Non è un caso che la città sia presente fin dal titolo della raccolta poetica di Alessio Brandolini. Perché questo recentissimo Città in miniatura rivela come fin dal 2004 di Poesie della terra la polarità aperto-chiuso, fuori-dentro, sia il vero motore della poetica dello scrittore romano d’adozione (è nato a Frascati). Polarità non vuol dire semplificazione, né radicale separazione, perché le due dimensioni sono archetipi spaziali che si manifestano attraverso varie figure, che qui cercheremo di individuare, pur nel rispetto della inesauribile proliferazione di senso che possiede la poesia quando è davvero poesia: figure anche, ma non solo, nel senso post-strutturalista di Gérard Genette, che si compenetrano e si mescidano l’una con l’altra, e in questo modo generano l’indeterminazione – e le sorprese – della vita.
Intanto all’articolazione civile e “borghese” in senso marxiano di classe sociale dell’agglomerato urbano si contrappone dialetticamente, senza soluzione di continuità e giudizi manichei, la presenza dell’arcaico, insieme origine protostorica e manifestazione della grande madre anche attraverso la pianta per eccellenza dei luoghi del poeta, l’ulivo.
Come si vede, nessuna possibilità di contrapposizione frontale: la Necessità greca si manifesta sia nel bisogno umano dei frutti della terra sia nell’esilio nelle mura antropiche. Nulla di nuovo sotto il sole, perché da Esiodo a Saffo, passando poi per Orazio, Catullo, Tibullo, Seneca e poi le alterne vicende del pensiero e della poesia – ma occorrerà pur citare, a questo proposito, il drammatico dissidio pavesiano – fino al grande ritorno della terra in Wendell Berry, solo per fare pochi nomi, la polarità città-campagna è ineludibile nel pensiero umano. Se mai merito del poeta è quello di affrontare il dissidio con le parole dell’animo, non ornamenti estetizzanti alla ricerca del nuovo, ma in grado di aprire diverse e più profonde possibilità di conoscenza, che è nelle corde della creazione letteraria, come lo stesso Freud aveva dovuto ammettere dopo la lettura del sottosuolo di Dostoevskij.
È così che in Brandolini la figura di un padre dei nostri tempi emerge non più dall’untergrund primigenio e saturnino, con la sua carica di aggressività e di competizione presente in molta parte della letteratura novecentesca, ma appare come manifestazione luminosa di un umano protagonista insieme arcaico e moderno, in grado di incarnare, nella sua scelta di fedeltà alla alma mater, la persistenza della comunione con la terra.
La città di Brandolini non appare perciò come una realtà autoreferenziale e isolata, ma deve fare i conti non solo con le radici arcaiche e la semplice, antica, ma necessaria, constatazione che senza l’ager non vi sarebbe possibilità di sopravvivenza per la realtà urbana, ma anche con la mescolanza del e con l’ospite.
I popoli del mare presenti soprattutto in Il fiume nel mare (2010), non sono una realtà d’oggi, perché già alla fine del periodo miceneo, secondo una certa storiografia, il Mediterraneo è stato teatro di migrazioni che hanno interessato il settore orientale euroasiatico, compreso l’Egitto, e che avrebbero – il condizionale oggi è d’obbligo – sconvolto gli assetti istituzionali di alcune entità statuali in quel quadrante geografico. E se fosse così, lo sviluppo delle antiche civiltà sarebbe stato decisamente influenzato da quegli spostamenti. E per non andare poi chissà quanto esoticamente lontano, basterebbe leggere alcuni libri dell’Antico Testamento che parlano di migrazioni di interi popoli. E fenomeni più o meno sconvolgenti di spostamenti si sono verificati per motivi tra i più svariati, siano essi quelli legati a carestie, a pandemie, a cambiamenti climatici, o a ricerca di sussistenza e di lavoro. Gli Usa, e non solo loro, non sarebbero così ricchi di cognomi italiani, irlandesi, tedeschi o ispanici senza le migrazioni che si susseguono nella storia. L’occhio del poeta ne coglie le contraddizioni non solo e non tanto politico-istituzionali, ma abissalmente umane. Con la visione del macello che si consuma in un mare dove, dall’altra parte, semi-ignari bagnanti compiono il consueto laico rito della buona abbronzatura, dell’accorto bagno e della salutare e aggiornata alimentazione.
