Mentre leggo Senza titolo (Sin título) di Jorge Eduardo Eielson, mi sembra di essere seduto su una spiaggia davanti all’oceano calmo; le poesie che compongono la raccolta sono onde, il loro ritmo cela la delicatezza e la forza dell’acqua, la semplicità e l’immensità delle sue dimensioni, la serenità e il mistero delle profondità.
Oggi vorrei parlare del mio concerto
Di stracci del mio sassofono
Di velluto azzurro del mio clarinetto
Che sale e scende come il sole
Fino a raggiungere la divina incandescenza
Del tamburo e la trombetta. C’è inoltre
Un pianoforte di feltro viola
La cui note coprono l’orchestra
Come la marea. Così la musica
Non si sente il silenzio si disegna
Nella retina e il ritmo
Il ritmo il ritmo
È sempre atroce e sovrano
Come l’oceano{1}
Grazie al raffinato volume delle Edizioni Fili d’Aquilone, curato da Martha L. Canfield, oggi anche il lettore italiano può scoprire questo capolavoro unico, che rappresenta senza dubbio uno dei libri più significativi del maestro peruviano.
Parlare di una raccolta poetica così non è per niente semplice, sarebbe come descrivere l’oceano appunto; per questo utilizzerò le parole dei tanti critici che hanno dedicato la vita allo studio di Eielson e della sua opera. Ognuno di loro mi insegna che bisogna partire dall’inizio e senza fretta addentrarsi in questo oceano-universo che è il mondo artistico-biografico di Eielson, assaporare profondamente ogni passo, con la speranza che alla fine l’immersione in esso ci emozioni per sempre.
Il primo passo da compiere per parlare del libro è rappresentato dal primo elemento che ha la capacità di rapire il lettore immediatamente: quella elegante copertina che raffigura una famosa opera dell’Autore e quel titolo, che incuriosisce. Senza titolo, ossia un titolo che non è un titolo, auto-contraddittorio, come fa notare Susana Reisz.{2}
Nell’introduzione al libro, la curatrice del volume Martha Canfield, ci rivela l’affascinante genesi di una tale scelta:
Nell’edizione originale in spagnolo, uscita nell’anno 2000 per i tipi della casa spagnola Pre-Textos, Eielson non ha voluto darle un titolo con parole ma con un’immagine, e questa immagine che risulta nella copertina senza nessuna scrittura è precisamente la riproduzione di uno dei suoi nodi, un intaglio su legno e acrilico, Nodo, del 1985. Poi, considerando che non si poteva citare né catalogare un libro con un disegno, si rassegnò al compromesso di un titolo da inserire almeno nel fronte-spizio, e il libro si chiamò Sin título.{3}
Il gioco, se così lo si può chiamare, si espande anche all’interno: «In più, in armonia con l’assenza di titolo generale, decise di non intitolare le singole poesie, ma di evidenziare tipograficamente il primo verso, a mo’ di titolo».{4} Anche in un libro così soave Eielson sin da subito rompe gli schemi, eliminando la distanza tra il titolo ed il suo contenuto, in maniera che tutto si possa «dissolvere nel medesimo flusso della riflessione o come un frammento di una sola grande poesia».{5} Nella stessa direzione vanno anche tutte le altre scelte tipografiche: pochissima punteggiatura, maiuscole all’inizio di ogni verso, gli spazi bianchi che isolano parole e poesie, componimenti brevi centrati nella pagina che ricordano sculture; ogni elemento è parte di una strategia poetica che ha lo scopo di rendere Senza titolo un corpo unico, mediante una sorta di «annodamento silenzioso»,{6} caratteristico dell’intera opera artistica di Eielson, che in questa raccolta ci appare sin da subito evidente e spiazzante:
La stessa struttura macrotestuale del libro infatti compone un singolare intreccio, in cui le parole intessono un filo verbo-visivo che dall’ultimo testo rimanda all’epigrafe in un destino circolare come quello del nodo.{7}
Dunque, ancor prima di potersi addentrare in esso, proprio come se ci trovassimo davanti all’oceano, ci rendiamo conto con quale capolavoro abbiamo a che fare. Alfonso D’Aquino suggerisce che il libro si sarebbe potuto intitolare Senza poesie:
in quanto Eielson è un creatore di ‘libri senza parole’, e nella misura in cui le parole nelle sue mani tendono a diventare cose. Mai senza poesia. Prima e dopo il libro, esiste, come la vita che ha toccato, rimane.
