata, Este cuerpo apoderado de sí mismo, /escorado, testarudo…../ desafecto, decorchado, desandado,….. / este cuerpo destronado, negativo y copia / de haber sido cuerpo amado….. (Questo corpo impadronito di se stesso, / incurvato, cocciuto,….. / malvolente, scorticato, regredito,…. / questo corpo spodestato, negativo e copia / del corpo amato che fu…..).
La madre ammalata è punto focale di un teatro barocco del corpo e della sua lotta contro la morte, in cui il corpo finisce per placarsi e figlia e madre si fondono in unità ritrovata: con tus brazos en los míos y el conjunto / de severa carne austera, / juntas y así juntas siempre tuya. (nelle mie le tue braccia e quell’insieme / di severa carne austera, / noi insieme e così insieme io sempre tua).
Il prezzo è stato, appunto, la battaglia e la sconfitta: Este cuerpo…… / está luchando bravo, y pide / pordiosera, humildemente, / nacer naciendo / como quien supo sabiendo, / lo imposible. (Questo corpo…… / sta impavido lottando, e chiede / mendicando, umilmente, / di nascere mentre nasceva / come chi seppe mentre sapeva, / l’impossibile).
Para nacer he nacido, scriveva Pablo Neruda, e forse la sua eco risuona in questi versi finali insieme al complessivo richiamo alla poesia del corpo per eccellenza, quella dei mistici del Cinquecento spagnolo, San Juan de la Cruz, Santa Teresa de Jesús, con i quali Benegas traccia una linea di continuità nel linguaggio in cui si calano –a volte di immediata lettura, altre volte velate – le forme ossimoriche che popolano la sua poesia; forme dilette dai mistici e che in Benegas riflettono la ricerca del rovescio delle cose, della loro parte “altra”, dove l’autrice intuisce il proprio spazio più vero: Déjame borrar mi impronta – scrive in Cuando amanece- / déjame quedar /en el revés del cielo matutino / antes del sol (Lasciami cancellare ogni mia traccia / lasciami restare /nel rovescio del cielo mattutino / prima del sole).
Le corrispondenze della poesia di Benegas con quella della poesia mistica trovano conferma, a me pare, nella stessa autrice quando rivela che a quel verso di Neruda sopra citato e che è stato come il motto della sua vita fin dalla giovinezza, negli ultimi tempi si è aggiunta, a completarne e realizzarne interamente il senso, una anonima copla che dice: Fui la piedra y el centro / y me arrojaron al mar / y al cabo de largo tiempo / mi centro vine a encontrar (Fui la pietra e il centro / e mi gettarono in mare / e dopo un lungo tempo / tornai il mio centro a trovare).
Fra il verso del poeta cileno e la antica copla popolare – così profondamente interpretata, non a caso, in un libro di José Ángel Valente – Noni Benegas vede così inscriversi il proprio destino: dall’alto mare aperto con i suoi incantamenti e le sue insidie, attraverso la perdita del centro come esilio da una totalità, è per mezzo della parola poetica che il centro viene ritrovato, nella consapevolezza che la pietra e il centro sono una cosa sola.
POESIE DI NONI BENEGAS
LA CASA
Cómo disolver una casa, la estructura
de canela simple, sólida en la memoria,
los travesaños de letras de molde
y las ventanas, que enmarcan un único paisaje,
lívido, de la infancia.
Cómo estallar la ceniza y absorberla
por un agujero negro, o mejor luminoso, clarísimo
que brille hasta el fin y se apague.
Cómo no entrar ni salir, que no haya un porche
ni una escalera, ni una sala, ni una madre
al fondo de un sillón, y un hermano por siempre en el baño
descubriendo su adolescencia.
Cómo, una vez la casa quieta, borrar
la ausencia del padre
instalada con rabia de polvo en el vacío.
LA CASA
Come far svanire una casa, la sua struttura
lieve come legno di cannella, solida nel ricordo,
le travi con scritte in maiuscole
e le finestre che inquadrano un paesaggio solo,
livido, dell’infanzia.
Come ridar fuoco alla cenere e risucchiarla
su per un buco nero, o meglio luminoso, chiarissimo
che brilli fino in fondo e poi si spenga.
