Pubblicato nel 2016 in Venezuela e nel 2017 in Spagna (Bartleby Editores) con alcune modifiche e l’aggiunta di un paio di testi Il muro di Mandel’štam [El muro de Mandelshtam] del poeta venezuelano Igor Barreto (1952) è un libro che parla di muri, però abbattendoli. La vita del poeta russo scomparso nel 1938 in un Gulag siberiano s’intreccia, ott’anni dopo, a quella di un poeta che vive in una Caracas impoverita e piena di conflitti, ma i due si comprendono bene perché la poesia è un ponte che abbatte le frontiere del tempo e dello spazio.
Un libro densissimo che sfiora le 150 pagine ma che non si vorrebbe mai smettere di leggere, dove il canto si affianca al teatro (“tutto è teatro” detta l’epigrafe della poetessa rumena Ana Blandiana) e si parla anche di Stalin, lettore appassionato della Divina Commedia, così come lo era Mandel’štam: ironia feroce che accenna alla cultura (alla poesia) che può condurre in Siberia, all’inferno dei campi di sterminio.
Un flusso incandescente che ripercorre la storia di uomini e donne attraverso testi lirici, in prosa poetica, brevi racconti ed epitaffi, per lo più scritti dagli stessi morti che provano a dirci qualcosa delle loro misere vite e spesso sfortunate, a lasciare un piccolo segno, un ricordo al viandante che passa distratto e s’imbatte in quelle parole schiette e limpide. Uno dei fili conduttori dell’opera di Barreto è proprio quello della sofferenza dell’uomo abbandonato a sé stesso, spinto ai limiti della sopportazione, afflitto da un dolore che lo devasta e lo trasforma. Chiuso in un lager o in un ghetto, in un carcere, o in una tomba o nella propria povertà che si trasforma in parete invalicabile, in distacco che paralizza ma che all’improvviso può farsi sguardo che perfora l’esistenza, la inquadra da un punto di vista obliquo, con l’audacia di chi non ha più nulla da perdere che poi, a ben vedere, è la condizione esatta in cui nacquero, tra il 1934 e il 1937, i Quaderni di Veronež di Osip Mandel’štam: le poesie dell’esilio, diario di poesia esemplare che è il punto di partenza del nuovo libro di Barreto. Il dolore strappa dalle proprie radici, da noi stessi e confonde i contorni delle cose, ai colori si sostituisce il nero, il pozzo dove si sprofonda. In simili condizioni la vicinanza della morte può essere una consolazione e l’unica libertà è proprio quella di lasciarsi andare, di vedersi vivi (e liberi) dopo la fine di tutto, nel sogno/allucinazione che la morte possa donare qualcosa che non si è avuto in vita.
Ojo de Agua è il luogo centrale del libro, alla periferia di Caracas (“vivere a Caracas è come dormire / in un sarcofago / di gelido cemento”), il ghetto dei sopravvissuti, e Osip appare in questo luogo e dialoga con Igor di cose semplici, della vita quotidiana, ma anche della Siberia e di Dante, di Stalin e di una famiglia italiana arrivata in Venezuela dal Lago di Garda subito dopo la Prima Guerra Mondiale.
Il confronto umano e poetico del Muro è soprattutto con Mandel’štam, ma anche con Dante, W. B. Yeates, Rimbaud e Baudelaire, Pavese, Lee Master e la sua Antologia di Spoon River, il poeta cileno Jorge Teillier e tanti altri cosicché alla fine sono molti i fili che s’intrecciano in questa opera solida, ibrida e suggestiva che appare come un muro circolare che a fine lettura riconduce all’inizio, lì, nella gabbia della realtà da dove si vorrebbe fuggire anche se c’è chi dice che “la gabbia fa dell’uccello / un qualcosa di più prezioso”, dove il grido si fa assenza, vuoto totale come nella poesia dedicata al famoso quadro di Edward Munch.
Nella nuova raccolta torna il mondo degli umili, sempre presente nei libri di Barreto: gli oppressi, i delusi, i sofferenti. E poi i mestieri, il duro lavoro, la terra, la tierranegra che è il titolo di un suo libro pubblicato anche in Italia (Terranera, 2010, Raffaelli Editore), la violenza e la fame e quel filo di ironia quasi gioiosa e talvolta claunesca che è la corda alla quale aggrapparsi per uscire dal “pozzo nero”. E poi: la vasta periferia di una Caracas corrotta e inquietante, il contrasto tra benessere oligarchico e sobria povertà: condizione sociale, dato tangibile ma che potrebbe essere una scelta, un modo di stare al mondo senza compromessi, senza infierire sui propri simili, così da poter scrivere sulla propria pelle la parola “libertà”, come nella famosa (e qui citata) poesia di Paul Eluard.
