FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 52
maggio/agosto 2019

Sorelle & Fratelli

 

QUANTA LUCE SOTTO LE PIETRE
Sulla poesia di Jorge Ortega

di Alessio Brandolini



Devozione per la pietra [Devoción por la piedra] del poeta messicano Jorge Ortega è stato pubblicato nel 2011 in Messico dopo aver vinto come inedito, l’anno precedente, il Premio internazionale di poesia «Jaime Sabines» e poi ripubblicato, con alcune modifiche, nel 2016 da Mantis Editores. È un libro di poesia denso, compatto e con una architettura ben congegnata, meticolosa. Diviso in sei parti, tutte composte da dieci testi (in prosa poetica o in versi) che, ognuna dal proprio punto di vista, dialoga con il transitorio, il fugace e il desiderio che fabbrica visioni. Questo è il filo conduttore basilare in cui l’autore analizza il ricordo degli attimi, dei momenti trascorsi e indaga ogni particolare delle proprie emozioni, il singolo granello di polvere e quel Nulla che si fa carne, per dirla con Joseph Brodskij, anche se nel caso di Ortega è soprattutto la pietra a farsi carne viva. Accanto al vuoto ci sono le cose che non hanno nome ma possono essere evocate, trasformate in poesia. La memoria è fatta anche di momenti di assenza, di dubbio, di paura ed è un modo radicale di porsi davanti alla realtà (presente e passata): quali parti ci appartengono? quanti importanti frammenti della realtà ci sfuggono?

Testi poetici lucidi che evocano peculiari atmosfere, con metafore che si richiamano al mondo classico e scavano tunnel, abbattono muri in cerca della luce giusta con al centro il sole: “l’esplosivo girasole in bilico”. Si assiste alla dilatazione dei sensi, tutti attivi nello scorgere ombre e sfumature, la quiete degli alberi, la nebbia che pettina il bosco, la bellezza della pietra che resiste millenni e sotto di sé nasconde un’altra luce, ruderi che si fanno custodi del misterioso splendore della nostra esistenza. Un viaggio alla ricerca della luce giusta, di quello speciale scintillio che cancella il mondo per poi restituircelo, della stabilità del fuggevole istante, magari attraverso una foto o delle diapositive. Un ritmo incalzante fa sì che la riflessione sul tempo risulti in perenne movimento, in evoluzione e protesa al cielo che è un enorme sillabario, un’immensa lavagna. I richiami sono ai classici latini, penso ad esempio alla Metamorfosi di Ovidio, all’umanesimo con venature spirituali che illumina i misteri della vita e della materia (alcuni versi dal Trionfo dell’eternità di Petrarca sono in esergo al libro), penso anche alle simmetrie di Piedra de sol di Octavio Paz dove “tutti i secoli sono un solo istante”.

Nel 2014 Jorge Ortega ha pubblicato il libro di poesia Guida per stranieri [Guía de forasteros], altro intenso e densissimo lavoro, legato per diversi aspetti al libro precedente. Anche qui torna la “devozione alla pietra”, la divisione in sei parti con testi in versi e in prosa poetica, il dubbio, il cammino in labirinti dai quali spesso si esce feriti, il diluvio di luce, ma qui con una più forte presenza dell’elemento acquoreo.

Da questi due libri, con l’aggiunta di alcuni inediti, sarà composto il primo libro italiano di Jorge Ortega che uscirà i primi di gennaio (a mia cura) e avrà per titolo Luce sotto le pietre.
La selezione qui sotto proposta proviene integralmente dal libro Devozione alla pietra, nell’edizione finale del 2016.




POESIE DI JORGE ORTEGA
da Devoción por la piedra
Mantis Editores, Messico, 2016



E sento quel ch’i’ sono e quel ch’i’ fui,
e veggio andar, anzi volare, il tempo,
e doler mi vorrei, né so di cui.