Come non entrare o uscire senza che ci siano un atrio
una scala, un salone, una madre
in fondo a una poltrona, e un fratello sempre chiuso in bagno
alla scoperta della propria adolescenza.
Come, una volta che la casa sia tranquilla, cancellare
l’assenza del padre
con polverosa rabbia insediata nel vuoto.
Da La balsa de la Medusa
LA ESPERA
Cuando vuelva
de no haber vuelto,
desde su repliegue óseo, calcáreo
de caracola atónita
y venga a mí
como a su arena,
cuando me mude en sílice aventado
borrosa y densa
y yo masque y muerda duna,
encenderé una hoguera para su oído,
cosecharé la lluvia,
seré un tormento
de piedra y lava.
Pero no volverá
de no haber vuelto.
L’ATTESA
Quando ritornerà
dal non esser tornata,
dalla sua ruga d’ossa e di calcare
di attonita lumaca
e verrà a me
come alla sua sabbia,
quando di me farà silice disperso
fosca e compatta
e io morderò, masticherò duna,
accenderò un falò per il suo udito,
mieterò la pioggia,
sarò un tormento
di pietra e lava.
Non tornerà però
dal non esser tornata.
EL LENGUAJE
Que el lenguaje fuera una cadena
porque el tiempo lo es,
nos hizo dudar del tiempo
hecho de instantes,
sustantivos que la memoria adverbia
como un torno busca la tierra
en un punto cualquiera del planeta,
o el bailarín la danza
girando sobre sí.
Dijimos el tiempo por los instantes,
el lenguaje por las palabras,
para aliviarnos del lento trance
de cada instante
de cada palabra.
IL LINGUAGGIO
Che il linguaggio fosse una catena
perché lo è anche il tempo,
ci fece dubitare del tempo
fatto d’istanti,
sostantivi che la memoria avverbia
come una ruspa cerca la terra
in un punto qualunque del pianeta,
o il ballerino la danza
mentre su se stesso gira.
Dicemmo il tempo attraverso gli istanti,
il linguaggio attraverso le parole,
per alleviare il peso del lento incantamento
di ogni singolo istante
di ogni singola parola.
Da Cartografía ardiente
CUANDO AMANECE
a Amy Kaminsky
Cuando amanece
cuando la luz viene a revelarme
y me quita mi condición de sombra
y el silencio se nutre de trinos, motores
y voces escribo
como una invención de la sombra que parte
No puedo alzarme
quiero armarme
para la soledad fecunda,
no me busquen
no me dañen
ni me pidan
dejadme en mi terreno herido
No estoy
ni sé por qué hago falta,
déjame borrar mi impronta
déjame quedar
en el revés del cielo matutino
antes del sol
no me traigas
al impuro mediodía blanco
Acuéstate de pie
cierra los ojos aunque abiertos
calla
y obra en lo oscuro,
desvanece y revive entre las tapas de un libro
entre sus hojas calla
como sobre un lecho de hojas
en el corazón del bosque
hazte otoño
cruje, crepita, mira
pero no digas
y aún no es la muerte
torpe certeza del dolor
que considera adelantar su fin
y aún no es la muerte
es entre dos sombras un filo de luna
blanco y nítido
es la revelación
de un estado de guerra
mayor
El sol calcina
el desierto está oscuro
los días beben
las mañanas cantan el canto de los ahogados
en el metro-el banco-la oficina
juntos y mudos
se agolpan en las puertas
contantes y sonantes
de bolsas ajenas
Te levantas para perderte
hablas para escurrirte
caminas para hundirte
corres, gritas, celebras sacrificios foráneos
También Valéry hurgaba
en las horas que preceden al alba
los bolsillos vacíos de su persona
también llegaba
a extraer objetos y reparar sus trazas
también supo que la geometría
es un continente desnudo
un equilibrio innecesario.
