FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 58
luglio 2021

Amici & Avversari

 

EDGARDO DOBRY, EL PARASIMPÁTICO

di Francesco Tarquini



I sette testi poetici dell’argentino Edgardo Dobry qui tradotti sono un’anticipazione da El parasimpático, in uscita a settembre per lo spagnolo Club Editor. Un titolo singolare nel suo richiamarsi a quella parte del sistema nervoso che regola le attività del corpo a riposo stimolando la quiete, il rilassamento, il raccogliersi invece dello spendersi dell’energia; e che pare ben accordarsi con la gestazione del libro, che non nasce, per espressa dichiarazione dell’autore, da un progetto preciso, ma piuttosto da un aggregarsi di testi slegati, da un miscelarsi di umori diversi, di occasioni immediate e casuali: forse accostabile a un quaderno di annotazioni, che assumono però forma definitiva attraverso una compiuta elaborazione poetica.

Ultimo arrivato dopo El lago de los botes, Cosas, Contratiempo – quest’ultimo pubblicato a mia cura nel 2015 da Fili d’Aquilone con il titolo Contrattempo –, libri saldamente strutturati attorno a un nucleo centrale, El parasimpático – come lo stesso Dobry dichiara in una sua nota – “è probabilmente un libro strappato al silenzio, o alla vaga certezza che non avrei mai più scritto poesia”.

Tuttavia è proprio attorno a questa “vaga certezza” che il libro, sciolto com’è da ogni progettualità “forte”, costruisce per associazione e aggregazione la propria unità; raccogliendo quell’istinto da flâneur che in Contratiempo guidava il poeta nei labirinti urbani dimora di un’umanità mercificata, e che nei due libri precedenti già citati lo conduceva a penetrare negli spazi della memoria: la memoria di un trapiantato che trattiene la presenza del paese natale non soltanto attraverso i ricordi del vissuto, ma anche afferrandosi a tutta quella imagery proveniente da un mondo di letture e che funziona nella poesia di Dobry come stimolazione di quelle che Proust chiama “intermittenze del cuore”, nelle quali la visione poetica lega insieme luoghi ed eventi lontani fra loro nello spazio e nel tempo, ritrovandone le segrete affinità.

I pochi testi qui presenti non danno conto di tutto lo spessore di un libro che si offre come in sottotono; sono tuttavia sufficienti a mostrare almeno tre dei nuclei tematici e stilistici che lo compongono. Il primo, già segnalato, è la città, l’andare per la città: Barcellona, con tutti i suoi sottili, impliciti richiami ad altre città, innanzitutto alla Rosario natale. Uno spazio esterno carico di suggestioni sensoriali: “la vite aspetta ottobre: / di porpora si son fatte le foglie, di viola e rame”; “non sopporta l’usignolo un così lungo giorno: / ripete un ritornello poi ti abbandona nella luce viola”.
Adiacente e non contrapposto sta lo spazio protettivo della casa; la casa come rifugio, come spazio del lavoro e del riposo, e in cui l’acqua nei tubi dell’impianto idraulico “circola dentro veloce più del sangue, / dentro il muro macchiato come un atlante”; la casa, in cui “dicono sia meglio restarsene al coperto, / la casa, fiala di durata imponderabile”.

Il terzo nucleo, direi, è costituito da uno dei fattori centrali di tutta la poesia di Dobry, l’idea del verso come alchimia che coinvolge l’uso di una lingua fatta di registri diversi e opposti, da un livello medio diciamo così, quotidiano, a un concettismo che l’autore definisce come “pulsión simbolista” e che rivela il suo legame profondo con una tradizione che in Góngora e in Mallarmé trova le sue punte di diamante.

La poesia di Edgardo Dobry si imbeve d’ironia, un’ironia sempre sottesa in quel suo andar raccogliendo attimi, dettagli, frammenti, voci, intensamente cosciente della natura transitoria, fuggitiva, contingente di ogni cosa, che Baudelaire definiva come “la metà dell’arte”. La poesia allora sembra voler cogliere gli attimi, i dettagli, i frammenti, le voci, fermandoli nella loro epifania, “un sole che oggi non è d’oro ma di sabbia e vapore / si spalma sulla città e trascura di lustrarla: / si è distratto fabbricando il tempo – è il suo mestiere”. L’ironia – che nel poeta argentino passa per il gioco di parole, la schermaglia con il senso, la sfida con la stessa lingua –, l’ironia, lo sappiamo, è anche una delle forme della melanconia: forse rito evocativo di una consolazione fugace in cui, dice lo stesso Dobry, “il dolore e la morte vengono per un attimo sospesi, come nel momento in cui il testo raggiunge quell’evanescente ma preciso istante d’intensità”.