E una volta che il nodo ha sostituito la parola e il mondo come metafora totale, il mago lo scioglie, e ciascuna delle sue corde è una corda trasparente... Legare e sciogliere: la rosa è immondizia e l’immondizia, domani, sarà rosa , poiché «Sono la stessa cosa».{8}
Contemplo l’immondizia
E vedo una rosa
Ma non una rosa nell’immondizia
Bensì l’immondizia divenuta rosa
Osservo una rosa e vedo l’immondizia
Che nutre la sua bellezza
Mediante la sua corolla e le sue radici
Così la rosa e l’immondizia
Sono la stessa cosa
Perché oggi sono immondizia
E domani rosa{9}
Ma oltre gli aspetti formali, forse è il linguaggio l’elemento più magico del libro che permette ai versi di essere stati scritti «tanto per l’occhio, da guardare nella loro forma, quanto per l’orecchio, da ascoltare nel loro suono».{10} Leggere è al contempo vedere e ascoltare: armonia, ritmo, semplicità, eleganza, musicalità, sobrietà e suggestione che nascondono una enorme «densità spirituale».{11} In ogni poesia si fondono parole e «si mette in evidenza la congiunzione di vari codici espressivi, disegno e parola, immagine e colore, linguaggio scritto e dipinto, meta cercata da sempre e pienamente ottenuta»;{12} e se consideriamo quanto l’arte per Eielson abbia sempre avuto un valore assoluto, senza che siano mai esistite differenze con la vita («non ho mai concepito il mio lavoro separato dalla mia esistenza personale, e molto meno dall’esistenza reale alla quale apparteniamo tutti»{13}), possiamo capire l’importanza artistica e umana di Senza titolo e di quanto sia stato fondamentale una pubblicazione italiana del testo.
Bere un bicchiere d’acqua è un fatto
Luminoso. È capire all’improvviso
La trasparenza dell’aria
Prima di diventare nuvola
È coprirsi il volto di lacrime
Senza rinnegare del sorriso
Bere un bicchiere d’acqua
È coprirsi di pioggia e di rugiada
E nel sollevare un solo braccio
All’altezza delle labbra
Trasformare il mondo intero
In un bicchiere d’acqua{14}
Ritroviamo, tra le pagine del libro, la stessa voglia di giocare e sperimentare di altre raccolte precedenti (vedi le poesie «Amo gli astri e le aurore» o «Mi piacciono gli uccelli bianchi»), la presenza dei colori basici e delle forme semplici delle sculture e delle pitture{15} o, in alcuni componimenti, le performance e le istallazioni, come questa poesia, capolavoro assoluto, strettamente legata a Dormir es una obra maestra{16} o La scala infinita:{17}
Copro il tuo corpo
Con un bianco lenzuolo
Sopra un letto ombroso
E l’unico fulgore che vedo
Sotto è la tua bellezza
Copro anche la luna copro tutto
Con un lenzuolo bianco
Perché tutto è per me una statua
Completamente nuda
Ma nascosta{18}
In definitiva, Senza titolo, più che un libro di Eielson, è Eielson stesso (o una sua parte). Dentro quelle parole c’è la sua Poetica e la sua Vita come in ogni sua altra opera, ma questo libro è una «sorta di riassunto di quasi tutte le mie tematiche, con alcune piccole innovazioni formali che mi sono sembrate necessarie»{19} e che aiutano noi a comprendere meglio la sua visione. A partire dalla tematica più immediata e pungente: la critica alla società in cui vive. Il mondo che lo circonda, quello delle logiche di mercato e dell’apparire, che riempie fino all’inverosimile di futilità la vita, sta perdendo (o ha già definitivamente perso) il contatto con le cose importanti dell’esistere.
