FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 48
gennaio/aprile 2018

Piccolo & Grande

 

ELEONORA FINKELSTEIN, TUTTO SI TRASFORMA

di Alessio Brandolini



Tutto si trasforma [Todo se transforma] è l’ultimo lavoro di poesia di Eleonora Finkelstein (1960), autrice argentina che da tempo vive a Santiago del Cile. Libro uscito in Messico nel 2017, un’antologia però senza date, come un’opera nuova elaborata dopo aver ripercorso il proprio passato umano e poetico.

Poesia ritmata da una “tristezza a bassa frequenza”, da una ironia particolare: trasgressiva e spesso inquietante, piuttosto rara nel mondo latinoamericano. Non a caso si citano più autori di lingua inglese che di area spagnola, come Edgar Lee Master, William Carlos Williams (al quale dedica una poesia), William Blake, Wallace Stevens, Allen Ginsberg, Derek Walcott e nella poesia “Il miglior fabbro” (titolo in italiano) vi è una chiara allusione a Ezra Pound e a The Wast Land di T. S. Eliot. Con echi rockeggianti (si cita Elliott Smith) e riferimenti al jazz di Miles Davis, ma soffocato, quasi in sordina.

Dal fermento della propria infanzia nascono questi versi che spesso si trasformano in brevi ma esaustivi racconti in poesia, in “microstorie” che provano a restaurare episodi, emozioni, prime esperienze erotiche e primi fidanzati, ritratti di genitori ecc. in un linguaggio colloquiale e schietto: “queste sono alcune buone storie della mia vita”, “questa che vi racconto è una cosa bestiale”. Però il resoconto dell’esistenza vissuta è fragile e mutevole, un colabrodo. Possono essere ben saldi alcuni capisaldi (date, luoghi) ma tutto il resto è traballante e/o in continua alterazione. Non esiste una verità assoluta, un unico binario sul quale spostare, avanti e indietro, i vagoncini dei ricordi: “tutto si trasforma”, come detta il titolo del libro, e allora ogni cosa può essere falsa o anche vera, dipende dai punti di vista o da ciò che si intende per verità e poi: che tipo di verità? Quello che si è visto con i propri occhi? Occhi di bambina che osservano con timore, poca esperienza, sbalordimento, suggestione dei fatti che giungono inattesi e ognuno di essi colpisce/modella i sentimenti, le percezioni. Ogni esperienza, sebbene piccola, è una grande scoperta che apre nuovi orizzonti ma può generare altre paure.

O la verità è ciò che videro gli occhi di una madre? Ricostruire il suo punto di vista, magari dopo vent’anni, non è facile, anzi è impossibile perché nessuno, in fondo, è mai ciò che dice di essere o quello che sembra. Si interrogano vecchie foto che ci fissano e provano a suggerire qualcosa, uno spicchio di verità alternativa alla nostra. Quelle foto bloccate nelle loro “vite eterne” dove nulla è cambiato eppure tutto, in continuazione, si modifica. Il dubbio è accettato, è la base dell’esistenza, così come la possibilità dell’errore e allora si torna spesso indietro, si rovista nel passato, si scava tra ruderi, si toglie a mani nude un altro strato di polvere per scoprire nuovi particolari perché, sempre e comunque, l’infanzia è il luogo dove far ritorno al di là dei muri del presente. “Le cose passano soltanto: / a volte sì, a volte no” e provare a ricostruire la verità è fondamentale perché solo lei può “circoscrive la menzogna”.

Comprendere la propria infanzia/adolescenza può essere inutile ma è necessario, un lavoro duro dove si scava e si vanga e che ha “a che vedere con l’incoscienza / con il perseguire qualcosa fino a scordarsi perché”.
In Tutto si trasforma Eleonora Finkelstein trascrive con grande bravura voci che giungono da lontano, dall’infanzia, da una “festa di travestimenti” e parla molto di bambini, narra in poesia storie piccole e marginali ma indispensabili perché sono il fondamento di ciò che siamo. Autoironia che si mescola a una vena comica e surreale: “il corpo che abito non mi presta attenzione”. Si è bambini e subito ragazzi e ci si convince di qualcosa, “non so bene di che”, poi si comprende che tutto quello che si dice o si ascolta “è vero e falso allo stesso tempo”, che siamo instabili come i sogni.