POESIE DI EDGARDO DOBRY
dal libro inedito El parasimpático


PERSISTENCIA

Las máquinas que extraen el petróleo
picoteando el suelo como gallinas locas
están mientras tanto ordeñando el planeta:

de pronto es de mañana, huele a orden.
Temporada alta de las supersticiones:
cuervos y ciervos husmean el peligro

tras la membrana de azar que los divide.

Octubre y noviembre se fueron en cosas
nada memorables y en estar pendientes
de otras cosas sin trascendencia alguna.
El corazón fue vendimiado en septiembre

y ahora un mosto con sabor
a miedo debajo de un alambre.


PERSISTENZA

Le macchine che estraggono il petrolio
come galline impazzite becchettando il suolo
al tempo stesso mungono il pianeta:

e subito è mattina, e odora d’ordine.
Per le superstizioni è alta stagione:
corvi e cervi annusano il pericolo

dietro il caso che come un filtro li divide.

Ottobre e novembre se ne sono andati
in cose non degne di ricordo, dipendendo
da altre cose di nessuna importanza.
In settembre è stato vendemmiato il cuore

e adesso un mosto che ha sapore
di paura sotto un filo spinato.


LO IMPLÍCITO

Eso que llamamos caminar era una mancha
de sombra sobre el sol. Si dices la verdad,
si rescatas una nuez de su ataúd labrado,

una vez serás cazado en el haz de lo ya dicho
a la luz de lo que calla en el filo del aliento
o apenas se insinúa; aun casa no habrá.

Lo que arruinaba la calma es ruido cuando
el aire es nuestro, no ensombrecido de palabra.


L’IMPLICITO

Ciò che diciamo camminare era una macchia
d’ombra contro il sole. Se dici il vero,
se liberi una noce dal suo feretro adorno,

presto ti pescheranno con le mani nel già detto
alla luce di quanto sul filo del respiro tace
o si infiltra appena; non ci sarà per te nessun riparo.

Ciò che turbava la calma è rumore quando
l’aria appartiene a noi, senza velo di parole.


EL CASO QUE VA Y VIENE

Nos sigue la sombra de nuestro caminar.
¿Espera de nosotros consistencia, algo compacto,
solo porque no supimos suprimirla?

Será el único borrón de nuestra disolvencia
cuando fuimos sacados a la luz de una negociación.

Habíamos tenido suficiente entrenamiento
pero el intercambio fue con otras reglas
–eso no nos dejaron discutirlo, por supuesto–

y el póster que trajimos caducó enrollado.
Uno de nosotros dijo: “La sinceridad fue el punto débil”.
Leña y tejas, y otras cosas que van y vienen del caso,

hamacas atadas a los paraísos del sueño.
Caravana de sospechas y una carestía

de sedantes cuyo principio activo es la tinta.
Nosotros nos perdimos en nuestro extravío
y cada tanto escuchamos un recálculo impiadoso.

Queríamos ver el plumaje sobre el muro de una jacaranda
o un ciclamen mezclado entre macetas de albahaca

cuyas hojas se estremecen ante el olor de la cocina.

... pero al mirar hacia donde hablábamos
no había nadie más que nuestra sombra.


IL CASO CHE VA E VIENE

Ci viene dietro l’ombra del nostro camminare.
Consistenza, compattezza, che si aspetta da noi,
solo perché non ci riuscì di eliminarla?

Sarà stata la sola macchia sulla nostra dis-solvenza
il giorno in cui fummo costretti a contrattare.