Ormai tutto si fa velocemente
La rugiada
Si crea in un minuto
Lo sguardo non serve più
E al posto suo
C’è uno schermo
Che conosce tutto. Ma non importa
Restano ancora le magnolie
Le cose saranno più serie
Quando sparirà il dolore
O diventerà artificiale
La solitudine{20}
Per Eielson questo è inaccettabile, ma invece di scagliarsi con invettive e urla contro la decadenza morale dell’epoca in cui vive, sceglie di criticarla magistralmente con l’ironia che, per Alex Morillo Sotomayor può essere definita come un «ludismo crítico, vale a dire un gioco serio, reale e consapevole, che non ha nulla di superficiale, anzi porta con sé la convinzione eielsoniana di rinnovare la trascendenza del poetico come atto e discorso umanizzanti».{21} Forse per questo Eielson si definisce «un pagliaccio» e al contempo «un bimbo / Ancora» e combatte le ossessioni della modernità riabbracciando quelle culture perdute, come le preispaniche del Perù, connesse ad una simbologia cosmica,{22} che è l’unica in grado di immergerlo nel mistero della sua esistenza. Ecco allora che metaforicamente scava nel passato, nel suo «dorato Perù» e ciò che dissotterra è esattamente quello che stava cercando, se stesso:
Scavo nel mio dorato Perù
Un regno puro e trovo
Un cucchiaio. Scavo ancora
Ed esce il re con tutti i suoi gioielli
E la mia regina sotterrata
Il cui sguardo mi sconvolge
Scavo e scavo ancora
E sono le mie ossa ciò che ora trovo
E il trono insanguinato
Che laggiù mi sta aspettando{23}
L’infinitamente piccolo, ciò che ci circonda continuamente e sembra essere senza importanza (una bottiglia, una caffettiera, un cucchiaino) sono parte fondamentale del mondo di un «uomo impegnato a salvare qualcosa di prezioso che è sempre sull’orlo del vuoto»,{24} poiché rappresentano la porta verso il Tutto.
Le poesie fluiscono con quella stessa armonia, con lessico e immagini estremamente semplici, che potrebbero sembrare ovvie, se ci non rendessimo conto che propongono una segreta e sicura saggezza che si può solo esprimere con questa sequenza di atti e di oggetti quotidiani messi a confronto con la purezza dell’elemento naturale, la bellezza continuamente rinnovata dalla luce siderale degli astri, del mare, di un’infanzia permanentemente convocata affinché attraversi la maschera delle convenzioni.{25}
Senza titolo è qualcosa di straordinario e commovente: attraverso la visione della bellezza negli oggetti più semplici e meno considerati, si raggiunge la dimensione cosmica dell’esistenza e perfino il divino: «Per un artista inoltre - unica categoria in cui con una certa difficoltà mi riconosco - la bellezza, ogni forma di bellezza, è anche una manifestazione del sacro. [...] Per un artista la bellezza è Dio. Anche se l’artista è pagano, ateo o agnostico».{26} Attraverso la poesia, Eielson arriva al centro del Tutto, che è l’Amore.
