FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 59
novembre 2021

Rovine

 

FRANCO FACCHINI, LA PARVENZA DEL VERO

di Alessio Brandolini



La parvenza del vero è una voluminosa e bella raccolta in versi di Franco Facchini, poeta nato a Bologna nel 1951 e che dal 2003 risiede in Svizzera. Suoi libri sono usciti in edizioni preziose, esili ma per lo più rare o introvabili: un lavoro poetico costante nel tempo ma solitario, schivo, da scrittore tendenzialmente nomade. Questo suo libro pubblicato nel 2020 nella collana “Le Ali” diretta da Fabio Pusterla, per conto della casa editrice milanese Marcos y Marcos, più che un’antologia è un vasto percorso che perlustra la poesia dell’autore bolognese a partire dal 1985 fino ad arrivare al 2015, con parecchi inediti all’interno.

Una densa raccolta poetica frazionata in nove parti che è una rara e acuta indagine, nel panorama poetico contemporaneo italiano, dell’oscurità profonda e ostinata che circonda tutte le cose: le cose che vediamo e che ci osservano. Uno zibaldone poetico dal tono per lo più monocorde e oracolare, che gira intorno a se stesso con scostamenti minimi, variazioni dell’istante che cambia in continuazione ma la sua sostanza resta immutabile, sequenze dove il respiro confina con la morte, con la menzogna dell’evidenza. Un libro percussivo e contundente in questo suo ragionare/meditare in modo martellante su un pensiero che sembra appeso al vuoto, alle nuvole, un indagare ossessivo sull’apparenza, sull’immagine che inganna, sulla vera natura di ciò che ci sta davanti agli occhi: non è facile raggiungere il centro delle cose, decretarne il senso e poi lo spazio osservato si allarga e diviene incontrollabile.

Tutto viene messo in discussione, analizzato e la poesia serve a dare una “parvenza del vero” che resta comunque irraggiungibile. Con ostinazione si esplora il nulla e il vuoto, l’incertezza e la paura, le vibrazioni di ogni moto interiore. I testi poetici di Facchini spesso sono brevi monologhi (nessuna poesia ha titolo) segnati dalla solitudine, dubbiosi sul senso della vita e sull’esistenza umana e sicuri invece, per dirla con Thomas Bernhard, che ogni cosa è ridicola se paragonata alla morte. Il senso del fallimento dell’agire infatti distanzia da tutto ma non dalla nebbia che ci portiamo dentro.

Un libro dove il pensiero consegna allo sguardo la sua mediocrità, dove il tutto è parte del niente, dove l’io è in lotta tra l’essere e il figurare, in bilico nei precipizi della notte. Un diario poetico-filosofico ma senza date, luoghi, storia e persone. Ci sono le cose osservate (nella realtà quotidiana e nel ricordo): le foglie, il mare, gli uccelli, le pietre, i colori, le ombre e c’è l’ascolto: della musica, dei rumori e del silenzio che si espande e satura l’aria.

Una poesia singolare e lucida quella di Franco Facchini, cavillosa, dal taglio epigrammatico e metafisico che dà il meglio di sé quando ammorbidisce il controllo rigoroso del pensiero e diventa meno caparbia e ossessiva nell’analizzare ogni sfumatura e si lascia sorprendere dal mattino, da un improvviso tramonto o dall’inutile guardare.




POESIE DI FRANCO FACCHINI
da La parvenza del vero
Marco y Marcos, 2020, pp. 236, euro 20


*

Guardo, e le cose che vedo sembrano essere tali.
Poi, per una volontà incosciente, non vogliono più esserlo.

E mi sostituisco a loro, divento la figura
del silenzio e dell’alito nascente alla fine della voce.

Poi sono qualcosa che non definisce né me né quello
che guardo. Sono costretto tra l’essere e il figurare.

E loro mi guardano, e non hanno più nome e identità.
Mi guardano, assurde, mentre sprofondo nel loro nome.


*

Ogni cosa è in altra nascosta, lontana da sé,
quando più chiusa nel corpo della sua sembianza.

