Partendo dall’assunto che l’identità geografica e culturale di un popolo è strettamente legata al proprio paesaggio, il volume El paisaje literario en las voces femeninas del Uruguay del siglo XX pubblicato a Montevideo nel 2018, del giovane ispanoamericanista Carmelo Spadola, mira a rendere tale concetto al di là dell’Atlantico, nella poesia di quattro autrici emblematiche della letteratura uruguayana del Novecento: María Eugenia Vaz Ferreira, Delmira Agustini, Juana de Ibarbourou e Amanda Berenguer. Un tema apparentemente consunto, trattato da tanta letteratura - un motivo che corre da Dante e Petrarca al romanticismo europeo, fino a giungere al Simbolismo e al Modernismo - e che ancora oggi si rivela più vivo che mai e perfino rivalutato.
La fitta tela intessuta da Spadola consente al lettore di seguire coerentemente lo studio da lui proposto, attraverso un excursus storico-politico nelle vicende dell’Uruguay del XX secolo. I riferimenti alle politiche di inizio secolo, l’eco della crisi internazionale del 1929 e l’avvento della dittatura militare fungono da stimoli riverberanti delle analoghe vicende avvenute nel mondo occidentale. Ma nel piccolo paese del Cono sud sono soprattutto sorprendenti lo stato di modernità e di cambiamento che la nazione vive nel primo trentennio del secolo, grazie a una serie di riforme politiche, sociali, culturali che fanno dell’Uruguay l’immagine di una cosiddetta “Svizzera d’America”.
Inoltre, la presentazione della letteratura uruguayana in termini di “generazione critico-letteraria ”, “postavanguardia” e “modernismo” rende la lettura/comprensione più agevole, rifacendosi all’idea goethiana di Weltliteratur. L’intreccio tematico è poi incentrato sull’analisi di costanti transculturali attingenti a realtà antropologiche cosmopolite: il paesaggio natio, la solitudine, la disillusione amorosa, la morte, la guerra. Non bisogna tralasciare il fatto che questa tela è inserita in una cornice in cui le quattro autrici devono essere considerate, non soltanto in un insieme simbolico di voci femminili, ma soprattutto nella loro individualità di donne, nelle quali s’instaura un peculiare dialogo tra letteratura e paesaggio. Ed è proprio attraverso la lettura dei brani che ci si trasforma quasi in un flâneur a passeggio tra i versi del testo, atto a contemplare i luoghi incantati del Río de la Plata, immerso tra le immagini sinestesiche di prati e boschi, costeggiati da schiere di pioppi, salici e da ruscelli sgorganti.
La lucida presentazione delle opere è arricchita da comparti teorici volti a farci avvertire meglio il profondo significato di ogni singolo verso. Di fatti, si passa da aneddoti sulle vite delle autrici a veri e propri modelli teorici alla base dei loro componimenti: la ut pictura poesis in Delmira Agustini o i calligrammi di Apollinaire in Amanda Berenguer. È dunque certo che i topos letterari più comuni non mancano.
Si nota ad esempio, in María Eugenia Vaz Ferreira, un itinerario poetico che percorre tre tappe distinte, che si susseguono dentro un percorso di angoscia esistenziale, che, a sua volta, è manifesto nel paesaggio decantato. Un paesaggio malinconico, tipico degli struggimenti romantico-modernisti, che si distingue soprattutto per i tratti impressionistici che l’autrice riesce a conferire: si parla di paesaggio plurisensoriale. Nei tre versi seguenti tratti dal componimento “Los desterrados”, la sinestesia è evocata dalla commistione di quattro sensi (gusto, olfatto, vista, udito):
el acre olor del hierro luz de chispas incendiarias rudo golpe de martillo |
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l’aspro odore del ferro luce di scintille fiammanti brusco colpo di martello |
L’oraziana ut pictura poesis domina la lirica di Delmira Agustini. Un’autrice “prodigio” che si pone fin da subito fuori dagli schemi positivisti dell’Uruguay del XX secolo e che, pur mancando di studi filosofico-letterari, riesce ad attrarre a sé gli elogi di una critica esterrefatta che la considera “un genio”, “una illuminata” sul modello di Rimbaud. In questa sorta di ekphrasis, la Agustini traccia una sottile linea tematica attraverso i linguaggi pittorico e poetico: le immagini ricorrenti del cigno e del lago servono per esprimere il proprio sentimento erotico e uno spiccato intimismo in una prospettiva femminista. Nel componimento “El cisne” è evidente l’allusione all’amante e al desiderio erotico a lui rivolto:
[…] Es solo un cisne en mi lago O es en mi vida un amante… Pero en su carne me habla Y yo en mi carne le entiendo. […] Es el sensitivo espejo Del lago que algunas veces Refleja mi pensamiento, el cisne asusta de rojo, Y yo de blanca doy miedo! |
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[...] È solo un cigno nel mio lago O è nella mia vita un amante… Ma nella sua carne mi parla E io nella mia carne lo sento. […] È lo specchio sensibile Del lago che alcune volte Riflette il mio pensiero il cigno spaventa di rosso, E io metto paura da bianca!