con Alejandra Pizarnik
QUANDO ALBEGGIA
a Amy Kaminsky
Quando albeggia
quando arriva la luce a svelarmi
e mi sottrae alla condizione d’ombra
e si nutre di trilli il silenzio, di motori
e voci scrivo
come una scoperta dell’ombra che va via
Non posso alzarmi
voglio essere armata
per la solitudine feconda
nessuno mi cerchi
nessuno mi faccia del male,
nessuno mi chieda nulla
lasciatemi nel mio terreno ferito
Non ci sono
e non so a cosa servo
lasciami cancellare ogni mia traccia
lasciami restare
nel rovescio del cielo mattutino
prima del sole
non mi condurre
dentro l’impuro mezzogiorno bianco
Sdràiati in piedi
chiudi gli occhi anche se aperti
taci
e opera al buio
svanisci e torna a vivere nella copertina di un libro
taci tra i fogli
come su un letto di foglie
nel cuore del bosco
fatti autunno
scricchiola, crepita, guarda
ma non dire
non è la morte ancora
ottusa certezza del dolore
che medita di anticipare la fine
non è la morte ancora
è tra due ombre un filo di luna
bianco e terso
è la rivelazione
di uno stato di guerra
più grande
Il sole calcina
il deserto è buio
i giorni bevono
i mattini cantano il canto degli annegati
nella metro – in banca – in ufficio
congiunti e muti
si accalcano sulle porte
denari fruscianti e sonanti
di portafogli altrui
Ti alzi per perderti
parli per sottrarti
cammini per sprofondare
corri, gridi, celebri sacrifici forestieri
Anche Valéry frugava
nelle ore precedenti l’alba
nelle tasche vuote della sua persona
riusciva pure
a trarne oggetti e ritrovarne le tracce
conobbe pure che la geometria
è un continente nudo
un equilibrio innecessario.
con Alejandra Pizarnik
*
Mi ritmo, tenso
extenso
mi roce, mi son
mi sino
todo tejido
entramado, sonado, trueno
acompasar compás
trazar de nuevo.
Mal sueño, ni eso
mal ceño
austero, adusto, seguro, cierto
sobriedad precisa
porosa isla me voy por redes, ramas
a restarme toda
respirar resoplar
más aquí del grito
más acá del trazo
pulsión
parte de guerra de hospital de asilo
curva en declive
trastorno
cuerpo cosido a balazos, estallado
Cuerpo cancerado
garganta de hojas secas y carbones
labios de ceniza
no pronuncio
no digo
o pido
*
Il mio ritmo, teso
esteso
il mio tocco, il mio son
il mio fato
ogni tessuto
intrecciato, suonato, tuono
battere la battuta
rifare il tracciato.
Brutto sogno, e neppure,
brutto aspetto
austero, severo, sicuro, certo
sobrietà categorica
isola spugnosa vago tra reti, rami
a restringermi tutta
respirare, sbuffare
più in qua del grido
più in qua della linea
pulsione
bollettino di guerra d’ospedale d’ospizio
curva in pendio
subbuglio
corpo crivellato, esploso
Corpo canceroso
gola di foglie secche e pezzi di carbone
labbra di cenere
non pronuncio
né dico
o chiedo
Da Fragmentos de un diario desconocido
*
Este cuerpo apoderado de sí mismo,
escorado, testarudo,
esta sumisión sin nombre
a un estado, a una breve transición
entre vigilia y sueño,
desafecto, decorchado, desandado,
puro tiro de estampida y yugo
barquinado, coz y cúmulo,
apenas pago de desdicha,
pueblo polvoriento y olvidado,
este cuerpo destronado, negativo y copia
de haber sido cuerpo amado,
ya sin causa ni razón o acápite
que murmure y rumie su razón de olvido
está luchando bravo, y pide
pordiosera, humildemente,
nacer naciendo
como quien supo sabiendo,
lo imposible.
*
Questo corpo impadronito di se stesso,
incurvato, cocciuto,
questa sottomissione innominata
a uno stato, a una corta transizione
tra veglia e sonno,
malvolente, scorticato, regredito,
pura esplosione improvvisa e giogo
strattonato, scalciata e cumulo,
a malapena sazio di sventura,
paese polveroso e scordato,
questo corpo spodestato, negativo e copia
del corpo amato che fu,
privo ormai di causa, di ragione o titolo
per sussurrare e ruminare la sua ragione d’oblio
sta impavido lottando, e chiede
mendicando, umilmente,
di nascere mentre nasceva
come chi seppe mentre sapeva,
l’impossibile.