Ci eravamo allenati al punto giusto
ma la transazione si fece con regole diverse
– ovviamente discuterle non ci venne permesso –

e ingiallì nel suo rotolo il diagramma che avevamo portato.
Disse uno di noi: “La sincerità, è stata il punto debole”.
Legni e tegole, e altre cose che vanno e vengono dal caso,

amache appese ai paradisi del sogno.
Carovana di sospetti e una penuria

di sedativi con inchiostro come principio attivo.
Nel nostro smarrimento ci smarrimmo
ogni tanto costretti a un ricalcolo inclemente.

Avremmo voluto vedere il piumaggio di una giacaranda
o un ciclamino venuto su fra i vasi di basilico

le cui foglie trasaliscono all’odore di cucina.

… ma guardando verso dove parlavamo
nessuno c’era salvo la nostra ombra.


INTERIORISMO

Los cilindros con los brazos
agarrados a los muros interiores

recogiendo el agua de las duchas
y de los platos con estrías de mostaza

–quién los hubiera pensado, quién
habría tenido una idea semejante.
Oscuros aire-y-luz, rayas de cable,

cobre ocioso trabado en bridas blancas,
gas angosto, túnel o tubo
abre los brazos sobre su cabeza

y sobre la tuya también,
circula adentro más rápida que sangre,
en el muro con manchas como atlas,
sudarios de fantasmas que durmieran

una noche tórrida apoyados
contra una ventana lenta.

El agua obedece solo al peso
y van a buscarla sin demora, sin hora,
para hacerla correr entre sus troncos

huecos, oscuros como un cuerpo,
hacia sus pies de alcantarilla como un sueño.
Desde la canoa de la cama

son la algarabía que releva al ruido
cuando la claridad se enfría y el agua
recogida de las duchas atraviesa tu cabeza,

después de recorrer larga sentina

que se espirala.


ARCHITETTURA D’INTERNI

Cilindri che si aggrappano
con le braccia ai muri interni

raccogliendo l’acqua delle docce
e dei piatti striati di mostarda

- a chi saranno venuti in mente, chi
avrà mai avuto un’idea come questa.
Oscuri aria-luce, linee di cavi,

rame inattivo saldato in bianche flangie,
gas rinchiuso, tunnel o tubo
apre le braccia sopra la sua testa

e anche sulla tua,
circola dentro veloce più del sangue,
dentro il muro macchiato come un atlante
sudari di fantasmi che una caldissima notte

abbiano dormito appoggiati
a una lenta finestra.

L’acqua obbedisce solo al peso
e senza sosta la vanno cercando, senza orari,
per lasciare che scorra fra i suoi fusti

cavi, oscuri come un corpo,
come un sogno fino ai suoi piedi di cloaca.
Dalla canoa del letto

è un parlottìo indistinto che acuisce il rumore
quando il chiarore si raffredda e l’acqua
raccolta dalle docce ti attraversa la testa,

dopo aver percorso una lunga sentina

che si allunga a spirale.


AFUERA

Buganvilia y viña virgen viven
abrazadas sobre el muro medio en ruinas.
Nadie cuida de las plantas
y la buganvilia reina
en la canícula inhumana.

La viña espera a octubre:
las hojas fueron púrpura, viola, cobre;
un mes dura el juego de las transiciones.

Nada de eso depende de nosotros
pero no existiría sin nosotros,

si no viéramos los dedos de la tarde
entre dientes de cobre y viola.


DI FUORI

Abbracciate, buganvillea e vite americana
vivono sopra il muro cadente.
Delle piante nessuno prende cura
e la buganvillea signoreggia
nella canicola crudele.

La vite aspetta ottobre :
di porpora si son fatte le foglie, di viola e rame;
un mese dura il gioco delle mutazioni.

Di questo, niente ha origine da noi
ma senza noi non avrebbe esistenza,

se non vedessimo le dita della notte
fra denti di color rame e viola.


DÍA APROVECHADO

Escaso, el cansancio que nos queda
huella el día graso en las carpetas.
El ánimo se parte en nada y sueño

y esa mueca pálida al trasluz con filo
de asombro en torno al cuello
quiere ahuyentar la mosca que lo humilla,
desnuda como está, siempre despierta.

Cristaliza a mediodía sombra fina:
el tallo piloso de la amapola leve.
Pero el centro está centrifugado,
el escaso cansancio que nos queda.

Si del montante de placas de esta tarde

quedara un gramo de rubor alcanzaría
para un consuelo vago.
En una malla de mucho mal ajeno

cabe todo lo que pasó, lo no vivido.