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Juana de Ibarbourou è l’autrice che si fa portavoce del femminismo uruguayano in nome di una ribellione che possa finalmente sancire la rottura degli schemi patriarcali rioplatensi. La rivendicazione di tale vigore indipendentista è parafrasata nel sonetto “Rebelde”, in cui Juana si serve della figura metonimica dello psicopompo Caronte per criticare la società patriarcale che questi rappresenta. I versi “Caronte: yo seré un escándalo en tu barca” e “y bajo tus miradas de siniestro patriarca” sono emblema di tale scontro tra io poetico e società maschilista, in cui l’autrice denuncia la concezione della donna vista come il polo negativo della coppia oppositiva.
Lo sperimentalismo linguistico è, invece, la cifra stilistica di Amanda Berenguer, autrice che vive la poesia come ricerca ai confini del linguaggio. In tale ricerca affiora la tematica del paesaggio spagnolo distrutto dalla barbarie della guerra civile, quasi come se la poetessa di Montevideo voglia tradurre in versi gli orrori rappresentati da Picasso in Guernica. Ma la poesia della Berenguer non si limita a ciò, anzi, negli anni Settanta, la raccolta Composición de lugar segna l’inizio vero e proprio della poesia visiva e dell’interesse verso le forme piuttosto che le tematiche tipicamente resistenziali di quegli anni di dittatura. Tuttavia, è chiaro l’intento avanguardistico di dissacrare il linguaggio convenzionale della tradizione e di celare dunque il significato dietro il significante. In tal senso, sarà il lettore ad attribuire senso all’apparente non-sense di espressioni come: “aire plomo + cielo piedra ___________ = caída”. La ricerca di libertà nell’oppressione della dittatura militare dell’Uruguay degli anni Settanta-Ottanta è vivida, seppur espressa velatamente.
È altresì importante evidenziare le varie prospettive con cui tali tematiche sono state trattate, dal post-strutturalismo di Foucault alla celebre “anxiety of influence” di Bloom, dalle teorie psicanalitiche di Jung e Klein a quelle sul paesaggio di Jakob e Simmel. Ciò che risalta è che il lettore viene trasportato nel Cono Sud d’America con dei mezzi balistici che non sono propri della cultura femminile rioplatense, bensì di quella occidentale fallocentrica. Eppure questo confronto socio-culturale permette di comprendere meglio una realtà lontana e allo stesso tempo vicina a quella europea, da cui, in parte, trae spunto il metodo generazionale di Ortega y Gasset, la poesia di Rosalía de Castro, Antonio Machado, Paul Valéry e Gabriele d’Annunzio tra i tanti.
In conclusione, questa monografia si rivela di capitale importanza per coloro i quali vogliano addentrarsi nei meandri della cultura rioplatense dell’ultimo secolo, ma anche per chi voglia semplicemente gustarsi una concreta analisi socio-culturale di un mondo troppo spesso oscurato. Noi lettori, nel frattempo, attendiamo ulteriori studi su queste voci straordinarie dell’America Latina, come annuncia Spadola nella chiusa del suo lavoro quando cita i nomi di altrettante figure emblematiche dell’Uruguay ancora poco studiate come, ad esempio, Sara de Ibáñez e Marosa di Giorgio Medici.
Carmelo Spadola, El paisaje literario en las voces femeninas del Uruguay del siglo XX: María Eugenia Vaz Ferreira, Delmira Agustini, Juana de Ibarbourou, Amanda Berenguer, Linardi y Risso, Montevideo, 2018, 255 pp.
Carmelo Andrea Spadola ha conseguito il Dottorato in Lingue, letterature e culture comparate per l’Università di Firenze nel 2016. È docente di Letteratura spagnola presso l’Università della Calabria, ricercatore in Letteratura Ispano-americana presso la Sapienza di Roma e collabora con Martha L. Canfield per la cattedra fiorentina di letteratura ispano-americana.
Si interessa della tematica del paesaggio letterario, di studi di genere, di riscrittura di miti classici nell’epoca contemporanea e di tanatologia. Ha partecipato a progetti internazionali di investigazione sui vari temi studiati e ha pubblicato articoli e saggi su autori spagnoli e ispano-americani.
Ha partecipato a congressi internazionali da lui organizzati, riscuotendo esiti positivi in diverse pubblicazioni, come Ispanoamerica ieri e oggi. Il mondo precolombiano nella cultura attuale e Il paesaggio: paradigma dialogico tra umanesimo e scienze. Paesaggio, natura e letteratura (entrambi pubblicati per Arcoiris, Salerno, Italia).
È altresì responsabile editoriale e fa parte del comitato scientifico della rivista “Comparative Cross Cultural Studies Latin America-Europe” (FUP) ed è membro di varie associazioni culturali, come il Centro Studi Jorge Eielson di Firenze, la AISI, l’Archivio letterario della Biblioteca Nazionale di Montevideo.
frazzettagiacomo@gmail.com
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