La voce del poeta lascia segni sul muro, impronte nel fango che amalgama a quelle delle vittime dell’odio, dell’intolleranza, dell’assenza di pietà e compassione. La realtà è un muro contro il quale sbattere la testa, da scalfire con le unghie, da incidere con versi e allora al fango può sostituirsi la candida neve (“perché la neve è qualcosa di nuovo”), così in contrasto con il panorama venezuelano: un salto nell’altrove, verso il bianco calpestato da Mandel’štam in esilio a Veronež o la neve che appare in molte poesie di Eugenio Montejo, altro grande poeta venezuelano. La morte sempre presente, la morte come pane quotidiano che per assurdo intensifica il senso della vita, rende autentico ogni singolo attimo, fa sì che si ascolti con lo sguardo, con tutto il corpo. Il muro di Mandel’štam è un libro complesso ma ha il dono della trasparenza del vetro: mutevole e sfumato, con intarsi di visioni e versi sussurrati “nella grandezza inaspettata del silenzio” o nello squallore di una periferia che si allarga a metafora del mondo contemporaneo.
POESIE DI IGOR BARRETO da El muro de Mandelshtam (Spagna, 2017, Bartleby Editores)
MANDELSHTAM
Mandelshtam es un animal
en el centro de un círculo
que unos hombres han hecho armándose con palos.
Es el poste de luz que en esa esquina
tiene la cúpula apagada
por una lámpara rota,
peligrosamente cortante.
No olvidemos que el poeta
es un factor potencial
en la dinámica
iluminatoria.
Mandelshtam es la vereda con escalones,
un venoso pasadizo de obreros
y de «algunas» dispuestas a todo.
Fue también un hombre
dentro de una bolsa negra de plástico:
cara de rata y cola de rata,
un malandro tibio que tal vez resulte
el único hermano de Filippo el Árabe.
Porque todo Mandelshtam provoca en mí
un miedo básico,
la visión de un extraño monumento.
Aún más en este país
donde la ternura
es una frecuente dificultad.
MANDEL’ŠTAM
Mandel’štam è un animale
nel mezzo di un cerchio
che degli uomini hanno fatto armandosi di bastoni.
È il palo di luce che in quell’angolo
ha il vertice spento
per via d’una lampada rotta,
pericolosamente tagliente.
Non dimentichiamo che il poeta
è un fattore potenziale
nella dinamica
illuminatoria.
Mandel’štam è il sentiero con scalini,
un corridoio venoso di operai
e di “alcune” disposte a tutto.
Fu anche un uomo
dentro una borsa nera di plastica:
faccia da topo e coda da topo,
una mite canaglia che forse potrebbe essere
l’unico fratello di Filippo l’Arabo.
Perché ogni cosa di Mandel’štam provoca in me
una paura basilare,
la visione di uno stravagante monumento.
Ancor più in questo paese
dove la tenerezza
è una comune difficoltà.
†
KELVER CORDERO
(28 de julio 1981 – 2 de febrero 2005)
Extranjero, detente solo un segundo. En vida no quise ser juzgado por el precario lugar de donde venía. Fue por eso que gané la beca para estudiar leyes en la prestigiosa Universidad Católica. Apenas llegué, unas hermosas compañeras del primer año de Derecho me invitaron a un lujoso club. Recuerdo los salones enchapados en madera caoba y una piscina olímpica con fondo de mosaico azul. Era un azul incandescente, cuyos destellos se confundían con la nerviosa vibración de la superficie acuática. Todos (incluso ellas) traíamos nuestros bañadores debajo de la ropa, así que entre risas sensuales, nos desnudamos a un tiempo. Ellas se demoraron elogiando sus cuerpos, mientras yo caminaba solitario por el borde de la alberca. Nadie se dio cuenta, ni tan siquiera el salvavidas, pero caí sin saber nadar en la parte más honda, y descendí con los brazos abiertos hasta el fondo, donde mis ojos descubrieron una moneda tal vez lanzada para pedir algún deseo. No ofrecí ninguna resistencia. No podía sentir miedo en aquella habitación tibia y luminiscente; vi que ascendían algunas esferas de aire exhaladas por mis pulmones, y escuché las risas de mis amigas ausentes de la tragedia que acontecía. Se me ocurrió entonces que todo era algo «circunstancial». Y regresé al único pensamiento auténtico que en esemomento gobernaba mi alma: mi condición de pobreza.