El futuro, que era ayer profundo,
es ahora aliento frío sobre el vidrio.
Dice que es mejor quedarse adentro,

la casa, un frasco de ingrávida perduración.


GIORNATA OPEROSA

La stanchezza che ci resta, poca cosa,
lascia tracce sull’unto delle pagine.
Lo spirito si scinde in nulla e sogno

e questa smorfia esangue in controluce
con tagliente sconcerto attorno al collo
vuole scacciare la mosca tormentosa,
nuda com’è, perennemente sveglia.

Ombra sottile si cristallizza a mezzogiorno:
stelo lanoso del papavero lieve.
Tuttavia il centro si è centrifugato,
la stanchezza che ci resta, poca cosa.

Se dalla concentrazione di piastrine di questo pomeriggio

avanzasse un grammo di rossore basterebbe
per un sollievo incerto.
In una rete colma d’altrui male

entra quello che è stato e il non vissuto.

Il futuro, così profondo ieri
ora è alito freddo sopra il vetro.
Dicono sia meglio restarsene al coperto,

la casa, fiala di durata imponderabile.


MAÑANA DE VERANO, BARCELONA

1.

Mediados de julio: el sol adolescente
atolondrado se levanta con hambre y resacoso
y husmea entre las mermeladas del colmado Quílez.

Las acacias, en fila, pasarán el día pensando
con rencor en el mar y en la tormenta
que apenas llegará en octubre.

(Un transeúnte se sacude
las bermudas y caen de las arrugas
trescientos pasos no dados).

Cerca del puerto, Colón señala altivo
por sobre las crestas de salmuera sucia
hacia la tumba de tu madre

que no has visitado este año
y él, severo, lo sabe.

“¡Desgraciado almirante! Mejor
te quedes ahí arriba –le decís,
sin palabras–. Las cosas se han puesto
últimamente feas para las estatuas”.

2.

Un sol que hoy no es de oro sino de arena y vaho
unta la ciudad y se olvida de lustrarla:
se distrajo fabricando el tiempo –es su trabajo.
Cada cosa palpa su sombra
para consolarse en que sigue siendo opaca.

Podés leer en el diario que hay muertos
por golpe de calor y solamente
cuando mencionan los nombres y el barrio
se te ocurre pensar, sin gran alivio,
“no es de mí de quien hablan”.

3.

No te dictan estas líneas el amor o la musa;
son respuesta a una voz que a la hora de la siesta
es neutra como de encuestadora:

“Del pasado, ¿te acordás?”:
“Me acuerdo de la cabeza metida
en una olla con hojas de eucalipto,
del rubor estrellado de un abrojo en la rodilla,
de un río espeso como engrudo”.

“¿Y por qué seguiste a la Poesía?”:
“Porque te exige todo sin prometer nada”.
“En total, ¿cómo te fue en la vida?”:

“Eso preguntáselo mejor al fantasma
que envejece en la orilla del río espeso”.
“¿Y la muerte?”:

“La muerte debe ser como cuando
se corta la luz de golpe pero esta vez
ni siquiera a tientas vas a encontrar las sillas”.

4.

El ruiseñor no aguanta un día tan largo:
repite un estribillo y te abandona en la hora malva.

Cuando al fin podrás dormir la manzana
que ruborizaba tu frutero colgará
del limonero del vecino y además
los números de teléfono del pasado y del presente

se fundirán en cifras ya inverosímiles.
El dedo resbala en la pantalla de la luna
y se escucha una señal obstinada,
pipip, pipip, contradanza del ventilador.

(sobre un tema de J. Brodsky)


MATTINO D’ESTATE, BARCELLONA

1.

Metà luglio: il sole adolescente
si alza affamato e stordito,
e caccia il naso fra le conserve dell’emporio Quílez.

In fila, le acacie passeranno la giornata
pensando rancorose al mare e alla tempesta
che soltanto ad ottobre arriverà.

(Uno che passa si scuote
i bermuda e dalle pieghe cadono
trecento passi mai dati).

Vicino al porto Colombo indica altero
al disopra delle creste di sporca salamoia
la tomba di tua madre

cui non hai fatto visita quest’anno
e lui lo sa, severo.