Amo gli oggetti e le persone chiare
La rotondità della sfera
E la perfezione della squadra
Amo gli alberi verdi
E le mele rosse
Ma senza sapere il perché
Amo pure l’ombra
E il mio ombroso cuore non lo sa nemmeno
Lo saprà forse la statua
Di quella ragazza che mi attende notte e giorno
Sprofondata tra le mie ossa?{27}
«Amo pure l’ombra / E il mio ombroso cuore non lo sa nemmeno» ci dice e questo ci fa capire quanto questo amore abbia preso una forma assoluta: amare l’ombra significa non avere più paura, comprendere che la sua esistenza è la prova dell’esistenza di una luce. Così come il «nulla», il «vuoto» o il «silenzio», diventano elementi di cui essere grati, quasi da imitare, poiché essendo “privi” possono avere la condizione implicita di essere pronti a ricevere. Una visione della vita influenzata dall’incontro con il buddhismo:
[…] il buddhismo, per la profonda e serena bellezza dei suoi fondamenti, è stato per me da quando l'ho scoperto, più di 40 anni fa, una fonte inesauribile di bene e insegnamenti che non cesserà mai. Penso che sia la filosofia (nel mio caso non la accetto come religione) più vicina alla mia attività artistica, quando si crede fermamente che la vita è un’arte, la più alta e la più difficile di tutte. Quello che lei chiama “solitudine e vuoto” che sfocia in un’accettazione dell’esistenza in quanto tale e nient’altro, lo devo al buddhismo. Che questo si rifletta nella mia traiettoria creativa, è naturale. Ma non mi è servito per raggiungere nulla di straordinario, perché non c’è niente di più straordinario del vivere.{28}
Claudia Ianniciello indica Senza titolo come «il libro indubbiamente più “Zen” di Eielson»:{29}
L’ultima poesia eielsoniana è poesia vuota, cioè piena di universo. Apparentemente semplice, sia nella forma e nella varietà lessicale, sia nel repertorio di immagini, tutte tratte dal mondo delle cose ordinarie (la macchinetta del caffè, il bicchier d’acqua, la televisione); essa celebra il più sacro rituale, quello del vivere quotidiano, in cui ogni piccolo oggetto familiare e domestico assume valore trascendente. Come il cucchiaino, su cui si posa il sole e che contiene «tutto il firmamento acceso» («Canto la bellezza della mia caffettiera usata»), o come la casa, che si espande a dismisura ed è grande e infinita come la terra, o meglio come una stella («So perfettamente che la mia casa»). Il poeta diviso del principio, nel buddhismo riscopre la sbalorditiva unità dell’esistente, e se all’inizio soffriva perché non riusciva a raggiungere il cielo, finalmente, appropriandosi dello sguardo rotondo e stupefatto del saggio Zen, comprende che tutta l’esistenza terrena trabocca di assoluto.{30}
Canto la bellezza della mia vecchia caffettiera
Vera clessidra
Dove il mio tempo finisce
Grazie a essa ho imparato
L’amarezza e lo zucchero della vita
Grazie a essa ho trovato
Il sole fissato sul mio cucchiaio
E tutto il firmamento acceso
Dall’indescrivibile fragranza
Della mia caffettiera{31}
Le poesie di Senza titolo, spogliate di ogni illusione o artificio, «contengono potenzialmente, in modo allusivo o simbolico, l’universo, e quindi la sua stessa perfezione e l’indiscutibile logica, ovvero la sua stessa chiarezza».{32} E come l’universo si muovono «con vertiginosa lentezza (valga il paradosso) verso la luce, punto di fusione in cui la materia multiple, poliedrica, eterogenea, diventa luce, splendore unico, cristallizzazione spirituale. E qui, proprio qui, quando sembra che tutto abbia raggiunto il suo apice, sia attraverso la via della vita che attraverso la vita della morte, si entra nell'origine, fons et origo, del Cosmo».{33} Ne è un esempio «Vedo le linee di Nazca», assoluto capolavoro, in cui attraverso il movimento le tracce di una civiltà passata prendono vita e lo connettono al cielo, facendo al tutto acquistare un «nuovo significato sublime, celestiale»,{34} permettendogli di «toccare il cielo con le mani»:{35}
Vedo le linee di Nazca
Sul palmo della mia mano vedo
La coda della scimmia nel mio cervello
E molte altre linee
Che attraversano la mia pupilla
Il mio cuore e i miei sensi
E finiscono per terra
In raggianti spirali
Come se brillassero
Come se copiassero
Quelle del cielo{36}
Per il lettore però, il ruolo non è quello del semplice spettatore, perché le luci della poetica di Eielson sono «punti di appoggio e la soglia che trasporta molti degli aspetti della sua opera […] che si riverseranno sul mondo; e più specificamente, su ognuna delle creature che lo abitano».{37} La cosa che colpisce di più chi legge Senza titolo è il coinvolgimento, sentire il desiderio di raggiungere quel silenzio e quello stato a cui l’Autore è arrivato.{38} Il senso di pace che si respira nel libro è contagioso, così come la voglia di entrare in contatto con una dimensione dell’esistenza più alta di quella che siamo abituati ad accettare, soprattutto vedendo che a volte basta prestare attenzione semplicemente all’essenza delle cose che ci circondano.