FRANCESCO PETRARCA

AÑO CERO

Aún lo recuerdo. La cancha de baloncesto como un inmenso tablero de ágata bajo nuestros pies. El mediodía sin lastre, con su explosivo girasol en vilo. Y, al fondo, el pabellón de las aulas, la primaria. Había concluido el recreo y la quietud licuaba las voces asentando en los umbrales su delicada película. Era viernes. Comenzaba la Pascua. Y cuán poco nos bastaba. Un balón, el sabor del chorizo después de un largo examen, la escarcha sobre el pasto, el granizado de ciruela, el fin de semana que se hendía ante nosotros como el acantilado al ave, fermentando su vértigo de nuevas emociones. Rudi sigue ahí, condenado a botar eternamente la pelota tras el mudo cristal de la reminiscencia. La imagen se mantiene intacta pero el destello aumenta. Sé que habrá un momento en que su intensidad acabe cegándome por completo. Sé que llegará ese instante.


Anno zero

Lo ricordo ancora. Il recinto del basket come un’immensa tavola di agata sotto i nostri piedi. Il mezzogiorno senza zavorra, col suo esplosivo girasole in bilico. E, giù in fondo, l’edificio delle aule della scuola elementare. Era finita la ricreazione e la quiete scioglieva le voci sistemando sui bordi la sua delicata pellicola. Era venerdì. Iniziava la Pasqua. E così poco ci bastava. Un pallone, il sapore della salsiccia dopo un lungo esame, la brina sull’erba, la granita alle prugne, il fine settimana che si apriva davanti a noi come la scogliera all’uccello, lievitando la sua vertigine di nuove emozioni. Rudi è ancora lì, condannato a scaraventare eternamente la palla dietro il taciturno vetro della reminiscenza. L’immagine si mantiene intatta ma lo scintillio aumenta. So che ci sarà un momento in cui la sua intensità avrà fine per accecarmi del tutto. So che arriverà quell’istante.


VITRAL

Cómo decir los colores
que aún no tienen nombre,
los matices inéditos
que el sol funde y olvida
en tus ojos atentos.

Contemplas lo inmutable con azoro;
no es la medalla fiel de la rutina
o el gusto de saber lo que posees
otra vez donde mismo, no la ciencia
de mirar distinto
lo que no cambia ni se desplaza.

Es lo de afuera, lo que no está en ti,
el lienzo mineral erguido a solas
en la gruta polar de la penumbra;
lo que no ostentas,
aquello que se ofrece de otro modo
y hace la diferencia
embriagando la espera
de interrogación y maravilla.

Renuncia al paradigma
y conserva su lustre,
la piel de las variantes.

El vitral
seguirá ahí, pero el fulgor no siempre
volverá de igual suerte a atravesarlo
para imprimir en la retina
un firmamento de nuevos esmaltes
que no podrás nombrar.


VETRATA

Come chiamare i colori
che non hanno ancora un nome,
le inedite sfumature
che il sole fonde e dimentica
nei tuoi occhi attenti.

Turbato contempli ciò ch’è immobile;
non è la fedele medaglia della routine
o il gusto di sapere quello che possiedi
di nuovo nello stesso luogo, non la scienza
di guardare in modo diverso
ciò che non cambia né si muove.

È quello al di fuori, ciò che non è in te,
la tela minerale eretta da soli
nella grotta polare della penombra;
quello che non ostenti,
quello che si offre in un altro modo
e fa la differenza
ubriacando l’attesa
di interrogazione e meraviglia.

Rinuncia al paradigma
e conserva il suo lustro,
la pelle delle varianti.

La vetrata
resterà lì, ma il fulgore non sempre
tornerà ad attraversarlo nello stesso modo
per imprimere nella retina
un firmamento di nuovi smalti
che non potrai nominare.


TEORÍA DE LA LUZ

Sentado a solas en el comedor
sin más vitualla que la del ayuno,
qué tanto contemplaba.

Era un dejarse estar
lo que me retenía, un dejarse caer
en el instante sin fondo
de la perplejidad.

El polvo gravitaba con el ritmo
de una constelación en movimiento,

y todo cabía ahí:
las conjeturas
y formas del deseo,
los audaces
polígonos del sueño,
las falacias
que propagaba el párpado
preñado de incoherencias
y el alba diluía.

La ventana era la hoja en blanco,
el intocado folio, la pulida visión del inocente
en que la voluntad pactaba con los planes.

Y todo estaba ahí
porque no estaba escrito.

La luz borraba el mundo
y lo restituía.


TEORIA DELLA LUCE

Seduto da solo in sala da pranzo
senza più cibo se non quello del digiuno,
contemplato a lungo.

Era un lasciarsi andare
ciò che mi tratteneva, un lasciarsi cadere
nell’istante senza fondo
della perplessità.