“Ammiraglio di sciagura! È meglio
se rimani lassù – gli dici
senza parlare. – Da qualche tempo
per le statue le cose si sono messe male”.

2.

Un sole che oggi non è d’oro ma di sabbia e vapore
si spalma sulla città e trascura di lustrarla:
si è distratto fabbricando il tempo – è il suo mestiere.
Ogni cosa tasta la propria ombra
rassicurandosi perché è rimasta opaca.

Sul giornale puoi leggere che ci sono morti
per colpi di calore e solamente
quando riportano i nomi, il quartiere,
ti viene in mente, senza un vero sollievo,
“non è di me che parlano”.

3.

Queste righe non te le detta l’amore, né la musa;
rispondono a una voce nell’ora della siesta
neutra come in un sondaggio:

“Del passato, ti ricordi?”
“Mi ricordo della testa infilata
in una pentola con foglie d’eucalipto,
della chiazza rossa di un ginocchio graffiato,
di un fiume denso come colla”.

“E perché sei andato dietro alla Poesia?”
“Perché pretende tutto e non promette nulla”.
“E a conti fatti, come è andata la vita?”

“Questo dovresti chiederlo al fantasma
che invecchia sulla riva del fiume colloso”.
“E la morte?”

“La morte deve essere come quando
va via di colpo la luce però in questo caso
neanche a tentoni troverai le sedie”.

4.

Non sopporta l’usignolo un così lungo giorno:
ripete un ritornello poi ti abbandona nella luce viola.

Quando alla fine riuscirai a dormire la mela
che arrossava il tuo frutteto penderà
dal limone del vicino e per di più
i numeri di telefono del passato e del presente

saranno fusi in cifre inverosimili.
Scivola il dito sulla tastiera della luna
e si ode un segnale ripetuto,
pipip, pipip, contraddanza del ventilatore.

(su un tema di J. Brodsky)

Traduzione dallo spagnolo di Francesco Tarquini




Edgardo Dobry
è nato a Rosario, in Argentina, nel 1962, e dal 1987 vive in Spagna, a Barcellona. Ha pubblicato i libri di poesia Cinética (Buenos Aires, ed. Tierra Firme, 1999; edizione rivista e aumentata, Madrid, ed. Dilema, 2004), El lago de los botes (Barcellona, ed. Lumen, 2005), Cosas (Barcellona, ed. Lumen, 2008), l’antologia Pizza margarita (Città del Messico, ed. Mango de Hacha, 2011), Contratiempo (Buenos Aires, ed. Adriana Hidalgo, 2014).
Il suo più recente libro di poesia, El parasimpático, di cui qui diamo un’anticipazione, è attualmente in stampa presso Club Editor di Barcellona, e la sua uscita è prevista nel prossimo mese di settembre.
Accanto al lavoro poetico, Dobry svolge un’intensa attività di saggista e di critico militante. Il volume Orfeo en el quiosco de diarios; ensayos sobre poesía (Buenos Aires, ed. Adriana Hidalgo, 2007), raccoglie, tra gli altri, saggi su Mallarmé, Apollinaire, Kavafis, Luis Cernuda e Alejandra Pizarnik, e fornisce un quadro preciso delle generazioni poetiche argentine della seconda metà del Novecento. Ha fatto parte del comitato direttivo della prestigiosa rivista Diario de Poesía di Buenos Aires fino alla sua chiusura nel 2011; è collaboratore abituale di Babelia, supplemento culturale del quotidiano El País di Madrid, e del quotidiano Clarín di Buenos Aires. Collabora inoltre alla rivista Letras Libres, pubblicata a Madrid e in Messico. Nel 2017 Arpa Editores di Barcellona ha pubblicato un suo acuto ed esaustivo libro su uno dei grandi miti della cultura moderna, Historia universal de Don Juan.
Dobry è professore di letteratura ispanoamericana all’Università di Barcellona, e di poesia contemporanea presso il Master di Teoria della Letteratura della stessa Università.
Appassionato cultore della poesia italiana del Novecento, ha tradotto opere di Giorgio Caproni e Sandro Penna, oltre a diversi saggi di Giorgio Agamben, Luciano Canfora e Roberto Calasso.


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