I libri che preferisco non sono di carta
Bensì d’erba di legno
Di alabastro di misteriose materie
Che forse non esistono
Antichi libri di pietra
Incisi con il sangue e con il pianto
Scritti dalla pioggia
Lungo i secoli che ormai nessuno legge
Né conosce. Ma il mio libro preferito
Non è di cristallo né di torba
Ma di pelle e ossa ha le pagine
Di seta come le tue guance
Ed è sacrosanto{39}
José Ignacio Padilla suggerisce che Senza titolo «non accoglie né un estremo né l’altro: il suo posto è nel centro eterno del centro: il vuoto oltre il vuoto».{40} Un bellissimo pensiero che mi avvicina al concetto di Dio e forse mi spiega anche perché considero questo libro una sorta di breviario, dove le poesie sembrano scritte da asceta che ci insegna ad apprezzare la bellezza delle creazioni, dove le piccole cose diventano infinite. Ecco quindi che ritorno all’immagine iniziale: Senza titolo è un oceano e spetta al lettore decidere se rimanere a osservarlo in tutto il suo fascino o immergersi con illuminazione nelle sue profondità.
Brillante maestro trasparente
È stato il mio mare. A forza di nuotare
Nelle sue acque salate di cavalcare
Le sue alte onde ho imparato a vivere
Sulla terra. A capire
Che il silenzio può essere tutto
A leggere nelle stelle con chiarezza
A non confondere l’acqua con la spuma
Né la spuma con la vita
Soltanto col nuotare ma anche col piangere
Ho scoperto il sale che ci legava
E il pesce azzurro della nostra origine
Completamente solo
Con le onde{41}
Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, a cura di Martha L. Canfield, Edizioni Fili d’aquilone, 2020, pagg. 131, euro 15.
{1}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, a cura di Martha L. Canfield, Edizioni Fili d’Aquilone - n. 2 della collana Fili d’oro, Roma 2020, p. 65.
{2}Cfr.: Susana Reisz, «Eielson visionario», in José Ignacio Padilla (ed.), Nu/do : Homenaje a J. E. Eielson, Pontificia Universidad Católica del Perú, Lima 2002, pp 415-419.
{3}Martha L. Canfield, «Come annodare forme con parole», in Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., pag. 7.
{4}Ibidem.
{5}José Miguel Oviedo, «En nombre de la poesía», in Martha L. Canfield (ed.), Jorge Eduardo Eielson. Nudos y asedios críticos, Iberoamericana - Vervuert, Madrid 2002, p. 208. Propongo nelle mie traduzioni questa e tutte le successive citazioni che provengono da libri in spagnolo.
{6}Alex Morillo Sotomayor, La poética nodal: el nudo y suo fundamentación estética en la poesía escrita de Jorge Eduardo Eielson, Fondo Editorial de la Universidad Nacional Mayor de San Marcos - Paracaídas editores, Lima 2014; p. 235.
{7}Claudia Ianniciello, «Eielson nell’universo buddhista», in Sandro Chiri Jaime e Javier de Taboada (eds.), Palabra, color y materia en la obra de Jorge Eduardo Eielson. Actas del Congreso Internacional realizado por la Casa de la Literatura Peruana, Casa de la Literatura Peruana - Estación La Cultura/Animal de Invierno, Lima 2016, p. 94.
{8}Alfondo D’Aquino, «La escritura vacía», in Jorge Eduado Eielson. Nudos y asedios críticos, cit., p. 163.
{9}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 61.
{10}Daniela Marcheschi, «Lavorare la parola, lavorare lo spazio: note su J.E. Eielson e Mario Vargas Llosa», in Martha L. Canfield (a cura di), Perù frontiera del mondo. Eielson e Vargas Llosa: dalle radici all’impegno cosmopolita = Perù frontera del mundo. Eielson y Vargas Llosa: de las raíces al compromiso cosmopolita, Firenze University Press, Firenze 2013, p. 162.
{11}José Kozer, «Sin título de Jorge Eduardo Eielson o la amalgama se recoge hacia la luz», in Nu/do..., cit., p. 471.