Non la trovo, se non la perdo di vista,
e per un attimo sono tutto quello che non vedo.


*

Negli ampi spazi si accede
al maggiormente vuoto.
Lo sguardo è nel solito perpetuo
distacco da sé, e in sé smarrisce
il senso dei confini.

Più si apre il mondo, e più dentro di noi
ci perdiamo. Più lo spazio diventa
grande e incontrollabile, e più sentiamo di essere
costretti, chiusi nei contorni dell’anima
inascoltata delle cose.


*

Guardando una cosa attentamente, mi sono accorto
di non poterla vedere, di non poterla capire.
Una semplice cosa banale, sola, imperturbabile.
Guardavo i suoi contorni, la sua forma, i suoi colori,
la sua superficie sconsolata. Sono entrato dentro
la sua profondità più lacerante e prossima
al senso che la scuote. Ne ho guardato il moto, il silenzioso
restare, l’origine, la natura, ma non sono
riuscito a vederla, a modellarla con la mia condizione.
Intendo dire vederla davvero, con la stessa certezza
di sapere non soltanto il suo pretestuoso nome,
ma anche la sua concreta apparenza. Non dico
la sua ragione, ma almeno il suo peso nel mondo,
la sua irrilevante presenza. Ne sono così
rimasto fuori come mai ne sono stato fuori
da qualcosa, estraneo, proprio quando mi è sembrato
di raggiungerne il centro e decretarne il senso.


*

C’è un’altra verità
oltre a quella che ci preclude
la chiara visione:
la menzogna dell’evidenza.


*

Lo sguardo è opera di un pensiero anteriore,
mobile e inaffidabile, intatto e intoccabile.
Scivolando perennemente nell’ombra,
va a sistemarsi nell’oscurità della mente.
Astratto, si muove e rimane nella sua disparità,
contiene la percezione del mondo in una bruma sottile,
elenca le varie fasi di ogni pensiero comune,
determina il mutamento sempre fuorviante
degli oggetti e del valore di ogni impressione o idea
del visibile, attraverso il suo lontano moto interiore.


*

Quando capisco, o mi sembra di capire,
davvero esisto, davvero sono
nella coscienza di essere?
Non mi confondo, invece?
Voglio dire, non è che confondo
la comprensione con il senso
che la distingue
da quello che dal fondo oscuro
dell’inudibile
soffocando risale?


*

Il giorno esiste
in quella sua
impossibile luce

e noi lo rivestiamo
del nostro sguardo
mutandolo

ogni volta
che ci accorgiamo
di essere

e noi siamo
il sorprendente mattino
l’improvviso tramonto.


*

Sono stato e rimasto nei precipizi della notte.
Ho guardato i suoi colori, percorso la lunghezza dei suoi silenzi.

Il brillio delle stelle innamorate della oscurità sospirante
immerse in quel segreto che le illumina
mi ha costretto a pensare quanto sia bello l’inutile guardare.

E dentro la notte mi sono fermato,
e la notte ha sporto il suo volto
e s’è messa a guardare, penetrando ogni peso o ragione
nel corpo del senso di ogni cosa invocante
tra stella e ricordo di quella stella
tra luce e assenza di quella stessa luce.




Franco Facchini
è nato a Bologna nel 1951 e nel 1992 si è trasferito a Trieste dove ha vissuto fino al 2003, per poi trasferirsi a Zurigo fino al 2016. Attualmente vive a Bellinzona.
Ha pubblicato, oltre a diversi libri di filastrocche e opuscoli con artisti, i seguenti libri di poesia: In modo che niente (1988), L’attigua estremità del mondo (1988), Nei cieli di niente (1999), Nella voce che mente (2001), Disperata e senza luogo (2012, con un’acquaforte di Mimmo Paladino), La parvenza del vero (2020) e 8 Canzonette (2021).
Nel 1983 un suo radiodramma, Regolamento di conti, è stato trasmesso da Rai Radio 2.
Nel giugno 2016 ha letto, alla RSI Radio 2, una parte dei suoi lavori in prosa dal titolo Al di là del luogo e Declinando il pensiero.


alexbrando@libero.it