Non ho pensato che attraverso il sudore della pelle. INGEBORG BACHMANN
*
Tutto è già accaduto tutto è fiamma e cenere
Troia non c’è più se mai è esistita
la sua storia la storia i destini
degli uomini si ripetono e nei libri
noi li leggiamo e ciò che è scritto adesso
i millenni lo copieranno all’infinito.
In via Nizza era esplosa una bomba
entrò nello stanzino delle scope
noi nel rifugio acquattati e poi l’urlo
della tabaccaia che trovò suo figlio
dilaniato fu la prima volta che seppi
del dolore della follia della rovina
voluta solo dagli uomini. Mia madre
mi avvolse più stretta nella coperta.
*
Si unisce al Dolore dolendosi insieme
ai vecchi infermi ingannati e nudi
nel regno universale degli esclusi:
il dolore sta nascosto in un sorriso
gentile e in paroline gentilissime
in catena con l’affabilità
dell’alfabeto affabile. Dolersi
è il suo unico impegno quotidiano
– non ora né labòra – si guadagna
il basso onore degli altari spogli
dei perdenti e morenti con gli accenti
balordi dolenti privi d’avventura.
È l’insensata sedativa cura
che culla i pianti inermi dentro i fogli.
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Balorda rabbia e balorda mitezza
balorda ingenuità e cedevolezza
per cosa e contro chi se la via Lattea
non scorre sui suoi occhi capovolti
di notte sotto la sua perlata scia.
Qui l’ombra di una formica e il libro
ottuso con le sue righe imbelli
che non vanno scivolando sulla sua
testa come strada aperta ma sulla scrivania
in bilico e lei oscilla ai muri s’aggrappa
ai buchi del soffitto alla lanugine
delle tarme, l’aria strappa e la pelle
e le pupille e alla voce sbucciata
che nulla dice nulla disse e dirà
*
Ansia angoscia rovina disincanto
e le rovinose figure del dolore
non li cancella il fresco vento serale
non torna più bambinella al mare
o nel grembo di sua madre che diceva
ricordati di non invecchiare e recitare
la commedia fino alla fine e ridere
anche tra le lacrime se riderai
sempre come un pagliaccio imparerai
che al mondo bisogna fingere e se
nessuno applaude e non ti darà nulla
applàuditi da sola e a testa alta
esci di scena sconfitta con orgoglio.
Tutto l’orgoglio rimase a sua madre.
*
Continua a scrivere e non sa perché
non ha nulla da ricordare nulla
di lei che abbia avuto un senso
quando la vita è un nastro bianco netto
come il corpo chiuso nel cassetto
dove si ripone il revolver inesploso
in attesa che spari per difesa
e ci sono ombre di notte in giardino
qualche fruscìo ma è il cane del vicino
e la luna che si affaccia già sbiadita
muta non parla più di quella vita
sognata in previsione della vita
e di grandi avventure del coraggio
in primavera quando arriva maggio.
*
Il corpo è nel cassetto e l’anima
si nasconde sotto il tappeto vecchio
come la polvere e il caldo sentimento
è zucchero nel tè straccio nel secchio.
Voleva perdere la sua identità
volando alto sopra la città
senza più porsi quelle domande
chi sei cosa vuoi cosa pensi e farai
oggi domani mai.
Un tempo le donne colmavano il tempo
facendo figli e faccende tacendo
su tutto il resto la vita e la morte
le mescolavano insieme alle torte.
Vive assai meglio chi sfama la sorte.
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Voleva perdere la sua identità
e non sa ancora se l’ebbe davvero
non volle mai cambiare la figura
l’infanzia il desiderio ed il pensiero
soltanto non vuole più essere lei
non essere più un’umana creatura
ma appartenere solo all’universo
sotto altra forma o colore e leggera
spalancarsi e ridere. Nelle favole
gli animali diventano umani
massimo premio degli dèi, ma lei
chiedeva loro un’opposta magia:
mutarsi voleva in animale
divino di compagnia.
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