†
KELVER CORDERO
(28 luglio 1981 – 2 febbraio 2005)
Straniero, fermati solo un istante. In vita non volli essere giudicato per il misero luogo dal quale venivo. Fu per questa ragione che vinsi una borsa di studio per laurearmi in legge nella prestigiosa Università Cattolica. Quando arrivai alcune belle compagne del primo anno di Diritto m’invitarono a un lussuoso Circolo. Ricordo i saloni ricoperti di legno di mogano e una piscina olimpica con il fondo di mosaico azzurro. Era un azzurro incandescente i cui scintillii si confondevano con la nervosa vibrazione della superficie acquatica. Tutti (persino le amiche) portavamo i costumi da bagno sotto i vestiti affinché, allo stesso tempo, ci potessimo spogliare tra sensuali risate. Le ragazze si fermarono a celebrare i loro corpi, mentre da solo io presi a camminare lungo il bordo della vasca. Nessuno se ne accorse, neppure il bagnino, e caddi – senza saper nuotare – nella parte più profonda. Discesi a braccia spalancate fino al fondo dove i miei occhi scoprirono una moneta, forse lanciata per esprimere un desiderio. Non offrii nessuna resistenza. Non potevo aver paura in quella stanza tiepida e luminescente; vidi risalire alcune bolle d’aria venute fuori dai miei polmoni e ascoltai le risate delle mie amiche, assenti dalla tragedia che stava accadendo. Allora pensai che tutto era qualcosa di “circostanziale”. E tornai all’unico autentico pensiero che in quel momento mi dominava l’anima: la mia condizione di povertà.
SIGNIFICADOS
Alguien se lleva la mano al corazón
y dice unas palabras.
Pero las palabras son en realidad insensibles
y quien las hizo
no calculó su capacidad
para significados tan enormes.
A pesar de los cuidados que les prodigamos:
la forma de agruparlas,
el tallado y la orquestación:
siempre los adjetivos
merecerán una reprimenda
por nuestra sentimental torpeza
y los gerundios estancados
en el encabezamiento del verso
codiciarán el sonido de cada vocablo.
Pero además, qué puede ser un verso
sino un corralito de estantillos
de madera podrida
en demasía inútil para contener
el animal que somos.
SIGNIFICATI
Qualcuno si porta la mano al cuore
e dice delle parole.
Ma in realtà le parole sono insensibili
e chi le concepì
non misurò la loro capacità
per significati così enormi.
Nonostante le attenzioni che gli rivolgiamo:
il modo di raggrupparle,
l’intaglio e l’orchestrazione:
sempre gli aggettivi
meriteranno una sgridata
per la nostra sentimentale goffaggine
e i gerundi stagnanti
nell’intestazione del verso
brameranno il suono di ogni vocabolo.
E inoltre, cosa può essere un verso
se non un cortiletto di scaglie
di legno marcio
in vana abbondanza per contenere
l’animale che siamo?
TECHAR UNA CASA
Es muy triste techar una casa con zines viejos
mientras llega un extraño maldiciendo lo que otro hace
y no se percata que ese otro
al golpear la cabeza de un clavo
—honestamente—
está construyendo un nido.
Lo digo como alguien que contempla una imagen
en estado de flotación.
También porque nunca he podido mirar un tarro vacío:
¡siempre lo veo roto!
Es la verdad,
es la verdad.
Resulta duro
observar a un hombre
que sólo se acerca
y escupe el nido.
FARE IL TETTO A UNA CASA
È molto triste fare il tetto a una casa con vecchio zinco
mentre giunge un estraneo che maledice quel che un altro fa
e non si rende conto che l’altro
colpendo la testa di un chiodo
– onestamente –
sta costruendo un nido.
Lo dico come qualcuno che contempla un’immagine
in stato di galleggiamento.
Anche perché non ho mai potuto guardare un barattolo vuoto:
lo vedo sempre rotto!
È la verità,
è la verità.
È duro
osservare un uomo
che si avvicina da solo
e sputa il nido.
CONTEMPLANDO EL CUADRO EL GRITO, DE EDWARD MUNCH
El grito de Edward Munch
es la ausencia de grito.
En el centro de cuadro
está el pequeño orificio
de una boca
donde no vemos dientes:
lo que deja al descubierto
a un ser vacío
que esa mera silueta.
El puente y el riachuelo
viven
de la insinuación cromática.
Así como la ráfagas de aire
y el fiordo oscuro-azul
son meros trazos gestuales.
No existe ningún reclamo laboral
en esta imagen
por el supuesto ascensor que baja
directo al sótano de tanto años.
Ni tan siquiera una protesta
por la idiotez de las chisteras
y los sombreros de las damas.