POESIE DI ELEONORA FINKELSTEIN
da Todo se transforma (Messico, Valparaíso, 2017)


NIÑOS

1

Igual que Ginsberg, Patti Smith,
yo también pensé que eras un chico.
Fue la primera vez que te vimos:
Allen en el Chelsea Hotel, en los 70, creo.
Yo, en una foto, en la década siguiente.

Soñé que dormíamos juntas.
Me pegaba a tu espalda
y era la noche, como siempre,
algo parecido a una cabalgata.

Entonces, me despertaba para dibujar
un retrato tuyo con un lápiz negro.
Un lápiz como una rienda, que cuando quería
se volvía blanco para iluminarte el cuello.
Era un camino largo donde pasaban los caballos
galopando hacia tu cabeza sin salida:
en uno iba montada yo.

En ese mismo sueño me salía del cuerpo
y miraba de lejos mi nuca rubia con el pelo revuelto.
Estaba dormida sobre un papel que tenía tu cara de chico.

Al otro día y al otro, repetía tus gestos y tus actos.
Por ejemplo, me corté el pelo frente al espejo
con una tijera desafilada y un cuchillo de cocina.
El efecto fue grandioso.


BAMBINI

1

Come Ginsberg, Patti Smith,
anch’io pensavo che eri un bambino.
Fu la prima volta che ti vedemmo:
Allen al Chelsea Hotel, nei ’70, credo.
Io, in una foto, nella decade successiva.

Sognai che dormivamo assieme.
Mi attaccavo alla tua schiena
e la notte era, come sempre,
qualcosa di simile a una cavalcata.

Allora mi svegliavo per farti
un ritratto con una matita nera.
Una matita come una briglia che quando volevo
diventava bianca per illuminarti il collo.
Era una strada lunga dove passavano i cavalli
galoppando verso la tua testa senza uscita:
e uno di loro lo cavalcavo io.

In quello stesso sogno uscivo dal corpo
e guardavo da lontano la mia testa bionda coi capelli sottosopra.
Ero addormentata su un foglio con sopra il tuo volto da bambino.

Nei giorni successivi ripetevo i tuoi gesti e le tue azioni.
Per esempio, mi tagliai i capelli davanti allo specchio
con una forbice smussata e un coltello da cucina.
L’effetto fu strepitoso.


2

Por aquel tiempo besé a dos mujeres
las únicas de toda mi vida
(éramos sólo niñas),
Blanca e Inmaculada se llamaban.
—Una de las dos afirmaciones anteriores es falsa—.

También, para andar a tu ritmo,
tuve un novio gay tan guapo.
Un artista trágico, el más guapo.
Sus ojos eran igual de verdes
y abiertos como lagos.
Bautista se llamaba (vaya nombre)
y andaba traficando agua bendita.
—Una de las dos afirmaciones anteriores es verdadera—.

Me adoraron, pero nunca fue suficiente.
Ellas lloraron por mí. Pidieron
por la salvación de mi cuerpo (¿o de mi alma?).
Él, como prueba de su amor, pasó una noche entera
acariciándome los brazos destrozados.
—Todo lo que afirmo es verdadero y falso al mismo tiempo—.


