FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 52
maggio/agosto 2019

Sorelle & Fratelli

 

TRE CROCI

di Matteo Moscarda



Quando Virginia mi telefonò, supplicandomi che andassi a casa loro per parlare con Carlo, mi ero già preparato psicologicamente a quel momento, perché, pur essendo l’ultima cosa che avrei voluto fare, sapevo anche che avrei dovuto farla, essendo stato per anni l’unico a non aver abbandonato Marcello, e adesso che Marcello l’aveva fatto davvero, e dopo anni di scherzi e di minacce era riuscito a trovare il coraggio, o più che altro un metodo, per suicidarsi, adesso era ovvio che toccasse a me cercare di strappare Carlo allo stesso destino.

A quanto mi aveva raccontato Virginia, Carlo si sentiva responsabile per il suicidio di Marcello quasi l’avesse ucciso con le sue mani. Una cosa del genere, a chi abbia vagamente bazzicato la teodicea, non può che risultare assurda, perché la decisione del suicidio non spetta al suicida, ma è già scritta da qualche parte nella mente di Dio, per cui figuriamoci se un fratello può arrogarsi questa responsabilità. Eppure erano trascorse appena due settimane, e Carlo era sotto shock, per cui, per l’affetto che mi legava a tutti e tre, a questi tre fratelli disgraziati, sapevo di non potermi sottrarre a quel dovere.

Fu così che, senza cercare scuse, già il giorno dopo andai a casa loro, la casa in cui i tre fratelli avevano abitato fino alla maggiore età, insieme ai genitori, e dove io avevo cominciato a frequentarli quasi quarant’anni prima. Ad accogliermi fu Virginia, la quale ripeté ciò che aveva detto al telefono, ovvero che lo avevano trasportato lì a forza per evitare il peggio. Non lo ripeté per enfasi, non era una cosa da Virginia, che è sempre stata una persona pragmatica, poco affettata; lo ripeté soltanto perché era anche lei in stato confusionale, nonostante tutto, e nonostante la sua tempra. Dopo qualche chiacchiera, di cui non ricordo nulla, Virginia mi accompagnò nella stanza di Carlo, la stessa stanza nella quale con Carlo giocavamo a dodici anni, che Carlo aveva abbandonato già a diciotto, e nella quale adesso era stato rinchiuso. A dire il vero, non appena Virginia ebbe chiusa la porta e se ne fu andata, Carlo mi guardò negli occhi e nel suo sguardo non trovai nulla di folle, nulla di disperato. Mi sembra più lucido che mai. Ebbi modo di ricordarmi non appena aprì bocca.

