FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 54
gennaio/aprile 2020

Fiabe & Follia

 

DOPO IL LIETO FINE

di Marco Ercolani



Fiabe? I racconti delle fiabe non hanno senso, perché hanno un unico senso.

Quando ti senti felice, alla fine della storia, mentre festeggi le tue nozze a un banchetto ricco, variopinto, festoso, e i nodi sono sciolti, le ingiustizie risolte, i nemici puniti, e al tuo fianco, bella e desiderata, siede la principessa, non senti forse, futuro re, che nulla potrebbe più continuare così, nel lusso effimero della salute e della gioia? Non senti che i giorni dell’avventura diventano gli anni della quiete? Non provi, forse, un senso di panico?

Ti alzi dal tavolo, mentre ti versano il vino e ti mettono il fagiano caldo sul piatto. Imbarazzato, trascini via la tovaglia. Dai un bacio alla futura sposa, esci dalla stanza, cerchi le scale, i gradini, varchi la grande porta, fuggi dalla reggia in festa. Non vuoi essere – come potresti? – l’eroe sereno e sazio. Perché dovresti diventare ciò che hai sempre detestato essere mentre, ragazzo, ti avventuravi per boschi oscuri, cacciatore fra animali notturni, sparando non alla selvaggina ma nell’aria, volutamente fallendo ogni bersaglio? Un mondo senza il brivido del racconto che lo trasforma è un sasso piatto, una testa dormiente. Che mondo è questo? Non ci volevi vivere: puoi condividerlo con la donna che ami, finite le avventure e le prove?

Ti travestirai, al calare della notte, sull’argine del fiume. Sarai, per un prodigio della materia, del tutto invisibile. Tu, futuro re, tu che avresti deciso le sorti dell’impero, non sei un fantasma, no, un fantasma no, ma un essere invisibile, remoto. Tutti gridano: il suo posto è vuoto, non sta regnando, non assolve i suoi doveri. Dov’è il nostro re? È andato via? E quando tornerà?

Ma noi non dobbiamo cercarti.
Tu sei lontano, folle e mite, agli antipodi di questa terra.
Tornerai visibile centinaia di terre, centinaia di giorni dopo.
Non avrai più un nome, né sarai un cavaliere o un sarto o un ragazzo.
Chiederai l’elemosina, pago della tua povertà, sui gradini della chiesa.
Passeranno anni. Anni dopo anni. Almeno dieci.
Un mattino di domenica rivedrai gli invitati del tuo matrimonio. Non sarai riconosciuto. Hai gli occhi strani, l’aria un po’ folle, la barba incolta e quasi grigia. Parleranno del regno abbandonato da un giovane eroe vincente, diranno del tetro usurpatore che oggi occupa il suo trono, dei quotidiani e strazianti soprusi.
Tu non ne sorriderai.
Tu sai di essere stato vile.
Ma questa è la vita, come sempre.

Ti sei sottratto, e hai pagato con la solitudine. Non ti sei asservito a nessuna storia normale. Non hai commesso, da re sano, atti feroci, per violenza di stato, per ragione di stato. Sei vissuto dopo il lieto fine, prima della storia. Sei vissuto puro, alieno.
Una nostalgia ti afferra: vorresti ritornare laggiù, al giorno delle tue nozze. Ma perché? Eroe invecchiato, chi salveresti? Te stesso, il regno? Immagini dei convitati che ti applaudono ancora? Ma molti sono invecchiati, altri sono già morti. La principessa promessa ha le guance grinzose e già si è venduta a un conte ricco e noioso. La fiaba è finita da un pezzo. Il tempo scorre lento, affilato, uniforme.
Restane al riparo. Aspetta, paziente, l’elemosina rituale. Quando passeranno da te, salendo i gradini per arrivare alla chiesa, solleva intenzionalmente la mano. Otterrai in pochi minuti due monete. Stringi le dita a pugno e tutto avrà fine. Da re futuro a mendicante anonimo, vivo a guardare il cielo. Senza una sola storia. Senza un solo racconto. Immerso, da folle innocente, nei tuoi giorni futuri.

Fiabe? I racconti delle fiabe non hanno senso perché hanno un unico senso.


mark.ercolani@libero.it