2

Durante quel periodo baciai due donne
le uniche di tutta la mia vita
(eravamo solo bambine)
si chiamavano Bianca e Immacolata.
– Una delle due precedenti affermazioni è falsa –

Inoltre, per seguire il tuo ritmo,
ebbi un fidanzato gay bellissimo.
Un artista tragico, il più bello.
I suoi occhi erano identici al verde
e aperti come laghi.
Si chiamava Battista (che nome!)
e trafficava con acqua benedetta.
– Una delle affermazioni anteriori è vera –

Mi adorarono, però mai abbastanza.
Loro piansero per me. Chiesero
la salvezza del mio corpo (o della mia anima?).
Lui, come prova del suo amore, passò una notte intera
accarezzandomi le braccia distrutte.
– Tutto quello che affermo è vero e falso allo stesso tempo –


3

Estas son de las buenas historias de mi vida
y digo sus nombres para que me crean a pesar de todo.
Porque no era fácil seguir aquellos pasos.
El arte nos fregó, dijo Bautista en su lecho de muerte.
Blanca asintió: triste pero cierto. Inmaculada
se volvió negra, así, frente a nuestros propios ojos.
—Es verdad, lo juro, es falso—.

Éramos niños, querida, claro,
y todavía no ha cambiado nada.
Seguimos creyendo en los milagros y somos
inestables como sueños. Hipersensibles:
estamos hablando de caballos.


3


Queste sono alcune buone storie della mia vita
e faccio i loro nomi affinché, nonostante tutto, mi credano.
Perché non era facile stare dietro ai loro passi.
L’arte ci ha spazzati via, disse Battista sul letto di morte.
Bianca assentì: triste ma reale. Immacolata
si fece scura, così, davanti ai nostri occhi.
– È vero, lo giuro, è falso –.

Eravamo bambini, cara, chiaro,
e tuttora nulla è cambiato.
Ci ostiniamo a credere ai miracoli e siamo
instabili come sogni. Ipersensibili:
stiamo parlando di cavalli.


1959

      A mi mamá, antes
Partamos por un close up
a esa foto tuya
que me habría encantado conservar,
pero que se nos perdió de vista
con tantas mudanzas.
Era el 59 y andabas por la vida
con 59 de cintura.
Y usabas pantalones, claro
(aunque no se alcancen a ver).
Y fumabas.
Ya sé que te ibas a divorciar
(de algún modo se alcanza a ver).
Increíble, súper rubia, sentada y mirando a la cámara
conh esos anteojos negros en forma de alas
y esa remera rayada tan op-art.

Esa es mi madre pero no era mi madre todavía.
La cabeza apenas inclinada y echada hacia atrás.
Un poco de Marilyn, otro poco de las chicas del Che.
Demasiada luz, demasiado foco,
un toque de revolución
contra la multitud de fondo
(apenas linda, algo fea)
desdibujada de sólo mirarte.

Esa única imagen entre todas
es un lugar donde volver,
más allá de los muros,
de los idealistas a toda costa.
A medio camino y está bien:
entre el teatro y el partido.
Más allá de las idas y las vueltas.
Del Sputnik, la máquina y el Beat.
Del bebop y de Engels y de Marx.
Del “opio de los pueblos” y tanto libro
y la Guerra Fría y Stanislavski y Elia Kazan.

Ahí estás, fija y perfecta, en esa vida eterna,
entre algunas referencias de aquel mundo
y un solo de trompeta de Miles,
ahogado, que se va llevando la corriente
y nos deja sin batallas.
A medio camino y está bien.
Porque últimamente nadie sabe
dónde queda el horizonte y yo tampoco.
Se dice que Dios,
aun después de muerto,
es la fe de cada uno. Y está bien.


1959

      A mia madre, prima
Iniziamo con un close up
di questa tua foto
che avrei voluto conservare,
ma che abbiamo perso di vista
per via dei tanti traslochi.
Era il 59 e andavi per la vita
con 59 di cintura.
E usavi pantaloni, certo
(benché non si riescano a vedere).
E fumavi.
So già che avresti divorziato
(anche questo non si si riesce a vedere).
Incredibile, super bionda, seduta a fissare la macchina fotografica
con quegli occhiali neri a forma di ali
e quella maglietta a righe così op-art.

