FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 41
gennaio/marzo 2016

Calma & Fretta

 

IL RACCONTO DELLE OMBRE
Giampaolo Pansa narra un inquietante secondo dopoguerra

di Marco Testi



Ciò che chiamiamo oggi, lo si sa, viene da ieri. Da quella che adesso chiamiamo storia e che più di sessant’anni fa era la drammatica realtà contingente. Quella della fine di un regime, della complicità nella persecuzione di un popolo, di una guerra di cui pochi in realtà avevano reale coscienza, almeno al di fuori delle parole d’ordine dei pensieri, di regime e di alternativa, dominanti. Gli scontri tra ex-fascisti e partigiani, tra partigiani filo-stalinisti e quelli anti, la resa dei conti tra i sopravvissuti del regime e i nuovi – a volte vecchi – vincitori segnò la fine della seconda guerra mondiale fino alle elezioni del ’48, con scie che andarono oltre. Una storia che Giampaolo Pansa continua a raccontare, stavolta con L’Italiaccia senza pace e che ancora una volta diventa guanto di sfida nei confronti di una storiografia in cui l’ideologia ha preso il posto dell’acribia storiografica e della distanza prospettica dalla quale narrare i fatti.

Pansa rimette in discussione tutto quello, o quasi, che è stato raccontato dai Cinquanta ai Settanta non solo dai libri, ma anche dalle cattedre e richiesto come materia d’esame, e cioè che la resistenza aveva avuto solo una dimensione gloriosa e priva di lati oscuri. Pansa da tempo sostiene, e non solo lui, che così non è stato, e qui lo fa seguendo il destino di un capofamiglia ebreo che dopo aver guidato onestamente una banca viene eliminato ad Auschwitz, vittima di complicità e di delazioni della zona d’ombra in cui covavano pseudo-motivazioni anti-semite, interessi assai pratici e indifferenza.
La sua famiglia non si rassegna e lotta con tutti i mezzi per arrivare alla verità. Attraverso questa ricerca si snodano le storie di rese dei conti, di uccisioni efferate, di lotte intestine all’interno delle stesse brigate partigiane, di trasformazioni e di illusioni costruite sulla parzialità delle fonti storiche.

Lo stalinismo italiano voleva che De Gasperi fosse un servo degli americani, e instaurò un clima di odio ad personam, tanto che molti politici democristiani, scrive Pansa, si assicurarono ospitalità all’estero in caso di vittoria del Fronte Popolare.
Ma non è solo un problema di recriminazioni e un invito a rivedere la prospettiva storiografica. Sul libro pesa una constatazione “di costume” e che potremmo chiamare antropologica, quando ad esempio si torna sulla questione ebraica in Italia:

nessuno si accorgeva di loro (degli ebrei, ndr) e si rendeva conto di quanto avevano sofferto. L’indifferenza che li aveva circondati nel 1944, al momento delle catture, continuava a perseguitarli. Venivano accolti da un cinismo che si traduceva in una domanda: vi pensavamo uccisi nelle camere a gas, come mai siete ancora vivi?

Non solo ideologia contro effettualità storica, quindi, ma attenzione alla componente psicologica e antropologica che rischia però di diventare tòpos e quindi retorica, il che rende difficile individuare le basi dalle quali tentare un vero rinnovamento. Da un condizionamento antropo-psichico dato per permanente? Si dimentica allora che una parte della popolazione si mobilitò per nascondere e dare ricetto alle famiglie che rischiavano di essere spedite nei campi di sterminio.

Un’aura negativa e un pessimismo di fondo fanno da leit-motiv in questo libro che ha, come detto, il merito di non permettere la cancellazione della memoria storica su uccisioni, sparizioni, vendette, maturate all’ombra di un processo di trasformazione che fu più traumatico e difficile di quello che viene illustrato da molti libri di storia.
Racconto di invenzione, quindi, e racconto di macro-storia, come avrebbe voluto Manzoni, che si cercano l’un l’altro e che però non sempre riescono a convivere, perché talvolta le parole della finzione appaiono pigre, ripetitive, quasi stanche, per contagio, in un racconto che si impiglia costantemente in vezzi, riti, condizionamenti nazionali e modi di rappresentare le cose che impedisce la nascita di una affabulazione distesa, in grado di dire le differenze, sia quelle ideologiche che psicologiche, e non in grado di precipitare in una omogeneità narrativa.


Giampaolo Pansa, L’Italiaccia senza pace, Rizzoli, 2015, pp. 340, 20 euro.




Giampaolo Pansa
è nato a Casale Monferrato nel 1935. Giornalista e scrittore ha pubblicato numerosi saggi e romanzi. Tra gli ultimi libri pubblicati si segnalano:
I vinti non dimenticano (2010), La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (2012), Sangue, sesso e soldi (2013), L’Italiaccia senza pace (2015) e Il rompiscatole (2016).


 

testi.marco@alice.it