Un occhio implacabile, privo però di moralismi facili e consuetudinari, condanne sociali e ideologiche, che lascerebbero le cose come stanno, perché quello che conta, Brandolini lo sa, è l’impegno fattivo nel qui e nell’ora, assieme allo sguardo sull’altro. E qui stiamo parlando del millenario sguardo della poesia. La semplice constatazione di eventi, non fredda e imparziale, ma sostenuta da uno sguardo sul possibile mondo altro in cui una diversa socialità potrebbe evitare quelle carneficine.
Poesia come rispecchiamento di un mondo che ha perso parte delle utopie palingenetiche, perché quelle utopie si sono rivelate tristemente simili ai mali sociali che avrebbero dovuto e voluto correggere. È così che anche nelle liriche-frammenti ancora inedite e qui presenti come anticipazione di opera futura, si fa largo un più profondo spazio simbolico, che riassume finalmente in un unico sguardo quasi wenderiano gli altrimenti irrelati frammenti di quella che chiamiamo realtà:
Le mani degli angeli
Carezzano l’erba e il sole riscalda
La scorza bianca del castagno. Penso
Alla pioggia, alle visioni del sogno
Alla continua lotta contro il pregiudizio
Al sentirsi stupiti e allegri lungo il tragitto.
Versi che rappresentano una instabile – come lo è, istituzionalmente, il dominio della poesia –comunione tra padre, patria arcaica, madre terra, laica religione del genius loci, assunzione di responsabilità – e solidarietà – verso i nuovi naviganti d’occidente e richiami ad una unità perduta, di cui la poesia scopre segni nel nostro cammino nel qui e nell’ora.
Alessio Brandolini, Città in miniatura, Edizioni Fili d’Aquilone, 2021, 113 pagine, 15 euro. Con una prefazione di Daniel Samoilovich.
5 POESIE DI ALESSIO BRANDOLINI da Città in miniatura Edizioni Fili d’Aquilone
*
Certo non dissento, e dopo che farei?
Però nel frattempo rinnovo casa
mi trasferisco
in un angolo di strada.
Sì, trasloco fuori città
magari in un bosco
mi stabilisco in una quercia cava.
Un mondo rinforzato da vitamine e sali minerali
certo più sicuro per via degli antifurti
delle porte blindate, dei cancelli sbarrati
con paletti e lucchetto
di libertà sigillate in cassaforte
in attesa di tempi migliori
di un nuovo perfetto equilibrio.
Non sentirò il bisogno
di avere una parte di tutto.
Avrò poco e quel poco mi basterà,
non sentirò la fretta di consumarlo.
Farò a meno di appigli e stampelle
lascerò la porta spalancata
sarò felice di ricevere ospiti e amici.
Tanto la pioggia cancellerà le impronte
diverrà impossibile tornare indietro.
*
Ti specchi e non sai cosa dirti
conti gli occhi i nasi le bocche
attorcigliate al fuoco, alle lingue
le mani legate per non agire
per non ritrovarti di nuovo
a scolpire porte e finestre
con le unghie e poi a sbattere la testa
contro un muro di lava incandescente.
Sotto di noi ci sono giardini assopiti
se scavi trovi la terra fredda ma grassa
buona per seminare il grano
o far crescere gli ulivi e la vite
e poi un lago, la piazza con l’angelo
di bronzo dalle ali spalancate e, infine,
la strada che conduce alla città sepolta
ai ruderi avvinghiati alle radici del bosco.
TORNO DA UN LUNGO VIAGGIO
Quando la Beatitudine tirò fuori cento Ali – E con tutte fuggì – EMILY DICKINSON
senza essermi spostato da qui, faccio
domande per ascoltare la mia voce.