Questa è mia madre ma non era ancora mia madre.
La testa un poco inclinata e spinta all’indietro.
Un po’ di Marilyn, un altro poco delle ragazze del Che.
Troppa luce, troppi fari,
un tocco di rivoluzione
contro la moltitudine del fondo
(a stento carina, un poco brutta)
cancellata al solo guardarti.

Questa è l’unica immagine tra tante
è un posto dove tornare,
al di là dei muri,
degli idealisti a ogni costo.
A metà strada e va bene così:
fra il teatro e il partito.
Oltre le partenze e i ritorni.
Dello Sputnik, la macchina e il Beat.
Del bebop e di Engels e di Marx.
Dell’oppio dei popoli e i tanti libri
e la Guerra Fredda e Stanislavski ed Elia Kazan.

Sei lì, fissa e perfetta, in quella vita eterna,
tra alcuni riferimenti di quel mondo
e un assolo di tromba di Miles,
soffocato, che la corrente si porta via
e ci lascia senza battaglie.
A metà strada e va bene così.
Perché ultimamente nessuno sa
dove si colloca l’orizzonte e io nemmeno.
Si dice che Dio,
persino dopo morto,
sia la fede di ognuno. E va bene così.


DELITOS MENORES
—HÉROES DE TODO TIPO—

Los recuerdo perfectamente bien.
Con nombres y apellidos.
Robaban y venían a mí como a una diosa
con las mochilas llenas de cosas inútiles:

felpudos que decían Welcome
pero se ataban a los muros con cadena.
Faroles como animales eléctricos
a la intemperie.
Enanos de yeso y toda esa porquería
de “somos una familia feliz”.

“No pasarán”,
rayábamos en la entrada de nuestras casas
y reíamos encantados, convencidos de algo.
No sé bien de qué.

Dicen que la verdad limita con la mentira.
Dicen que igual hace lo suyo mientras puede.
Por mi parte, miraba al cielo y languidecía,
pensaba en la inteligencia que
—aunque no se notara a simple vista—
contenía en sí mismo todo aquello.




DELITTI MINORI
– EROI DI OGNI TIPO –


Li ricordo perfettamente.
Con nomi e cognomi.
Rubavano e venivano da me come da una dea
con gli zaini pieni di cose inutili:

zerbini che dicevano Welcome
ma legati ai muri con una catena.
Lampioni come animali elettrici
all’intemperie.
Nani di gesso e tutta quella porcheria
di “siamo una famiglia felice”.

“Non passeranno”,
tracciavamo all’entrata delle nostre case
e ridevamo incantati, convinti di qualcosa.
Non so bene di che.

Dicono che la verità circoscriva la menzogna.
Dicono che faccia il suo lavoro fin che può.
Da parte mia, guardavo il cielo e illanguidivo,
pensavo all’intelligenza che
– anche se non si notava a occhio nudo –
conteneva dentro di sé tutto questo.


VIDAS PARALELAS

Él había vivido en una iglesia pero ya no.
Ella trabajaba en un bar y nada que hacer.
Llegaron al hotel y alquilaron la misma habitación
para pasar los meses fríos.
Pero fue en inviernos diferentes
(a cuál peor).

Él buscaba una mujer
(ahora que su madre había muerto,
casarse ya no le parecía tan mal).

Ella juraba conocer a los hombres:
todos diferentes, ninguno bueno.
Mejor sacárselos de la cabeza.

Él ya no estaba seguro
de que Dios se ocupara de sus cosas
como cuando era un niño. Pensaba:
la providencia es un asunto inestable.

Ella vivía dispuesta a creer
en cualquier cosa menos en Dios.
Adoraba las pirámides, los cuarzos y leía el Tarot.
La suerte está echada, le gustaba decir.

Cuando llegó cada respectivo verano
(a cuál peor)
los dos siguieron su camino
con la promesa de regresar en el otoño,
pero nunca más los volvimos a ver.