En fin, del gran tema
de El grito de Edward Munch
lo que ha quedado,
es el vaciamiento:
la materia que escapa,
la que no quiere cuerpo,
la sin mí.
CONTEMPLANDO IL QUADRO IL GRIDO, DI EDWARD MUNCH
Il grido di Edward Munch
è l’assenza del grido.
Al centro del quadro
c’è il piccolo foro
di una bocca
dove non si scorgono denti:
e questo lascia scoperto
un essere vuoto
che è mera silhouette.
Il ponte e il ruscello
vivono
dell’insinuazione cromatica.
Così come le raffiche d’aria
e il fiordo oscuro-azzurro
sono meri tratti gestuali.
Non esiste nessun richiamo al lavoro
in questa immagine
dall’ipotetico ascensore che scende
dritto alla cantina di tanti anni.
Né ancor meno una protesta
per l’idiozia dei cilindri
e i cappellini delle dame.
In fondo, del gran tema
de Il grido di Edward Munch
quel che resta
è lo svuotamento:
la materia che fugge,
che non vuole corpo,
quella senza di me.
POSIBLE COMIENZO
Con el cambio de lugar de los símbolos
se inició la destrucción del país.
La imagen
se fue totalmente a negro.
Todavía hay miedo
y la timidez está tan cerca de la ira.
¿Qué hacer para que desaparezca
lo ocurrido intencionalmente?
Tal vez
vendrá otro hombre
con gran poder sobre el azar.
Recuperemos
un sentido mayor.
Aún tenemos restos de la casa:
existe una puerta
y lo que falta
regresará.
POSSIBILE INIZIO
Col cambio di luogo dei simboli
iniziò la distruzione del paese.
L’immagine
divenne del tutto nera.
Periste la paura
e la timidezza è molto vicina all’ira.
Che fare affinché sparisca
quel ch’è accaduto intenzionalmente?
Forse
arriverà un altro uomo
con grandi poteri sul destino.
Recuperiamo
un senso più grande.
Abbiamo ancora i resti della casa:
c’è una porta
e quel che manca
tornerà.
HOMBRE BASURA
Por la calle
ellos (los del Aseo Urbano) recogían:
pilas,
pirámides,
verdaderos muros
de bolsas negras de plástico
que se rompían y desunían
y la basura
era juntada de nuevo
y arrojada al interior del camión
que se la tragaba
llevándola a una prehistoria
futura.
Yo los vi tomar un bulto
tan pesado,
tan pesado,
que dos de Ellos
tuvieron que halarlo por los extremos.
Pero… lo que vi realmente
era que trataban de poner en pie a un amigo.
Porque el camión blanco y mugriento de la basura
no espera.
La basura
está hecha de un presente que no espera.
UOMO SPAZZATURA
Per strada
loro (quelli della Nettezza Urbana) raccoglievano:
pile,
piramidi,
muri concreti
di borse nere di plastica
che si rompevano e si staccavano
e la spazzatura
veniva di nuovo ammassata
e lanciata all’interno del camion
che la ingurgitava
portandola a una preistoria
futura.
Io li vidi prendere un sacco
così grosso,
così grosso,
che due di Loro
dovettero afferrarlo alle estremità.
Ma… quel che vidi davvero
era che tentavano di mettere in piedi un amico.
Perché il camion bianco e sporco della spazzatura
non aspetta.
La spazzatura
è fatta di un presente che non aspetta.
CUASI CRÓNICA AMARILLISTA
Cuando le fue a disparar,
cuando estaba prácticamente a boca de cañón,
comenzaron a olerle tanto las axilas,
tanto
que el asesino
prefirió apartarse de tal fetidez
y le perdonó la vida.
CRONACA QUASI SCANDALISTICA
Quando fece per sparargli,
quando praticamente gli stava a bruciapelo,
iniziarono a puzzargli così tanto le ascelle
tanto
che l’assassino
preferì allontanarsi da quel fetore
e gli salvò la vita.
MANDELSHTAM HABLA DE ARTHUR RIMBAUD
Solo estaré bien cuando pueda ponerme una pierna artificial.
Carta de Rimbaud a su hermana Isabelle
Marsella, Junio de 1891
Recuerdo que la causa de su muerte fue un tumor,
una desgarradura pútrida cerca de la rodilla:
eso
que en la Edad Media
algunos mendigos
llamaron: «La pierna de Dios»
porque su fetidez les ayudaba a ganar el pan de cada día.
La infección se extendió de tal manera,
tendido en aquel catre
del viejo hospital de Marsella,
que la llaga estalló
como la aparición de un universo
con estrellas rojas
y la sombra de asteroides
junto al brillo inaudito de las galaxias.