La polvere gravitava col ritmo
di una costellazione in movimento,

e tutto stava lì:
le congetture
e forme del desiderio,
gli audaci
poligoni del sogno,
le ipocrisie
che propagava la palpebra
piena di incoerenze
e l’alba che si scioglieva.

La finestra era la foglia in bianco,
il foglio intonacato, la levigata visione dell’innocente
in cui la volontà concordava coi programmi.

E tutto stava lì
perché non era scritto.

La luce cancellava il mondo
e lo restituiva.


DISCANTE

He entrado al laberinto y he salido de él herido de incredulidad. Mojé los oídos en rumorosas fuentes que se dejaban escuchar desde muy lejos y refresqué los ojos en el aura de barnices jamás vistos, errando en poner nombre a lo que no lo tenía. La exactitud de ciertos tonos me ha redescubierto los innatos conjuros de la pigmentación. El trazo de los planos y las formas –ángulos, volutas, líneas rectas de altura ciclópea– depuso en la pupila su aguja de mica deslumbrante. La caída del agua me confió en una esquina rosada el álgebra de su música oculta, su esbelta cabellera de plateados y fugaces logaritmos. He venido sin cámara al país de yo-estuve-aquí, pero ni la palabra sirve de espuela para retener la permanencia del instante. Es el intraducible palimpsesto de lo que se percibe, la ociosidad de la glosa, ese no lenguaje que implica quedarse el testimonio o reservarse el derecho a declarar; la insuficiencia del grabado, la inutilidad del vocabulario que corre en vano hacia el destello del peplo de una ninfa en jardines más bellos que lo imaginado. Crucé el arco de entrada bajo mi propio riesgo y he regresado sumido en el largo silencio de los desahuciados.


CONCERTO PER STRUMENTI A CORDA

Entrai nel labirinto e ne uscii ferito dal dubbio. Bagnai le orecchie in chiassose fonti che si lasciavano ascoltare da molto lontano e rinfrescai gli occhi nell’aura di colori mai visti, sbagliando a dare il nome a ciò che non l’aveva. L’esattezza di certi toni mi svelò gli innati incantesimi della pigmentazione. Il tratto dei piani e delle forme – angoli, volute, linee rette di altezza ciclopica – depose nella pupilla il suo ago di mica abbagliante. La caduta dell’acqua mi affidò un angolo rosato l’algebra della sua musica nascosta, la sua snella chioma di argentati e fugaci logaritmi. Ero venuto senza videocamera nel paese di io-sono-stato-qui, ma nemmeno la parola serve da sprone per reggere la stabilità dell’istante. È l’intraducibile palinsesto di quello che si percepisce, l’oziosità della glossa, quel non linguaggio che implica di farsi testimone o riservarsi il diritto ad affermare; l’insufficienza dell’incisione, l’inutilità del vocabolario che corre invano verso lo scintillio del peplo di una ninfa in giardini più belli di quelli immaginati. Oltrepassai l’arco di entrata a mio rischio e tornai sommerso nel lungo silenzio dei dannati.


EL MOMENTO

Hemos sustituido la cortina
con papel albanene. Y sin quererlo
obtuvimos así la luz exacta,
la intensidad de luz que perseguimos
durante lustro y medio.

Intensidad de luz que entra descalza
en las paredes blancas de la sala,
en el diáfano aljibe
donde amortigua el sol,
donde hasta el sol se anula y cristaliza
en lombrices translúcidas.

Y no es la intensidad sino su modo,
el gesto de filtrarse al comedor,
aderezar la mesa,
encandilar las páginas de un libro
leído al mediodía.

El ángulo, la forma
en que redimensiona los objetos
ya dentro de la casa,
el viso con que alivia el azulejo
como un mantel de agua
de quietos resplandores.

Lástima que nos vamos, lástima que el espacio
no esté para nosotros a la vuelta
de recorrer el mundo.

El momento esperado
llega cuando partimos.


IL MOMENTO

Abbiamo sostituito la tenda
con carta velina. E senza volerlo
abbiamo ottenuto la luce giusta,
l’intensità di luce che inseguivamo
da un lustro e mezzo.

Intensità di luce che entra scalza
sulle bianche pareti della camera,
nella diafana cisterna
dove il sole si indebolisce,
dove persino il sole si annulla e cristallizza
in traslucidi lombrichi.