Si hubieran aparecido alguna vez al mismo tiempo
(con esa esperanza increíble que sostiene a los derrotados)
si hubieran pasado juntos el invierno
de un mismo año, en esa misma habitación,
se habrían dado cuenta de que estaban
equivocados en todo.
En todo, excepto en aquello
de que ni Dios ni la suerte
intervienen en los asuntos sencillos.
Las cosas sólo pasan:
a veces sí, a veces no.


VITE PARALLELE

Lui aveva vissuto in una chiesa ma ora non più.
Lei lavorava in un bar e null’altro da fare.
Arrivarono all’hotel e affittarono la stessa stanza
per passare i mesi freddi.
Ma accadde in inverni diversi
(quale il peggiore?)

Lui cercava una donna
(ora che sua madre era morta
sposarsi non gli sembrava poi così male)

Lei giurava di conoscere gli uomini:
tutti diversi, nessuno affidabile.
Meglio toglierseli dalla testa.

Lui ormai non era sicuro
che Dio si occupasse delle sue cose
come quando era bambino. Pensava:
la provvidenza è un tema instabile.

Lei viveva disposta a credere
in qualsiasi cosa tranne che a Dio.
Adorava le piramidi, i quarzi e leggeva i Tarocchi.
Il dato è tratto, gli piaceva ripetere.

Quando arrivò ognuna delle estati,
(quale la peggiore?)
i due seguirono la loro strada
con la promessa d’incontrarsi in autunno,
però mai più tornammo a vederli.

Se mai fossero apparsi allo stesso tempo
(con quella speranza incredibile che sorregge gli sconfitti)
se avessero trascorso assieme l’inverno
di un stesso anno, in quella stessa stanza,
si sarebbero resi conto che si stavano
sbagliando su ogni cosa.
Su tutto, eccetto in questo:
che né Dio né la fortuna
intervengono sulle questioni semplici.
Le cose passano soltanto:
a volte sì, a volte no.


MISTERIOS DE LA NATURALEZA

De tanto en tanto
(más seguido de lo razonable)
hay un animal que se instala en mí
y hace su cueva como si fuera
a quedarse para siempre,
con sus emociones retorcidas
y sus fiebres brutales.
Es un sentimiento animal.

Pero no quiero que entiendan rápido,
como suele ocurrir, y piensen en algo químico,
como si se tratara de un sofoco, de sexo,
de unas flores secas dentro de un libro,
un viejo amor, o uno de esos rubores
ridículos que no se pueden controlar. No.

Ésta que les digo es una cosa de bestias.
Tiene que ver con arrodillarse y cavar.
Con andar en cuatro patas.
Con tener zarpas y pensar en carne cruda,
con tener miedo de los propios dientes.
Tiene que ver con perseguir algo y jadear.
Perseguir algo y reventarse el corazón.
Entonces hay que acostarse
y dormir bajo un árbol.
Y sentir esa humedad y ese frío en el pelaje.

Soy alguien vivo y trato de descifrar
este asunto. No lo veo claro:
tengo un animal que se acerca y a la vez
está cada día más lejos. Por eso les digo,
tiene que ver con la inconsciencia,
con perseguir algo hasta olvidar por qué.


MISTERI DELLA NATURA

Di tanto in tanto,
(più spesso di quanto ragionevole)
c’è un animale che s’installa dentro di me
e ci fa la sua grotta come se dovesse
restarci per sempre,
con le sue contorte emozioni
e le sue febbri brutali.
È un sentimento animale.

Ma non voglio che capiscano alla svelta,
come di solito accade, e pensino a qualcosa di chimico,
come se si trattasse di una vampata di calore, di sesso,
di alcuni fiori secchi messi in mezzo a un libro,
un vecchio amore, o uno di quei ridicoli
arrossamenti che non si possono controllare. No.

Questa che vi racconto è una cosa bestiale.
Ha a che vedere con l’inchinarsi e vangare.
Col camminare a quattro zampe.
Con l’avere artigli e pensare a carne cruda,
con l’aver timore dei propri denti.
Ha a che vedere con l’inseguire qualcosa e ansimare.
Inseguire qualcosa e farsi scoppiare il cuore.
Allora bisogna sdraiarsi
e dormire sotto un albero.
E sentire quell’umidità e quel freddo sul pelo.