Transcurrieron horas
hasta que no hubo otro remedio que amputarle la pierna
y así nació la posibilidad de lo humano,
la prehistoria de su persona
—cómo decirlo—
toda su poesía
se convirtió en el sueño
de una pierna artificial:
una omisión sangrienta.
Oscura, oscura,
es la amplitud insospechada del silencio.
MANDEL’ŠTAM PARLA DI ARTHUR RIMBAUD
Starò bene solo quando potrò mettermi una gamba artificiale.
Lettera di Rimbaud alla sorella Isabelle
Marsiglia, giugno 1891
Ricordo che la causa della sua morte fu un tumore,
una putrida spaccatura al ginocchio:
quello
che nel Medioevo
alcuni mendicanti
chiamavano: “La gamba di Dio”
perché il suo fetore li aiutava a guadagnarsi il pane quotidiano.
L’infezione si allargò così tanto,
stando steso in quella branda
del vecchio ospedale di Marsiglia,
che la piaga esplose
come l’apparizione di un universo
con stelle rosse
e l’ombra di asteroidi
vicino all’inaudita luminosità delle galassie.
Trascorsero delle ore
finché non ci fu altro rimedio che amputargli la gamba
e così nacque la possibilità di ciò ch’è umano,
la preistoria della sua persona
– come dirlo –
tutta la sua poesia
si trasformò nel sogno
di una gamba artificiale:
una omissione sanguinante.
Oscura, oscura,
è la grandezza insospettata del silenzio.
MANDEL’ŠTAM SE DIRIGE A LOS HABITANTES DEL GUETO
–Esta será mi canción para los barrios bajos
dedicada a pintores de brocha gruesa,
buhoneros y albañiles.
Amigos todos de la última marejada,
repitan por favor en coro:
Al pobre y al judío holgazán
en la mierda los clavarán.
Lo digo para que sepan y no se olvide.
Yo vi un resplandor
cuando del techo goteaba
una melaza
que era cieno y sal,
como la promesa de vivir siempre aquí.
Recuérdenme siempre
y no se les olvide:
Al pobre y al judío holgazán
en la mierda los clavarán.
MANDEL’ŠTAM PARLA AGLI ABITANTI DEL GHETTO
– Questa sarà la mia canzone per i bassifondi
dedicata a pittori di pennello grosso,
chincaglieri e muratori.
Tutti amici dell’ultima mareggiata,
per favore ripetete in coro:
Al povero e al pigro ebreo
li inchioderanno nella merda.
Lo dico affinché sappiano e non lo si dimentichi.
Io vidi uno splendore
quando dal soffitto gocciolava
una melassa
che era fango e sale,
come la promessa di vivere sempre qui.
Ricordami sempre
e non dimenticarli:
Al povero e al pigro ebreo
li inchioderanno nella merda.
|
Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini
Igor Barreto è nato a San Fernando de Apure (Venezuela) nel 1952. Ha studiato teoria dell’arte nell’Università di Bucarest, dal 1973 al 1979. Laureatosi nel 1982 per poter partecipare al laboratorio poetico del Centro di Studi Latinoamericani Rómulo Gallegos. Nello stesso anno pubblica la raccolta poetica ¿Y si el amor no llega? e qualche anno dopo vince il premio municipale con Soy el muchacho más hermoso de esta ciudad (1986), seguita da Crónicas llanas (1989). Nel 1993 riceve il Primo premio dell’Università Centrale del Venezuela per la raccolta poetica Tierranegra. Nel 2001 pubblica Carama, seguita nel 2006 da due nuovi libri di poesia: Soul of Apure e El llano ciego. Nel 2007 è stata pubblicata in Spagna una vasta antologia, riprendendo il titolo della raccolta del 1993, Tierranegra (Selección de poemas). Nel 2014 ha pubblicato Annapurna e nel 2014 la casa editrice spagnola Pre-Textos ha pubblicato El campo / El ascensor la sua opera completa fino al 2013.
Ha tradotto dal rumeno le poesie di Lucian Blaga e pubblicato libri per bambini. Collabora come giornalista a testate nazionali e a varie riviste letterarie. Suoi testi poetici sono stati inclusi nelle più importanti antologie sulla poesia contemporanea venezuelana e tradotti in inglese, francese e italiano. Nel 2008 gli è stata assegnata la borsa di studio dalla fondazione Guggenheim.
In Italia è stata pubblicata la raccolta Terranera (2010, a cura di Alessio Brandolini, Raffaelli Editore).
alexbrando@libero.it
|