«Grazie per essere venuto» disse, come se avesse davanti un prete, come se non ci conoscessimo da quarant’anni, e d’altronde negli ultimi vent’anni c’eravamo visti poco e nulla, quindi come dargli torto. «Grazie per essere venuto, davvero. Ma tutta questa storia è una pagliacciata. Io ho gli stessi diritti di Marcello. Non voglio essere salvato. A lui è stata concessa questa libertà e adesso deve essere concessa anche a me. Per tutta l’infanzia ho subìto questa cosa, ma adesso non la voglio subire più. I miei concedevano a Marcello qualsiasi libertà, e a me nessuna. Con lui hanno dato fondo al patrimonio di famiglia, mentre io mi sono fatto da solo, non gli ho mai chiesto una lira, non ho mai avuto un colpo di testa, non ho mai avuto una fidanzata straniera, mentre Marcello le ha sperimentate tutte, donne di qualsiasi origine ed estrazione sociale, Marcello le sperimentava tutte così come sperimentava le droghe, o le situazioni estreme, o qualsiasi altra cosa. E i miei non gliel’hanno soltanto concesso fino ai venticinque anni, e in realtà anche dopo, sempre meno ma comunque fino alla fine; i miei non gliel’hanno soltanto concesso, questo stile di vita, ma l’hanno persino finanziato. Marcello non ha mai dovuto combattere, non ha mai dovuto faticare, la sua vita è stata puro edonismo, per questo è normale che si fosse stancato, che avesse esaurito ogni cosa, che non credesse più in niente. Ma era contento, lui, lo sai meglio di me, lui è sempre stato contento, anche senza ideali, sapeva di essersela spassata, sapeva di aver provato tutto, ma proprio per questo non faceva altro che parlare di suicidio, sempre con quel sorrisetto del cazzo, non pensava al suicidio con disperazione, ma con sollievo. Aveva il terrore di invecchiare, voleva “lasciare un cadavere di bell’aspetto”, ed era contento quando lo diceva: pensando alla morte Marcello ha sempre sorriso, ha sempre pensato che, essendo inevitabile, sarebbe molto più saggio anticiparla a un momento in cui si è ancora se stessi, in cui si è ancora dignitosi, e in realtà credeva che questa cosa valesse per tutti, che soltanto i poveri di spirito e gli avidi e i cattolici ci tenessero a invecchiare e a morire il più tardi possibile. Anche per questo viveva “al massimo”, come diceva lui. E io, per tutta la mia vita fatta di obblighi e di cose che non avrei voluto fare, io per tutta la mia vita di merda l’ho osservato invidioso e ammirato e non ho fatto nulla, quando so che avrei dovuto fermarlo e rimproverarlo e digli di smetterla e di fermarsi e di trovare una donna e di sposarsi e di fare dei figli e di diventare insomma una persona normale. E adesso ho paura che se non ho fatto niente, se non l’ho mai rimproverato, è stato perché in fondo ci speravo, che alla fine si uccidesse. Diciamo la verità: lo sapevamo tutti che sarebbe successo. Tu lo sapevi meglio di chiunque. E nessuno ha mai fatto nulla per fermarlo. Siamo tutti colpevoli. E non tirare in ballo la teodicea perché siamo nel 2020, proprio adesso che si lotta per il diritto all’eutanasia, proprio oggi una persona sana è ricca non dovrebbe mai avere il diritto di sottrarsi ai suoi cari, a prescindere da tutto. E Virginia è responsabile quanto noi. Lei che non prova niente per nessuno, forse proprio lei, per via di questo handicap, forse era lei l’unica e la prima persona a dover fare qualcosa, a dover dire qualcosa. Mia sorella mi ha sempre terrorizzato, fin da quando eravamo piccoli, e con lei per tutta la vita sono stato un leccaculo, ho sempre cercato di compiacerla come se fosse un secondo padre, mentre con Marcello, che mi voleva così bene, e mi ricopriva di souvenir dei suoi viaggi, e cercava di invitarmi a qualche bevuta, e a salvarmi dall’orrore del mio matrimonio, io con Michele io sono sempre stato sprezzante, l’ho sempre e soltanto criticato in silenzio, con lo sguardo, con la mia apparente indifferenza, fingendo disinteresse per le sue avventure, quando in realtà avrei dovuto fare tutto il contrario, avrei dovuto confessargli che lo ammiravo, e che lo invidiavo, e che avrei voluto essere come lui, ma che proprio per questo doveva smetterla, perché prima o poi avrebbe esaurito le gioie, e sarebbe andata come è andata. Per tutta la vita, negli ultimi vent’anni, ogni volta che Virginia ha avuto un problema io sono corso da lei, abbandonando ogni cosa, per aiutarla, le ho anche prestato dei soldi, cifre grosse, nonostante lei lavori e guadagni bene, a Virginia ho prestato un sacco di soldi per la sua villa del cazzo, e non glieli ho mai chiesti indietro, e mai, dico mai, ho ricevuto un sorriso di gratitudine, anzi, il contrario, il rancore del debitore, questo mi ha dato Virginia per anni, nonostante abbia sempre fatto di tutto per lei, mentre al contrario non facevo niente per Marcello, che un lavoro non l’ha mai avuto e per certi periodi ha vissuto come un barbone. Sono sempre stato un leccaculo con Virginia, che è una vergine di Norimberga, ti abbraccia e ti trafigge, e non puoi più uscirne, per tutta la vita sono stato lo schiavo di Virginia, che non lo merita affatto, mentre al contrario per tutta la vita sono stato uno stronzo con Marcello, che invece mi voleva così bene, e che anche io amavo. Avrei dovuto disprezzare Virginia, che è un mostro, e aiutare Marcello, che non aveva colpe, ma invece ho sempre fatto il contrario, ho venerato Virginia come un secondo padre, proprio perché mio padre mi ha sempre rinnegato, e ho disprezzato Marcello come un figlio sbandato, proprio perché avrei voluto esserlo io, quel figlio sbandato. Ma adesso tutto questo non ha più importanza, io voglio soltanto una cosa, e tu sai cos’è, e sei l’unica persona che può aiutarmi. Bisogna convincere i miei che sono morto anch’io. Bisogna convincere mia moglie. I miei figli. E bisogna convincere Virginia. Ho quarantacinque anni e non ho mai vissuto. Voglio vivere intensamente anche soltanto per dieci anni. Ma non posso scappare, non posso abbandonare la mia famiglia, non sono quel tipo di persona, non ne ho le palle, non ne ho il coraggio, l’unica alternativa è morire. E tu mi devi aiutare. Me lo devi. Deve essere una cosa convincente. Devi essere l’unico a saperlo. Nessuno mi deve trovare, e almeno per dieci anni voglio fare quello che ha fatto Marcello, voglio viaggiare, voglio scopare, voglio stare con donne e uomini di qualsiasi etnia, e voglio provare tutte le droghe, e se sopravvivo bene, se non sopravvivo è uguale, tutto pur di non arrivare all’impotenza nella condizione in cui sono. Mi basta vivere dieci, ma anche cinque, ma anche soltanto due anni in questo modo, e voglio che mi rintracci, voglio che quando ci riusciranno sarà soltanto perché hanno ritrovato il mio corpo. E tu mi devi aiutare. È tuo dovere. Me lo devi. Sei l’unico che gli è stato accanto in questi anni, e so per certo che l’hai istigato a continuare per quella strada. Sei responsabile quanto tutti noi, quanto me, quanto Virginia, forse non quanto i nostri genitori, che sono i più responsabili di ogni cosa per il solo fatto di averci messo al mondo, ma tu sei responsabile almeno quanto me e Virginia. E poi sei l’unico che sa come ha fatto Marcello a sopravvivere, in tutti questi anni. Sai come faceva. Sono sicuro che conosci tutti i suoi segreti. Tu hai assecondato la sua follia negli ultimi quindici anni. Adesso, per favore, asseconda la mia».


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