Sul monte la luna rivestita di lividi
sempre uguale eppure strana perché
questa notte il suo volto mostra altre
tragedie, ha ricevuto molti colpi
con quegli occhi tristi eppure sta lì
e osserva quieta, parla guidandomi
fuori dal pozzo. Le porte si chiudono
crollano muri a secco che segnalano
confini. Arduo reagire con distacco
a ciò che accade, ogni giorno in lotta
per avere un brandello di beatitudine.
Cerco un modo valido per staccarmi
dai ricordi e spiccare il volo da tutto
ciò che fa male, dall’odio che riveste
i nostri cuori. Sorrido agli angeli
che ci osservano: statue o custodi?
Torno da un lungo viaggio, ho visto cose
atroci e gli incubi mi pesteranno a lungo.
CAMMINO DENTRO DI ME
Provo a non dare fastidio, a ripetere
discorsi da ubriaco. Il silenzio scorre
in applausi e parlo a lungo di questo
non capire. Al vento castelli di rabbia
nulla di speciale ma godo del prodigio:
sono qui, posso girovagare con calma
dentro di me senza fingere né perdersi.
Spengo la luce, le stanze si fanno
di ghiaccio ed è un’impresa
ripartire dall’inizio, per amarsi o
dirsi addio. Presto/tardi allo stesso
tempo, avvolto da muri: faticoso
tornare a casa con una reputazione
immacolata, ospitare o essere accolti.
PICCOLA SINFONIA PER CANI
Staremo attenti a non mostrare i canini, il blu
placato tra le braccia, il silenzio trabocca, tira
la coda al lupo che prende coraggio, solleva
il collo e l’ululato avanza nell’aria del mattino.
Stella che scruti con un occhio soltanto invita
l’angelo a staccarsi dalle spine! Ne sapeva più
di noi il gatto stando al sole. Non addestrati
senza rispetto per l’udito altrui: padri, maestri,
amici, ce la fischiamo da soli variando il ritmo
e l’insonne sinfonia innalza città in miniatura.
Ho bruciato rami erba secca le scarpe dai tacchi
consumati che non sapevano più dove condurci.
Dondola la notte e nel fruscio si torna ad essere
ciò che non si è mai stati: barche calme in attesa
di precipitare nel mare in tempesta. Negli abissi
i pesci puntano gli occhi a palla sui nuovi spazi
dove potranno occultarsi, divertirsi. Quanto resta?
Avvisa la morte e se la cerchi potrebbe ignorarti
ama le sorprese, ti allunga la vita anche se non vuoi.
Il padre di mia madre prende le distanze, ribadisce
con ardore che l’acqua in fiamme separa dal mondo
e il profilo del paese è solo un asilo per cani randagi.
Quel vecchio guerriero scuote le inferriate del tempo
risale la collina: non aggiunge altro, né torna indietro.
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Alessio Brandolini (1958) vive a Roma dove si è laureato in Lettere. Ha pubblicato i libri di poesia: L’alba a piazza Navona (1992, Premio Montale - Inedito), Divisori orientali (2002, Premio Alfonso Gatto - Opera Prima), Poesie della terra (2004), Il male inconsapevole (2005), Mappe colombiane (2007; anche in spagnolo: Mapas colombianos, Colombia 2015), Tevere in fiamme (2008, Premio Sandro Penna), Il fiume nel mare (2010, Finalista Premio Camaiore), Nello sguardo del lupo (2014; anche in spagnolo: En la mirada del lobo, Messico 2018), Il futuro è un campo incolto (antologia, 2016), Il volto e il viaggio (2017, con disegni di Stefano Cardinali) e Città in miniatura (2021, antologia).
In Costa Rica sono usciti i libri En el ojo del lobo (2009) e Desde otro planeta (2014), in Colombia Llamo desde otro planeta (2016) e in Argentina El camino de regreso (2019). Nel 2013 ha pubblicato il libro di racconti Un bosco nel muro.
Traduce dallo spagnolo e dal 2006 coordina Fili d’aquilone, rivista web di «immagini, idee e Poesia». Nel 2011 ha fondato la casa editrice Edizioni Fili d’Aquilone.
testimarco14@gmail.com
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