Un io che è un lui, un lui che sono io C. N.
*
«Un oggettino raro. La cornice
intagliata da decori rocaille
come una ventolina veneziana
è stata certamente recisa
dal fianco di una specchiera.
La doratura a mecca è originale.
Del Settecento. Le macchie
opache e scure come una lebbra
sulla superficie levigata
tra foglie d’acanto e conghiglie
riflettono quello che non vediamo.
Dettagli fiochi nel mercurio
ammalorato, figure a pezzi,
qualcosa nello stesso raggio
obliquo che dissolvendosi
si compone e ci assomiglia.»
*
«Sono carico d’alcol, di sterco
di litri di vino cattivo. Sono
una balestra avariata, una sberla,
un bunker di bombe innescate,
il tunnel otturato di un mirino.
Sono tra pollice e gomito
refe che si attorciglia, un relitto
colpito e affondato, la punta
di ferro che sprofondando
trapassa il soffitto.»
*
Se trasportata sulle corde di una lira
una voce continua a cantare,
il corpo fatto a pezzi è muro, barriera
refe duro da riannodare.
Forse ricomposto in qualche intentato
fondale prenderà forma di vita.
Bisogna immergersi, risalire
dal profondo agli affilatoi della cima.
Se una parte manca in questo piccolo
universo buio, manca tutto.
Dove trovare un corpo intatto
che si unisca a una testa recisa?
*
Pensavo a un alligatore vorace
quando mi parlava tra caos
e capogiri di un lago che annienta
e trascina sul fondo ogni cosa:
«È lì che sono stato questa mattina
– diceva – lasciata Viareggio all’alba,
non so chi si prenda cura di lui
se qualcuno accende i lumini la sera
chi paghi per il rinnovo della fossa:
mio padre è sepolto al Verano
un corpo ricomposto di traverso
in un letto di terra, qualche volta
mi sfiora, è proprio qui in questo istante
lo sento risalire su questo treno in corsa
con gli occhi fissi, il fango alla gola
ora si volta mentre una donna
una donna mangusta con uncini
e denti d’acciaio lo afferra
tra gli altri che scivolano ghiacciati
uno per uno… che uno con l’altro
li legherei tutti per non perderli
quando il sole cola dai finestrini
e l’acqua alle porte d’autunno:
s’attarda alla chiesa di San Nicola
quel bambino, lo vede? La testa
ciondolante in un fondale cieco,
non gli danno tregua, ma sarà lui
o un altro che supplica gli altri
nella sua lingua irraggiungibile
a dire per tutti una preghiera.»
«Tra poco saremo a destinazione.
Soffre, ci vuole pazienza. Tra poco,
non ci faccia caso è come una sfida,
se non ricomporrà ancóra una volta
le cose che ha detto, sprofonderà
in un altro pozzo senza uscita.»
*
Nello spread nell’inflazione
nel flusso delle leggi economiche
nella crisi energetica nei social
nel codice a barre di un tritatutto
nel tutto-pronto-sùbito nei selfie
negli omogeneizzatori del denaro
che cresce nel piombo nel mercurio
nelle gabbie dell’etica industriale
nelle fusioni nucleari nel mero
conteggio del mediocre e del furbo.
Indossata la maschera
si fa notte il giorno. Profondità
e pressione, torcia e coltello,
piastre di piombo. Forse un granchio
o un pesce si è nascosto nella sabbia.
Non c’è nient’altro sul fondo.
*
Il lago delle Fonde al chilometro
trentaquattro della statale
non è più largo del letto di un torrente.
Si allunga ai piedi di una scarpata
come una lama che si torce
tra bastioni di pietra.
Difficile arrivarci: non un sentiero,
soltanto spuntoni aguzzi,
covi di vipere.
La superficie è chiara.
L’acqua appena increspata
si schiude all’improvviso in un vortice.
Una gola rabbiosa inghiotte
corpi fatti a pezzi
finché saziata non si placa.
*
A Sarclet la terra precipita in mare,
sprofonda con la rabbia dei croft.
Un cormorano si immerge svanendo
in una caccia senza ritorno.
Rimane la stessa crosta di pietra,
il vento su questo campo di stoppie.
Girano a vuoto i cilindri
monocordi delle trebbiatrici.
Età triste, refe che si assottiglia,
età che vieni di soppiatto a passi
tardi e lenti senza preavviso
e tagli, erodi e fuggi lontano
come un bambino impaurito
che implora un sorriso.
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