*
Esta primavera que fue dolor cansino
y ahora es verano trasnochado,
este tiempo escarmentado entre corchetes
donde hubo tino, y saber reconcentrado
despierto de su túmulo y arisco experto en llama,
este límpido tesoro de días y más días consagrados
en aras de tu amor que me encontraba
allí donde siempre me tuviste,
ese sino de ser tu paramento
cuando huías y sabía que te ibas
y pude atrincherarte entre mis brazos,
lavar tu solución, química, o radio
concéntrico de esferas angustiadas,
ese lívido color de estar contigo,
esa música especial de despedida
con tus brazos en los míos y el conjunto
de severa carne austera,
juntas y así juntas siempre tuya.
*
Questa primavera che fu esausto dolore
e adesso è un’estate macilenta
questo tempo tormentato fra parentesi
dove ci fu accortezza e sapere concentrato
svegliato dal suo tumulo ed aspro esperto in fiamma,
questo tesoro limpido di giorni e ancora giorni consacrati
in omaggio al tuo amore
che sempre dove mi avesti ti trovava,
questa mia sorte d’esser le tue mura
quando fuggivi e sapevo che fuggivi
e delle mie braccia riuscii a farti difesa,
mondare la tua dissoluzione, chimica, o raggio
concentrico di sfere angosciate,
quel livido colore dell’essere con te,
quella speciale musica d’addio
nelle mie le tue braccia e quell’insieme
di severa carne austera,
noi insieme e così insieme io sempre tua.
*
Esta ilusión sin nombre de volver a verte,
de remar, de atravesar
el aqueronte de un océano,
una estigia laguna concentrada
entre ayes, dolores y quejidos
y sones sinuosos ya sonidos
de suspiros y de alientos recobrados
tras caídas en mojones del camino,
y yo aquí entre mis brazos anidando
lo que hubo lo que fue lo que quedara,
y tú a medias demediada
entre tumbos, tranquila, atribulada,
sin ver ni intuir todo sabiendo,
tú sola decidiendo y yo aceptando,
recalcitrando el porque,
el tránsito tan tuyo
y a pesar
conmigo.
*
Questa speranza indicibile di vederti di nuovo,
di andar remando e attraversare
l’acheronte di un oceano,
una palude stigia concentrata
fra gemiti, afflizioni, lamenti
e sinuosi accenti di son fattisi suoni
di sospiri e respiri ritrovati
dopo cadute contro i cippi della strada
e qui facendo io nido fra le braccia
a quel che è stato e fu e può rimanere
e tu per metà dimezzata
fra scossoni, tranquilla, tormentata,
senza vedere né intuire pur tutto sapendo,
tu sola nel decidere ed io nell’accettare,
respingendo il motivo,
il trapasso così tuo
e tuttavia
con me.
*
Y verde el brote y nuevo
y esta fresca primavera obtusa
que mira al sur y es otoño
o vuela a mi balcón y vela,
encendida clorofila,
mi filtro puro de dolores.
Astucia de vivir
de tus primores,
del festón del brote,
de tu presencia tenue
tímida aún
que crece
y viva viene,
recala aquí
muy junto al pecho.
*
E verde il germoglio e nuovo
e questa fresca primavera ottusa
che guarda a sud ed è autunno
o vola al mio balcone e veglia,
clorofilla accesa,
il mio puro filtro di dolori.
Astuzia di vivere
dei tuoi incanti,
dell’addobbo del germoglio
della tua presenza sfumata
timida ancora
che cresce
e viva viene,
qui approda,
molto vicina al petto.
Da De ese roce vivo
*
Buscaba un lugar
del que colgar y balancearse,
no un lugar-excusa al que se vuelve
y en el que nunca se está entera.
Un lugar vertical
adonde hundirse o ascender,
ambas decisiones a tomar
entre vaivén y vaivén.
Pero es incómodo
estar sujeta al vacío,
más vale volver a los lugares mullidos,
aún a riesgo de perecer dormida
entre la gomaespuma.
*
Era in cerca di un posto
dove appendersi e dondolare,
non un posto-pretesto al quale si ritorna
e dove non si è mai tutta intera.
Un posto verticale
in cui sprofondare o innalzarsi,
decisioni da prendersi entrambe
fra l’uno e l’altro va e vieni.
È scomodo però
esser legata al vuoto,
è meglio far ritorno a posti soffici,
anche a rischio di morire addormentata
in mezzo alla gommapiuma.
