La foschia ricopre il lago di uno strato color latte, fumoso e discontinuo. Fa freddo a quest’ora, le mani del carabiniere del nucleo sommozzatori tremano mentre finisce di sistemarmi il respiratore.
«Russo, ma lei un paio di guanti?»
Glie l’avrò chiesto mille volte, ma lui sta bene così, scuote la testa e mi fa un sorriso bonario. Gigi è timido e formale ma sorride sempre, pensa a fare il suo e conosce tutti i ristoranti della zona, mi ci porta sempre dopo aver finito qui, perché dopo mi viene una fame che non ci vedo, e tanto paga lo Stato.
«Ci siamo» mi fa segno. Abbasso gli occhiali, prendo un bel respiro e mi lascio cadere all’indietro. L’acqua è gelata ma non sento freddo, quando faccio questo. L’acqua è scura, e so dove andare, anche se non lo vedo. Inizialmente l’hanno trattato come una stranezza, una di quelle notizie che quasi non leggi nemmeno. La vedi, la condividi sulla tua bacheca e vai avanti a scorrere col dito sullo schermo del cellulare. Nella fattispecie, un cumulo di rifiuti alto quaranta metri, sì, quaranta, sul fondo del lago d’Iseo. Scarti di lavorazione della gomma, automobili e tanto altro che nessuno ha voglia di censire ed elencare. E avrebbero iniziato pure subito, la pulizia, perché una situazione del genere fa sempre comodo, quando devi accusare l’avversario politico di non aver fatto niente.
«E la discarica sott’acqua, eh? Cos’avete fatto per pulirla? Cinque anni ed è ancora lì, vero?»
Ma qualcuno ci vede più lungo, e ha pensato bene di iniziarli, i lavori per sgomberare il cumulo. Che non era un cumulo, ma un tumulo. Sì, perché qualcuno là sotto c’è morto. Nelle auto finite in acqua, ufficialmente, e gettato in acqua con i sassi in tasca per regolare i conti, ma questo non si dice. Il problema è che lì sotto ci sono rimasti, in un certo senso, e quando i morti non sono in pace, e riuniti in un solo posto ce ne sono tanti, non è mica semplice cacciarli di casa. E sono tanti, ma proprio tanti. Perché si sentono soli, e quando qualcuno muore in acqua fanno in modo di attirarlo lì, che mica è un caso se quel cumulo, pardon, quel tumulo è cresciuto tanto. Sono soli, e fanno casino se vai a dar loro fastidio. Fanno casino, spaventano i tecnici dei sopralluoghi e muovono le cose. Frane, correnti, capito perché è un casino? A quel punto chiamano me, quel genere di professionista a cui ti rivolgi in determinate situazioni ma preferisci non farlo sapere. Puttane, proctologi, e persone come me che, insomma, non saprei come definirmi ma consulente va più che bene. Vedo i morti, ci parlo e modestamente ci so anche fare. Li ascolto, li lascio sfogare, e li aiuto a mettersi il cuore in pace, diciamo cuore anche se insomma, non ce l’hanno. Una volta che sono sereni, continuano il loro percorso e non rompono più le palle. Dove vadano a finire non lo so, io ho una laurea in psicologia e un master in marketing. Sono bravo a chiacchierare, poi questa cosa dei morti, ecco, mi è capitata, ho iniziato a vederli da piccolo, quando è morta nonna Lella, e ho solo fatto quello che ho fatto sempre. Ho attaccato bottone. Poi studiando marketing ho trovato il modo di metterlo a profitto, il mio talento. Ed eccomi qua. A immergermi ho dovuto imparare, anche il corso l’ha pagato lo Stato. Muovo pigramente le gambe fino a che non sono in zona, e lì lo vedo. L’ultimo di loro, seduto nella carcassa di una Punto. Non saprei descriverlo, non è proprio luminoso, ma nel buio lo vedi chiaramente, come se fosse sotto una lampada. Nuoto fino all’auto, mi vede e mi fa cenno di entrare.
«Ciao» mi saluta con una punta di tristezza «io sono Luciano»
«Piacere, Giancarlo»
«Beh, insomma, ti ho già visto lavorare, con gli altri. Devi fare… questa cosa, no?»
«Ecco, in realtà sei tu che farai qualcosa. Tranquillo, quando te la senti racconta un po’ come stai, come ti senti, come sei arrivato qui. Quando vuoi, sentiti a tuo agio»
Non ho veramente bisogno di parlare, col respiratore in bocca farei fatica, ma mi faccio capire. E mi preparo psicologicamente. Sì, perché la gente anche quando è morta ti vomita addosso le sue menate, garantito. Drammi, depressioni, menate che tutti abbiamo, ma che quando sei morto e hai ben chiaro che non riuscirai a chiudere i conti ti tormentano ancora peggio. E parte del mio lavoro è questa, ascoltarli. Che palle, però.
«Guarda, io non ho molto da dire» eccolo che arriva «ero sbronzo e sono finito in acqua con l’auto, tutto qui. Per fortuna non avevo nessuno, i miei sono morti anni prima dell’incidente ed ero single. Sì, ok, qualche amico ma nessuno che non l’abbia superato, il dramma. Magari non diffondete la notizia del mio ritrovamento, se qualcuno pensa che io sia solo sparito non ci resta male»
Ma dai? Dice davvero? Vuoi vedere che…
«Bene Luciano, mi sembra sensato. Come posso aiutarti?»
«Mah, io sarei anche a posto così»
Non ci credo.
«Sei sicuro? Io capisco che la situazione…»
«Sono l’ultimo, e lo sai anche tu. Ti ho ascoltato, con tutti gli altri. E ho capito che mettersela via è la scelta migliore. Certo che non mi ha fatto piacere fare questa fine, avevo i miei progetti e tutto il resto, ma tanto comunque non ci si può fare niente. E per fortuna non ho fatto grandi danni, morendo. Pensa se avessi investito qualcuno con l’auto. In ogni caso non me la sono passata male, in vita, quindi davvero, a posto così, mi fa piacere la tua visita, ma sono a posto, e se per te va bene me ne andrei»
«Io, ecco…» cazzo, per la prima volta non so cosa dire «…va bene, allora ciao…»
«Beh, che dire, buona vita, Giancarlo. Se me ne vado tranquillo è anche per merito tuo, e del lavoro che hai fatto qua sotto»
«Non c’è di che, figurati. Ah, ecco, non è che sai dirmi dove stai andando?»
«L’esperto dovresti essere tu…» si ferma un attimo, ride «…non ne sai un cazzo, vero?»
«Non proprio, io, ecco, avrei studiato altro…»
«Comunque no, non ne ho idea»
«Ok, non fa niente. Comunque grazie, eh»
Mi sorride un’ultima volta scuotendo bonariamente la testa. Si volta, esce dall’auto e svanisce facendosi trasparente man mano che cammina, fino a sparire del tutto.
Risalendo, guardo il tumulo per l’ultima volta, ma l’acqua è scura, e non lo vedo.
Russo mi aspetta alla fine della scaletta e mi dà una mano a togliermi l’attrezzatura.
«Ci hai messo poco, tutto bene?»
«Mah, questo era sereno, mi aveva ascoltato lavorare con gli altri e se n’è fatto una ragione per conto suo. Abbiamo scambiato due parole e se n’è andato»
«Sai, forse dovremmo imparare da…»
«Luciano»
«Ecco, bravo Luciano. Oh senti, ti va se andiamo a mangiare le sarde? C’è un posto qui vicino che le fa da dio, belle saporite»
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