{12}Martha L. Canfield, «Una biografía artística y literaria», in Jorge Eduardo Eielson. Nudos y asedios críticos, cit., p. 29.
{13}Claudia Posada, «La matriz celeste en Jorge Eduardo Eielson», intervista, in Jorge Eduardo Eielson, Ceremonia comentada. Textos sobre arte, estética y cultura 1946-2005, Luis Rebaza Soraluz (ed.), Fondo Editorial del Congreso del Perú - Museo de Arte de Lima - Instituto Francés de Estudios Andinos, Lima 2010, p. 458.
{14}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 87.
{15}Cfr.: José Muñoz, «Siete miradas a Sin título de Jorge Eduardo Eielson», in Nu/do..., cit., p. 480.
{16}Performance realizzata nella Galleria 9, Lima 1978.
{17}Installazione eseguita nella mostra della Galleria Lorenzelli, Milano 1998.
{18}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 67.
{19}Claudia Posada, «La matriz celeste...», cit., p. 459.
{20}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 10.
{21}Alex Morillo Sotomayor, La poética nodal..., cit., p. 56.
{22}Cfr.: Antonio Melis, «Essere e avere nelle ultime poesie di Eielson», in Perù frontiera del mondo..., cit., p. 85.
{23}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 83.
{24}José Miguel Oviedo, «En nombre de la poesía», cit., p. 208.
{25}Helena Usandizaga, «Sin título, de Jorge Eduardo Eielson», in Nu/do..., cit., p. 467.
{26}Cfr. Martha Canfield, «Roma vista, evocada y cantada: otro diálogo con Jorge Eduardo Eielson», in Jorge Eduardo Eielson, Habitación en Roma, Lustra Editores, Lima 2008, p. 85.
{27}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 97.
{28}Claudia Posada, «La matriz celeste...», cit., p. 460.
{29}Claudia Ianniciello, «Eielson nell’universo buddhista», cit., p. 85.
{30}Ivi, pp. 95-96.
{31}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 41.
{32}Martha L. Canfield, «Nudos y desnudos. Introducción a los Diálogos con Jorge Eduardo Eielson», in Jorge Eduardo Eielson, El diálogo infinito, una conversación con Martha L. Canfield, Sibilina – Fundación BBVA, Sevilla 2011, p. 11.
{33}José Kozer, «Sin título... », cit., p. 470.
{34}Martha Canfield, «Il cielo con le mani», in Martha Canfield e Antonella Ciabatti (a cura di), Eielson artista e collezionista, catalogo della mostra, Palazzo Medici-Riccardi, Firenze 06/05/2013 - 02/06/2013, Centro Studi Jorge Eielson, Firenze 2013. p. 13.
{35}Ivi, p. 14.
{36}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 97.
{37}Emilio Tarazona, La poética visual de Jorge Eielson, Drama Ediciones, Lima 2004, p. 103.
{38}Cfr.: Giuseppe Bellini, «La poesía última de Eielson», in Jorge Eduardo Eielson. Nudos y asedios críticos, cit., pp. 211-218.
{39}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 39.
{40}José Ignacio Padilla, «Eterno príncipe de nada», in Nu/do..., cit., p. 197.
{41}Jorge Eduardo Eielson, Senza titolo, cit., p. 59.
Jorge Eduardo Eielson nasce nel 1924 a Lima da madre peruviana e padre di origine norvegese. Dimostra subito di essere dotato per la scrittura, la musica e la pittura. Con la prima raccolta poetica Reinos (1945) vince il Premio Nazionale di Poesia del Perù. Pubblica disegni su riviste e giornali e coi suoi amici Javier Sologuren e Sebastián Salazar Bondy edita una antologia di poesia peruviana. Nel 1948 fa la sua prima mostra personale. Nel 1949 ottiene una borsa di studio per Parigi dove entra nel movimento MADÌ e fa la prima mostra europea. Nel 1950 ottiene una seconda borsa, questa volta dell’UNESCO, e si ferma a Ginevra. Nel 1951 arriva a Roma e inizia a pubblicare articoli su arte e letteratura su riviste latinoamericane. Fa parte del gruppo L’Obelisco e stabilisce rapporti di amicizia con Alberto Burri, Piero Dorazio e Mimmo Rotella. Fa diverse mostre ma tra il ’54 e il ’58 si concentra nell’attività letteraria. Sono gli anni delle raccolte dedicate alla città di Roma e della sua poesia più sperimentale.