Sono un essere vivo e provo a decifrare
questo fatto. Non ci vedo chiaro:
ho un animale che si avvicina e allo stesso tempo
ogni giorno è più lontano. Per questo vi dico:
ha a che vedere con l’incoscienza,
con il perseguire qualcosa fino a scordarsi perché.


IL MIGLIOR FABBRO

Inseguro, débil, fugaz.
Esto que escribo no es nada.
Verás —al fin y al cabo—
lo que opinen tus colegas
es exactamente lo que eres
y esa es tu obra.

Rodeados de tanta historia, adelante / atrás
y al final todo lo que sucede, sucede.
Te lo demostraré: estamos aquí, ¿verdad?
Aquí y ahora, para ser precisos.
Amigo, ese es tu piso, tu techo,
tu escritorio, tu ventana.
Ya lo ves, puras certezas.
¿Cómo no sentirse inseguro, débil, fugaz?

Esto que escribo no es nada.
Voces que llegan de la infancia, quizás.
Confío en tu juicio.
Quiero que sepas —sobre todo—
que vine especialmente para verte,
directo de un viaje al sur, y del psiquiatra
(ya sabes: inseguro / débil / fugaz).
Dios me perdone.


IL MIGLIOR FABBRO

Insicuro, debole, fugace.
Questo che scrivo non è niente.
Vedrai – dopotutto –
quello che pensano i tuoi colleghi
è esattamente ciò che sei
e questa è la tua opera.

Circondati di tanta storia, avanti / indietro
e alla fine tutto quello che accade, accade.
Te lo dimostrerò: stiamo qui, giusto?
Qui e ora, per essere esatti.
Amico, questo è la tua casa, il tuo tetto,
la tua scrivania, la tua finestra.
Ecco, vedi: pure certezze.
Come non sentirsi insicuro, debole, fugace?

Questo che scrivo non è niente.
Voci che arrivano dall’infanzia, forse.
Mi fido del tuo giudizio.
Voglio che tu sappia – soprattutto –
che sono venuta soprattutto per vederti,
direttamente da un viaggio al sud, e dallo psichiatra,
(ormai lo sai: insicuro / debole / fugace).
Dio mi perdoni.


CIRCE O LAS RUINAS

Este cuerpo en el que habito
o soy,
me tiene generalmente sin cuidado.
Por eso, ahí está, si lo quieres.
Yo diré: ¿quién es aquella
tendida allí, con los ojos
clavados en el techo?
¿Quién la de los dedos como puñales
en la nuca del animal?
Soy vieja pero recuerdo
cómo derramar la sangre
y estoy en mis uñas viva como otros
se instalan en su cabeza.
Con ellas, mis preciosas,
todavía puedo degollar un cerdo
o partirte el corazón mil veces.
Porque (si bien es cierto) son
ruinas estas que nos rodean,
aún no ha pasado el tiempo suficiente.


CIRCE O LE ROVINE

Questo corpo nel quale abito
o sono,
di solito non mi presta attenzione.
Per questo, sta là, se lo vuoi.
Io dirò: chi è quella
distesa lì, con gli occhi
inchiodati al soffitto?
Chi è quella delle dita come pugnali
sulla testa dell’animale?
Sono vecchia ma ricordo
come versare il sangue
e mi sento nelle mie unghie viva come altri
si stabiliscono nella sua testa.
Con loro, mie care bellezze,
ancora posso sgozzare un maiale
o farti a pezzi il cuore mille volte.
Perché (se è vero) sono
rovine queste che ci circondano,
ancora non è trascorso il tempo necessario.


