FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 49
maggio/agosto 2018

Consenso & Dissenso

 

SIGNORSÌ E SIGNORNÒ

di Annarita Verzola



La nascita del primogenito, maschio o femmina che fosse, da generazioni designava nel regno l’avvento al trono dell’erede e così il primo lieto evento era sempre atteso con gioia e partecipazione dalla corte e dal popolo.

Non che la nascita dei successivi principi o principesse passasse nell’indifferenza più totale, ma i giochi erano fatti e per volere del Cielo negli annali di storia del paese non si era mai verificato il nefasto evento della prematura dipartita dell’erede al trono con conseguente necessità di trovare un successore tra i fratelli e le sorelle minori.

Così quando la regina annunciò al re di essere in attesa di un figlio, furono subito convocati i quattro astrologi di corte per sapere se l’erede al trono sarebbe stato un maschio o una femmina e predisporre l’adeguato corredo.

Stranamente la consultazione richiese più giorni del previsto e gli astrologi si ritrovarono nettamente contrapposti: due affermavano che sarebbe nato un maschio e due una femmina.



Senza preoccuparsi particolarmente il re concesse loro altri giorni di riflessione e di ricerca, ma di lì a una settimana i risultati non cambiarono.

Siccome sia il re che la regina erano dotati di senso pratico, risolsero il problema ordinando alle sarte di preparare sia un corredo azzurro che uno rosa e agli arredatori di allestire due camere distinte. Anche i secolari stendardi che annunciavano al popolo la nascita dell’erede furono portati entrambi a lavare e stirare.

Per tutta la durata della gravidanza della regina le due coppie astrologi di corte continuarono a litigare e ad affermare la veridicità del proprio vaticinio e i regali consorti non vedevano l’ora che la nascita dell’erede ponesse fine alla questione mentre il gran ciambellano propose di licenziare i due astrologi che avessero avuto torto.

Finalmente venne il giorno tanto atteso e quando la levatrice si presentò al re fu subito evidente che nessuno di loro avesse sbagliato. La regina aveva avuto due gemelli: un maschio e una femmina.



Era costume del regno che il nuovo nato fosse presentato al popolo come l’erede al trono e siccome un parto gemellare non si era mai verificato, il re e la regina non seppero che fare. Il gran ciambellano sosteneva che l’erede fosse il principino, che era nato per primo, ma la dama di compagnia della regina affermava che ciò era dovuto solo al caso e non sarebbe stato giusto penalizzare la principessina.

Il popolo non si preoccupò più di tanto, appena si era sparsa la voce della nascita dei gemelli il pensiero di tutti era andato alla possibilità di raddoppiare i festeggiamenti e i banchetti in onore dei regali neonati e il problema dell’erede al trono fu per il momento accantonato.

Gli anni trascorsero in fretta e i principi crescevano belli e sani, educati e istruiti nel migliore dei modi senza che il dilemma su chi fosse l’erede al trono avesse avuto uno scioglimento.

Il principe Aliberto era un ragazzo taciturno e riflessivo che ascoltava volentieri i pareri delle persone che lo circondavano e tendeva a essere d’accordo con tutti senza mai prendere una decisione; la principessa Doralice era una ragazza chiacchierona e impulsiva che contrastava fieramente le opinioni di chi discuteva con lei e non si risolveva mai ad accettarle.

“Marito mio, siamo nei guai – disse una sera la regina – se salirà al trono Aliberto, sarà un sovrano in balia dei consiglieri e non prenderà mai una decisione da solo; se invece regnerà Doralice il popolo avrà una regina cocciuta e intransigente che farà solo di testa propria.”

“Hai ragione, mia diletta, la scelta di ciascuno dei due potrebbe rivelarsi un errore per il futuro del regno, ma la legge parla chiaro: il primogenito sale al trono e dobbiamo ancora capire chi dei due lo sia.”

Interpellare i diretti interessati sarebbe stato inutile: Aliberto avrebbe scosso la testa senza rispondere e Doralice si sarebbe imposta senza trovare opposizione da parte del fratello.

A corte i principi erano stati soprannominati l’uno Signorsì e l’altra Signornò e per il momento nessuno pareva preoccuparsi di chi dei due fosse l’erede al trono.

Anche il popolo non se ne dava pensiero, divertito dai pettegolezzi che circolavano sull’arrendevolezza di Aliberto e sulla prepotenza di Doralice.

I sovrani si arrovellavano nel dubbio e decisero di consultare gli anziani di corte, nella speranza che dalla loro vasta saggezza scaturisse la soluzione.

“Fateli regnare insieme” fu l’ovvio e vano responso dei saggi, ma il re e la regina sapevano benissimo che ciò non sarebbe stato possibile per due motivi: Aliberto avrebbe continuato ad acconsentire a ogni richiesta e Doralice a opporvisi e poi un bel giorno sia l’uno che l’altra si sarebbero voluti sposare e quindi sul trono ci sarebbero stati quattro sovrani!



Il re e la regina avevano perso ogni speranza di trovare una ragionevole soluzione e quando fu annunciata loro la visita della fata Malvina, madrina di entrambi, non ebbero neppure la forza di rallegrarsene.

Malvina giunse con un cavaliere dall’armatura splendente il cui volto era celato dall’elmo. Il suo misterioso accompagnatore non si mostrava mai in giro e nessuno sentiva il suono della sua voce.



Dopo alcuni giorni di permanenza al castello, la fata Malvina chiese ai sovrani di riunire la corte per fare un annuncio.

Davanti al re e alla regina, ai nobili e ai rappresentanti del popolo, la fata condusse nel salone il misterioso cavaliere e gli chiese di togliersi l’elmo. Si rivelò così il bel volto nobile di un giovane il cui aspetto parve familiare a molti dei presenti.

“Vostre maestà, riconduco a voi il primogenito che vi fu sottratto con un malvagio incantesimo dalla mia rivale, la strega Melagra. Diciotto anni fa stesi sulla vostra memoria un velo di oblio affinché il dolore per la perdita del principe Bertrando non vi facesse uscire di senno e riuscii a mia volta a sottrarlo al dominio di Melagra, ma dovetti tenerlo nascosto presso di me fino al momento in cui riuscii a sconfiggerla definitivamente. Come prova che questo giovane sia vostro figlio vi reco i panni in cui era avvolto nella culla al momento del rapimento e il medaglione che portava al collo.”



Con trepidazione i sovrani esaminarono ciò che la fata mostrava loro e riconobbero gli indumenti che la regina stessa aveva ricamato e il medaglione appartenuto al sovrano che egli aveva donato al neonato. Il velo dell’oblio cadde ed entrambi rammentarono i concitati momenti del rapimento e il grande dolore per la perdita di Bertrando.

Tutta la corte esplose in un’ovazione poi gli sguardi corsero ai principi gemelli. Arrossendo, Alibrando dichiarò che l’accaduto gli sembrava quanto mai inoppugnabile ed era lieto di riconoscere il diritto del fratello; Doralice espresse il sollievo per non essere più costretta a discutere ogni cosa con tutta la corte e comunicò la propria decisione di dedicarsi allo studio per poter scrivere un testo definitivo sulla risoluzione dei principali problemi del mondo.

Bertrando fu presentato in gran pompa come l’erede al trono e quando fu incoronato, parecchi anni dopo, si rivelò un re giusto e saggio che assicurò al regno un lungo periodo di pace e di prosperità.



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