*
La historia tomó asiento
con la parsimonia de una flor tibia.
Venía dispuesta al sacrificio
con tal de que sus motivos
permanecieran ocultos.
Nadie, nadie diría que entre cinco o seis
apenas levantarían el tomo;
desnudado el texto,
la sintaxis no era lo peor;
había una gramática agria
con todos los verbos antiguos entre comillas,
como esos autobuses cuyo recorrido se altera de súbito
y la noche cae sin poder apearse
en la ciudad deseada.
*
Con la semplicità di un fiore tiepido
prese posto la storia.
Veniva preparata al sacrificio
purché restassero nascosti
i suoi motivi.
Nessuno avrebbe detto mai che cinque o sei soltanto
avrebbero preso il libro in mano;
messo il testo a nudo,
il peggio non era la sintassi;
c’era una grammatica aspra
fra virgolette tutti i verbi antichi,
come quegli autobus che cambiano percorso all’improvviso
e cala la notte senza che si possa scendere
nella città che si vuole.
*
Tenía la fórmula secreta de un deseo.
En los momentos de fisura
de un sol de otoño blanco e incandescente,
cuando al trasiego entre taza y taza de té
sucede el chisporroteo de una piña
y entre ambos sonidos vuelca el tifón callado
del indicio de una historia de amor.
Sin rostro ni voz,
no la lectura, sino las letras,
consonantes del amor.
Unos picos de ternura del cuerpo inmóvil
que escapa, corre, vuela.
También tenía el secreto
de “no-una-historia-de-amor”.
El constante y soterrado blanco entre comillas
por ausencia de un nombre,
la uniforme cadena
del corazón apagado.
*
Aveva d’un desiderio la formula segreta.
Nei momenti di frattura
di un sole d’autunno bianco e incandescente,
quando al tramestio fra una tazza di tè e l’altra
tiene dietro il crepitio di una pigna
e fra i due suoni rovescia la tempesta silenziosa
dell’indizio di una storia d’amore.
Senza volto né voce,
non la lettura, ma le lettere,
consonanti dell’amore.
Vette di tenerezza del corpo immobile
che fugge, corre, vola.
Aveva anche il segreto
di “una-non-storia-d’-amore”.
Il permanente e sepolto spazio vuoto fra virgolette
per mancanza di un nome,
l’uniforme catena
del cuore che si è spento.
Da Lugar vertical
*
Animales sagrados
de los mediodías de calma chicha,
domingos familiares
al borde del mantel,
entre las patas de la mesa,
en las comisuras,
barba cerrada y ojos
abiertos con cremallera
donde la luz cae a pico.
*
Animali sacri
dei mezzodì di bonaccia
domeniche famigliari
al bordo della tovaglia,
fra le gambe della tavola,
nelle commessure,
barba chiusa e occhi
aperti con chiusura lampo
sui quali cade a piombo la luce.
*
Animales de la tijera roma, mocha,
que sin embargo pincha y desgarra
a mano la piel y se escurre.
Grasa que pringa
enjabona palo imposible
del llegar adónde,
y el deseo
que roe y roe
en su avanzar de felpa acompaña
la tos de abuela y abuelo,
tío y tía, y los cuñados lenci y paño
de barajas mudas, con el té-avispa
en la tetera absurda.
*
Animali dalla forbice spuntata, tronca,
che punge tuttavia e strappa
a mano la pelle e poi scivola via.
Grasso che unge
insapona palo impossibile
per andare fin dove,
e il desiderio
che rode e rode
nel suo avanzare felpato accompagna
le tazze di nonna e nonno,
zio e zia, e i cognati lenci e panno
di mute carte da gioco, con il tè-vespa
nella teiera assurda.
Da Animales sagrados
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Noni Benegas è nata a Buenos Aires nel 1947 e dal 1977 vive a Madrid. Possiede entrambe le nazionalità e si trova spesso a operare come ponte culturale tra le opposte sponde dell’Atlantico. L’incontro con il grande poeta spagnolo José Ángel Valente, avvenuto durante un soggiorno a Ginevra nei primi anni 80, è decisivo per il suo percorso poetico. Spinta infatti dall’interesse mostrato da Valente per il suo lavoro, partecipa con due inediti, Argonáutica e 13 sonetos, al Premio Platero del Club del Libro en Español de Naciones Unidas, del quale è vincitrice. Argonáutica, una raccolta di prose poetiche nelle quali è prevalente un sottile tono ironico, viene pubblicato nel 1984 a Barcellona dalle edizioni Laertes, con prefazione del poeta e storico della letteratura José María Valverde, che pone in evidenza il carattere di novità che il libro introduce nell’ambito della poesia spagnola di quegli anni.