ARTIFICIAL

Pesada como es, salvo en las piernas:
una negra y la otra inexistente,
no es verde la palabra árbol.
El verde es para la serpiente
porque toda la noche
sopla una “s” interminable
en el reproductor que puse
debajo de mi almohada: sibila sable
sol sulfúrico siniestro. Así.

Árbol es negro como la sombra
y sombra, a su vez, insecto:
vibra en la batalla por la luz.
Ahora, recién ahora,
podemos levantar los ojos al cielo
blanco y negro
para ver las aves avanzar
en círculos de colores. Lentos porque sí.
Porque no se “avanza en círculos”, es cierto,
pero una cosa es seguir y otra
muy distinta, es empezar de cero.

Y cualquiera diría que “cero”
es una palabra completa
y sin embargo está vacía.
Es sospechoso, raro. Por ejemplo:
mi nombre —y no se trata de invocarme—
es una palabra llena
de vocales abiertas. Como una luna.
Sin embargo, yo también
debería llamarme menguante, artificial
o vacío como cero.
Como sombra o serpiente.
Venas y veneno. Para ustedes: rojo y negro.

Esta es una fiesta de disfraces.
Cada uno elige, hace lo que puede
y quizás consigue lo que quiere.
¿Por qué no?, si tenemos la misma religión:
sobrevivir en esta larga noche de carnaval,
en una Venecia dorada y oscura o el mismo
verde o cierto azul en Río de Janeiro
y otras fiestas turísticas, mentiras perfectas.
Paganos, devotos, artistas: brilla lo que se ve.
Enmascarados todos comerciamos libremente
con lo que tenemos y con lo que no tenemos: palabras.
Nunca, nada, nadie es lo que dice ser,
lo que parece.


ARTIFICIALE

Pesante com’è, salvo nelle gambe:
una nera e l’altra inesistente,
non è verde la parola albero.
Il verde è per il serpente
perché tutta la notte
sibila una “s” interminabile
nel registratore che ho messo
sotto il cuscino: sibilla sciabola
sole solforico sinistro. Così.

Albero è nero come l’ombra
e ombra, a sua volta, insetto:
vibra nella battaglia per la luce.
Ora, proprio in questo momento,
possiamo sollevare gli occhi al cielo
bianco e nero
per vedere gli uccelli avanzare
in circoli di colori. Lenti e andare avanti.
Perché “non si avanza in circoli”, è vero,
ma una cosa è seguire e un’altra
molto diversa, è ricominciare da zero.

E chiunque direbbe che “zero”
è una parola completa
e tuttavia resta vuota.
È sospettoso, strano. Per esempio:
il mio nome – e non si tratta di chiamarmi –
è una parola piena
di vocali aperte. Come una luna.
Tuttavia, anch’io
dovrei chiamarmi calante, artificiale
o vuoto come zero.
Come ombra o serpente.
Vene e veleno. Per voi: rosso e nero.

Questa è una festa di travestimenti.
Ognuno sceglie, fa quel che può
e magari ottiene ciò che vuole.
Perché no?, se abbiamo la stessa religione:
sopravvivere in questa lunga notte di carnevale,
in una Venezia dorata e oscura o lo stesso
verde o un certo azzurro a Rio de Janeiro
e altre feste turistiche, menzogne perfette.
Pagani, devoti, artisti: brilla quel che si vede.
In maschera tutti commerciamo liberamente
con ciò che abbiamo e con ciò che non abbiamo: parole.
Mai, niente, nessuno è ciò che dice di essere,
quello che sembra.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Eleonora Finkelstein
è nata a Mar del Plata, Argentina, nel 1960 ma dal 1991 vive a Santiago del Cile, dove dirige la casa editrice RIL e Ærea, Revista Hispanoamericana de Poesía.
Poeta, traduttrice e critica letteraria. Ha pubblicato i libri di poesia Hamlet y otros poemas (1997), Las naves (2000), Delitos menores (2004 e 2016).
Nel 2017 ha pubblicato le antologie Grandes inventos (Argentina) e Todo se trasforma (Messico).


alexbrando@libero.it