E non è l’intensità ma la sua essenza,
il gesto d’infilarsi nella sala da pranzo,
guarnire il tavolo,
abbagliare le pagine di un libro
letto a mezzogiorno.

L’angolo, la forma
che ridimensiona gli oggetti
già nella casa,
il volto con il quale attenua la piastrella
come una tovaglia d’acqua
di quieti splendori.

Peccato andarsene, peccato che lo spazio
non sia per noi di ritorno
dopo aver percorso il mondo.

Il momento atteso
arriva quando partiamo.


BEDUINOS

Cruzamos el umbral sin darnos cuenta
hasta llegar al centro.

¿Qué sabíamos nosotros de fronteras?

Entramos al desierto
como entrar en el agua,
como salir del agua
y entrar de nuevo a lo seco.

(“Pásele a lo barrido”
–pensó uno de los dos.)

Y sonreíste a la nada que se abría
como un vasto paréntesis
a la torpe
sintaxis
de nuestro paso confiado.

Ignoramos aún
si estar dentro del círculo
es estar en el centro
o si el centro
es
el círculo.

La brisa que cabalga por tu frente
nos libra de saberlo.


BEDUINI

Attraversammo la soglia senza rendercene conto
fino ad arrivare al centro.

Che ne sapevamo noi di frontiere?

Entrammo nel deserto
come entrando in acqua,
come uscendo dall’acqua
ed entrare di nuovo in ciò ch’è asciutto.

(“Questa è la loro casa”
- pensò uno dei due.)

E sorridesti al nulla che si apriva
come una vasta parentesi
alla maldestra
sintassi
del nostro passo fiducioso.

Ancora ignoriamo
se stare dentro al cerchio
è stare al centro
o se il centro
sia
il cerchio stesso.

La brezza che cavalca davanti a te
ci dispensa dal saperlo.


EL JARRÓN

Donde no hay un jarrón
hay un jarrón.

Es el jarrón
que fabrica el deseo, el jarrón

que no compraste en Nápoles
pero que participa
de una memoria herida
por la desposesión.

Lo huérfano de ti,
aquello que anhelaba tu rescate
en el momento preciso

detona en la pupila, logra empinar el río
del aire peregrino que traslada
las ofrendas de unos
a otros
territorios.

El jarrón que aún te aguarda en Nápoles
se acostumbra al espacio que no ocupa, crece
en la repisa austera de la sed
pintándose solo.

¿O es acaso el entorno el que se adapta
a la forma añorada?


IL VASO

Dove non c’è un vaso
c’è un vaso.

È il vaso
che fabbrica il desiderio, il vaso

che non comprasti a Napoli
ma che comunica
una memoria ferita
per la sua assenza.

Quel che in te è orfano,
quello che anelava il tuo riscatto
nel preciso istante

esplode nella pupilla, riesce a sollevare il fiume
dell’aria pellegrina che trasporta
le offerte da alcuni
ad altri
territori.

Il vaso che ancora ti aspetta a Napoli
si abitua allo spazio che non occupa, cresce
nell’austera mensola della sete
dipingendosi da solo.

O è forse l’ambiente quello che si adatta
alla forma rimpianta?


PRIMERA LLAMADA

Urge contar lo que sucede
no arriba en el lenguaje
y su costra de espuma

sino abajo, donde
la llama se doblega
o tiembla la raíz.

Urge invertir el cono
y denunciar su fondo,
atraer el clamor de las arenas
que la corriente submarina
ondula.

Respira y sumérgete.
Asciende y recupera lo que has visto
para alivio de quienes esperamos
en el espejo de la superficie.

Mucha tinta ha corrido
y seguimos en ascuas.

Alumbra un poco más tu circunstancia,
acerca la linterna a los abismos
para buscar la llave entre las rocas.


PRIMA CHIAMATA

Urge raccontare ciò che accade
non approda al linguaggio
e alla sua scorza di schiuma

bensì sotto, dove
la fiamma si piega
o trema la radice.

Urge investire il cono
e denunciare il suo fondo,
attrarre il clamore della sabbia
che la corrente sottomarina
fa oscillare.

Respira e immergiti.
Ascendi e recupera ciò che hai visto
per il sollievo di chi aspettiamo
nello specchio della superficie.