Nel 1987 Benegas ottiene il Premio Nacional Miguel Hernández con La Balsa de la Medusa (CAM, Orihuela 1987). Il “Sostegno alla Creazione Letteraria” del Ministero della Cultura, attribuitole nel 1995, la favorisce nella pubblicazione di Cartografía ardiente (Verbum, Barcelona 1995). Nel 2002 Las entretelas sedosas (Casa del Inca, Montilla) raccoglie i suoi sonetti, mentre nel 2004 Fragmentos de un diario desconocido (Esquío-Ferrol, Fundación Caixa Galicia) ottiene il Premio Esquío; il libro viene nuovamente pubblicato nella collana eMe delle Ediciones la Palma nel 2017.
Nel 2009 esce De ese roce vivo (Huerga&Fierro, Madrid), e nel 2011 Lugar vertical (Igitur, Barcellona), che vince il Premio Villa de Martorell. Nel 2012, sempre per Igitur, vede la luce Animales Sagrados, che risulta primo al Premio Rubén Darío de la Ciudad de Palma de Mallorca.
La poesia di Noni Benegas è presente in numerose antologie sia collettive che personali. Tra queste spicca El Ángel de lo súbito, una antologia essenziale della sua opera poetica con prefazione del poeta e cattedratico Benito del Pliego (Fondo de Cultura Económica, 2014).
Numerose le sue collaborazioni giornalistiche e le sue traduzioni. Suoi testi poetici, tra i quali il più recente è la lunga composizione Casi un nocturno, compaiono anche su riviste digitali anche in altri paesi come Svezia e Inghilterra.
Nel 2014 l’antologia Poemas y Poetas argentinos (Huerga&Fierro, Madrid), da lei curata, è testimone di un’incessante ricerca sulle relazioni fra letterature diverse all’interno dell’orizzonte linguistico ispanico.
Da lungo tempo Noni Benegas costituisce il più rilevante punto di riferimento per la valorizzazione della presenza femminile nella produzione poetica spagnola. Segno tangibile della sua attività, oltre alle numerose iniziative di incontro come gli Encuentros Internacionales de Mujeres Poetas, è l’antologia Ellas tienen la palabra (Hiperión, Madrid 1997), raccolta di 41 poetesse spagnole nate dopo il 1950 che Benegas presenta in un cospicuo saggio introduttivo, facendole uscire da una condizione di invisibilità dovuta ai meccanismi notoriamente prevalenti nella diffusione della cultura. Allo stesso tempo, Benegas sviluppa lo studio e l’analisi critica della poesia femminile di lingua spagnola e inglese, sia per mezzo di seminari e conferenze sia pubblicando testi su autrici come Anne Sexton e Gertrude Stein, e sul contributo femminile ai vari movimenti d’avanguardia del Novecento. La risonanza ottenuta da Ellas tienen la palabra arricchisce l’orizzonte di ricerca della critica e della storiografia letteraria, al punto che la stessa Real Academia Española pubblica nel 2000 un volume dedicato all’ultimo quarto del XX secolo, dal titolo Poesía y mujer: una identidad múltiple. Nel ventesimo anno dalla sua comparsa Ellas tienen la palabra viene nuovamente pubblicato nel 2017, in una edizione aggiornata e arricchita dal titolo Ellas tienen la palabra. Las mujeres y la Escritura. Nel 2019 Benegas pubblica una raccolta di articoli, recensioni e interventi in Ellas resisten. Mujeres poetas y artistas 1994-2019 (Huerga&Fierro, Madrid).
È membro della Asociación de Críticos Literarios de España e della giuria del Premio Nacional de la Crítica, oltre che del massimo riconoscimento poetico delle letterature ispano-lusitane, il Premio Reina Sofía de Poesía Iberoamericana.
tarquini.francesco@fastwebnet.it
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