Per leggere un racconto di lunghezza media, ossia all’incirca cinque pagine, sono necessari più di dieci minuti. Dieci minuti sono nulla se paragonati a una vita, troppi se si aspetta sotto la pioggia, un’eternità se si attende una telefonata da un pronto soccorso. Ogni cosa, poi, dura poco, il giusto o troppo in relazione all’utilità, e in nessun caso si potrebbe intendere come utile la lettura di un racconto. Se poi il racconto non è di un Antico Maestro, ma è un tentativo proposto da un aspirante scrittore, ma anche da uno affermato che però non diventerà mai un Antico Maestro (perché di Antichi Maestri ce ne sono stati a sufficienza, e persino molti di loro non sono che un’impostura), se insomma il racconto da leggere non è un racconto imprescindibile, non sussistono le circostanze per leggerlo.
In linea di massima, nella contemporaneità, la lunghezza di un testo ha smesso di essere una sua caratteristica funzionale ed è diventata una virtù (o una controindicazione) estetica. Dall’affermazione del minimalismo alla paratassi anglosassone del parlato, dall’uso limitato dei caratteri su qualsiasi piattaforma tecnologica di comunicazione all’inaridirsi degli orari lavorativi, oggi non c’è più tempo. E se è vero, come dice Mujica, che «quando compro qualcosa lo compro con il tempo che ho sprecato per guadagnare i soldi necessari a comprare quel qualcosa», allora non esiste più nemmeno la vita.
Tutto è monetizzato, tutto deve essere più breve, e non c’è tempo per leggere come si deve un romanzo di mille pagine, e se venti anni fa si preferiva il film al libro, adesso ai film sono preferibili le serie TV, perché in un’ora sono sia autoconclusive che parte di un insieme fidelizzante, e c’è sempre meno tempo per vedere genitori, nonni e amici, perché la globalizzazione, la digitalizzazione e i voli low-cost hanno ridotto a zero le distanze fisiche e ingigantito quelle affettive. In pochi secondi possiamo parlare con chiunque in qualsiasi angolo del mondo, e in poche ore possiamo incontrare chiunque in qualsiasi angolo del mondo, ma quest’esubero di opportunità è diventato prioritario rispetto al motivo soggiacente di sentire o incontrare qualcuno. Possiamo fare cose incredibili, non importa perché, ma dobbiamo farle.
È infinitamente più intenso, profondo e significativo rimanere immobili per giorni sotto un albero, o se non si vuole esagerare concedersi un’intera giornata per chiacchierare con un nonno, se si ha la fortuna di averlo ancora. È infinitamente più intenso, profondo e significativo rimanere dove si è e conoscere e approfondire una circoscritta porzione di realtà, esplorarla e amarla e conoscerla al meglio, e con essa una circoscritta porzione di persone, esplorarle e amarle e conoscerle al meglio.
Se non si ha tutto il tempo a disposizione, di un libro di mille pagine è meglio leggere poche righe, leggere poche righe ma leggerle molto intensamente. È senz'altro meglio, di un libro di mille pagine, leggere solamente tre pagine, ma leggerle in profondità, mille volte più in profondità di come le legge il lettore normale, che legge tutto, ma che nemmeno una pagina la legge in profondità. È meglio leggere dodici righe di un libro con la massima intensità e penetrarne, se ci si riesce, il senso profondo, piuttosto che leggere tutto il libro come il lettore normale, che alla fine conosce il libro che ha letto come uno che viaggia in aereo conosce il paesaggio che sorvola.
La vita, allo stato attuale, è diventata una fitta agenda di impegni raffinata nei decenni per andare a dormire esausti, senza pensare al senso di ciò che si è fatto. Certo, non fare nulla fa paura, ma questa paura va affrontata. E la meditazione serve a questo, a stare fermi, a non fare nulla, a non pensare a ciò che si è fatto (anche perché non si è fatto nulla), a non sentirsi in colpa perché non si è fatto nulla (anche perché si tratterebbe di un senso di colpa innaturale, instillato dal capitalismo attraverso il consumismo) e a non pensare a ciò che si potrebbe fare (che in nessun modo potrebbe essere preferibile al non far nulla).
Bisogna imparare a riappropriarsi del proprio tempo, e l’unico modo per farlo è de-monetizzarlo, rinnegare che «il tempo è denaro», comprendere che «il tempo è la vita», abbracciare il credo che «la vita non può essere monetizzata». Bisogna smettere di correre, di lavorare, di produrre e di avanzare tecnologicamente, ma bisogna anche smettere di pensare e di creare arte (poiché abbiamo esaurito i prefissi), e bisogna smettere di fare propaganda di sinistra o di destra, e manicheismo, e reductio ad absurdum, e di dire che chi non è partigiano è fascista e chi non lavora non fa l’amore.
Ma bisogna, più di ogni altra cosa, e con l’urgenza maggiore rispetto a qualsiasi altra cosa, smettere di scrivere racconti, e soprattutto di leggerne, perché l’interruzione categorica e globale della lettura di qualsivoglia racconto, che sia a opera di un Antico Maestro o di un aspirante scrittore, sarebbe l’unica via all’interruzione categorica e globale della scrittura di qualsivoglia racconto da parte di un aspirante Antico Maestro.
Bisogna meditare, ma senza uno scopo. La meditazione è impossibile se attuata con uno scopo. L’occidentalizzazione delle pratiche orientali è paradossale, e produce inutile antimateria, perché non si può meditare per alleviare i dolori di una lombalgia o per esorcizzare degli attacchi d’ansia. Non si può meditare con uno scopo. Si medita, e basta, impersonalmente. Per accedere alla possibilità di fare una cosa senza scopo bisogna prima de-politicizzare ogni cosa, perché la democrazia è paradossale quanto lo yoga in città, perché gli individui sono individualisti e perché collettività così allargate non sono naturali, e le collettività sono di sinistra mentre i singoli individui di destra, e la democrazia è una forzata coesistenza di miliardi di individui di per sé antidemocratici, perché nessun individuo è singolarmente democratico, ed è quindi necessario che ogni individuo torni a essere il proprio leviatano, e che domini e regoli se stesso, e che scelga per se stesso l’anarchia, e la caduta di qualsiasi necessità produttiva. Solo a quel punto l’individuo può almeno vagamente intuire un certo pensiero orientale imprescindibile alla meditazione.
Bisogna meditare senza che sia necessario farlo. Bisogna meditare e smettere di leggere racconti. Bisogna riappropriarsi del proprio tempo e trascorrere un’intera giornata a chiacchierare con il nonno, se si ha ancora la fortuna di averlo. In alternativa, va bene una qualsiasi signora anziana tra quelle che ogni giorno passano sul nostro marciapiede trascinando un trolley con la spesa fatta per una cena alla quale, all’ultimo minuto, l’ultimo dei nipoti ancora in città non potrà venire. Mi dispiace.
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