In questi anni conosce Michele Mulas, giovane artista sardo che sarà, da questo momento fino alla sua morte, il suo compagno di vita. Durante gli anni ’60 i due artisti si muovono tra Parigi e diverse città italiane. Eielson viene invitato alla Biennale di Venezia nel ’64, nel ’66 e nel ’72; alla Mostra d’Arte Latinoamericana del Festival dei Due Mondi di Spoleto e alla Biennale di Parigi. Nel 1967 viaggia a New York e frequenta l’ambiente dell’Hotel Chelsea; poco dopo va a Lima dove fa una grande mostra. Gli anni ’70 lo vedono attivo sia nel campo artistico che in quello letterario (il romanzo El cuerpo de Giulia-no viene pubblicato in Messico). Negli anni ’70 torna spesso a Parigi dove conosce Taisen Deshimaru che lo guida alla scoperta del buddismo zen. Eielson e Mulas si stabiliscono a Milano che lasceranno solo per viaggi di lavoro e d’estate per trasferirsi in Sardegna, nella loro casa di campagna.
Nel 1983 esce a Parigi il suo capolavoro poetico Noche oscura del cuerpo, in traduzione francese di Claude Couffon; e nel 1988 il secondo romanzo, Primera muerte de María (Messico). Il lavoro letterario e il lavoro artistico seguono strade parallele ma presto si produrrà la congiunzione tra i due. Tale congiunzione passa attraverso la configurazione del nodo/kipu.
Nel 1988 partecipa alla Biennale de L’Avana. Gli anni ’90 lo vedono presente in Gallerie e manifestazioni di varie città italiane: Roma, Bologna, Milano, Brescia… Nel 1993 esce l’edizione italiana di un’antologia della sua opera poetica, Poesia scritta, a cura di Martha Canfield (Le Lettere); la pubblicazione si fa in contemporanea con una grande retrospettiva che gli dedica la Galleria Le Stelline di Milano, Eielson: il linguaggio magico dei nodi.
Nel 1998 un convegno sulla sua opera artistica e letteraria viene organizzato a Londra da William Rowe. Il collezionista e mecenate Giuliano Gori lo invita a fare un’installazione nella Fattoria di Celle (Pistoia) e insieme preparano l’edizione della sua poesia visiva nel volume Canto visibile. A partire dal 2000 il nome di Eielson si diffonde sempre di più attraverso antologie, cataloghi e volumi critici. Riprende a scrivere poesia: Sin título, 2000; Celebración, 2001; De materia verbalis, 2002; Nudos, 2002; Del absoluto amor y otros poemas sin título, 2005. In Spagna viene pubblicata la vasta antologia poetica Vivir es una obra maestra (2003), parafrasi di una sua famosa installazione, Dormir es una obra maestra. Nel 2004 fa una grande mostra a Parma, con la pubblicazione di un rilevante catalogo storico-critico.
Michele Mulas muore nel 2002 e da allora la malattia di Eielson s’intensifica riducendo la sua autonomia; ma lui continua a scrivere, a tenere rapporti di lavoro e contatti con gli amici. Gioisce dell’ultima sorpresa che gli riservava la vita: la scoperta di una sorellastra, Olivia, figlia dello stesso padre, Oliver Eielson, il quale, una volta lasciato il Perù, quando Jorge era un bambino, si era stabilito negli Stati Uniti.
Eielson muore l’8 marzo 2006; le sue ceneri sono nel cimitero di Barisardo accanto a quelle di Michele. Nel settembre 2006 è stato fondato a Firenze il Centro Studi a lui intitolato, per la diffusione della cultura latinoamericana in Italia e lo studio dei suoi rapporti con l’arte e la letteratura italiana ed europea.
marco.benacci@live.com
|