Molto inchiostro si è sparso
e andiamo avanti sulle spine.

Illumina un po’ di più la tua circostanza,
avvicina la torcia agli abissi
per cercare la chiave tra le pietre.


FILMINA I

El llanto de un niño en el piso de arriba se abre al mundo, abre el mundo.

Una grieta de luz desgaja el sueño. De entre los escombros cae una lluvia fina.

A los costados se propaga el musgo de una remota vacación en Cuernavaca. El transcurrir del río, la cesta de uvas verdes, el mantel a cuadros.

La distorsión a cuestas.

El transcurrir del río, piedras abajo, como una generosa cabellera pautada en los declives de la hierba.

La queja de los asnos sobre el rumor fluvial. El sonoro carbón de la cigarra. La viola de los juncos rasgada por el fresco.

Satélites. Evidencias. Pájaros circunstanciales del momento preciso.

La memoria no tiene edad. Inmune a la vejez que nos sostiene, es el manglar de sangre que crece mientras mueres.

El machetazo del llanto revienta su epitelio y exhibe una bola de cristal.

Circuito de imágenes panópticas.


DIAPOSITIVA I

Il pianto di un bambino al piano di sopra si apre al mondo, apre il mondo.

Una crepa di luce strappa il sonno. Tra i rottami scende una pioggia leggera.

Ai fianchi si propaga il muschio di una remota vacanza a Cuernavaca. Lo scorrere del fiume, la cesta di uve verdi, la tovaglia a quadretti.

La distorsione alla spalla.

Lo scorrere del fiume, pietre sott’acqua, come una generosa chioma pentagrammata nei pendii dell’erba.

Il lamento degli asini sul mormorio del fiume. Il sonoro carbone della cicala. La viola dei giunchi strappata dal fresco.

Satelliti. Evidenze. Uccelli circostanziali del preciso istante.

La memoria non ha età. Immune alla vecchiaia che ci sostiene, è la piantagione di sangue che cresce mentre muori.

Il fendente del pianto fa scoppiare il suo epitelio ed esibisce una palla di vetro.

Circuito di immagini panottiche.


FILMINA II

Salgo de la habitación a la sala y un rectángulo azul me recibe de golpe.

Me acerco a la ventana y miro:

un despeñadero de teja y muros blancos. Isletas de verdor.

El mar y el cielo se extienden hasta reunirse muy lejos.

Las aguas del ánimo permanecen en reposo como el azul que me mira.

Espacio yermo. Plato hondo lleno hasta el borde con una transparencia en calma.

La destrucción a un paso.

Bastaría el pestañeo de una abeja para derramar los océanos.


DIAPOSITIVA II

Esco da una stanza all’altra e un rettangolo azzurro mi accoglie all’improvviso.

Mi avvicino alla finestra e osservo:

un dirupo di tegole e muri bianchi. Isolette di verde.

Il mare ed il cielo si estendono fino a riunirsi molto lontano.

L’acqua dell’umore resta a riposo come l’azzurro che mi osserva.

Spazio deserto. Piatto fondo pieno fino al bordo di una calma trasparenza.

A due passi la demolizione.

Basterebbe il battito di ciglia di un’ape per ribaltare gli oceani.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini





Jorge Ortega
è nato a Mexicali (Messico) nel 1972 ed è poeta e saggista. Laureatosi in Filologia Ispanica presso l’Università Autonoma di Barcellona è attualmente professore al Centro de Enseñanza Técnica y Superior (CETYS Universidad) nella regione della Baja California.
Ha pubblicato libri di poesia e saggistica in Messico, Spagna, Argentina, Stati Uniti e Canada. Tra i suoi ultimi libri di poesia si segnalano: Ajedrez de polvo (Argentina, 2003), Estado del tiempo (Spagna, 2005), Devoción por la piedra (Messico, 2011, seconda edizione 2016, tradotto in francese e pubblicato in Canada nel 2018) e Guía de forasteros (Messico, 2014).
Suoi testi poetici sono stati tradotti e pubblicati all’estero e inseriti in antologie messicane. Con articoli di critica letteraria collabora a riviste messicane e straniere.
Nel 2001 ha ricevuto il Premio Nacional de Poesía Tijuana e nel 2010 il Premio Internacional de Poesía Jaime Sabines.

(Foto di Alejandro Meter)


alexbrando@libero.it