FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 41
gennaio/marzo 2016

Calma & Fretta

 

MIRAGGI TORNATI PAROLE

di Marco Ercolani



*

Urta,
urta per sempre.
Nell’insidia della soglia.
Contro la porta, sigillata.
Contro la frase, vuota.
Yves Bonnefoy


*

Di quale arcaico regno
queste sono le macerie?
Filtrano bagliori
di una fortezza sparita.
Nell’erba il sasso è le mani vive
che lo scelsero e scagliarono.
Tronco per tronco,
di nuovo, dentro la foresta,
veloci e calme,
le sillabe,
oltre gli uomini uccisi: miraggi
tornati parole.


*

Ancora si infrange sugli scogli,
ancora quella schiuma opaca.
Dovrà finire, il mare, e affiorare
il verde dove fummo felici,
un verde, quasi non lo ricordo,
unico, ventoso, nato
prima dell’acqua.


*

Questo è un rumore di pietre.
Ma perché l’aria è vuota?
Perché non vedo
chi le scaglia, chi ne è colpito?
Dentro le case, grida inudibili.
Si agitano inutili mani adulte.
Ci vorrebbe un abbraccio, un’ipnosi,
un essere nuovi.
Ma la ferita non si chiude, è
scuro racconto,
lacrima delle cose.


*

Parole come miraggi dall’erba,
note dove rinascono storie.
Narrarle è navigare: confina con l’acqua,
ogni foresta.
La matematica di rotte impossibili
è il codice numerico della cattedrale.
la sua incrollabile arcata.

Il mare, sotto nuvole minacciose,
abbaglia.
Nell’aria un peso di cose
sprofondate altrove.
Un pericolo lontano, una febbre
di lunghissime pietre.


*

Vagabondo delle stelle, disertore delle cose.
Ma oggi, il corpo eretto, i piedi pronti all’impeto del volo,
nudi i talloni tesi sul gradino,
la valigia slacciata dalle mani, le dita dalla ringhiera,
cerca un cosmo possibile, non nato
non nato
ancòra.


*

        a F. N.
La terra: scudo per fantasmi.
Il mare arriva alle mie visioni ora.
Nasce e torna, trema e
balbetta, sussulta e danza.
C’è, nell’abisso della parola,
uno spazio dove scendere e salire, vasto.
Chi scrive per capire il mondo
ne subirà il definitivo addio.


*

Vaga semivestito, dorme semifolle, non trova casa.
Teme di svegliarsi con capelli non suoi.
È un’anfora rotta nel mondo-mondo.
Dorme semivestito, vaga semifolle.
Teme
non sa quali onde.


*

Quel remoto mondo di tende e miraggi è la deserta, bianchissima Fez?
La domanda abissale «in quale ora siamo nel mondo?»
è di Woyzeck, voce rauca, sangue sulle maniche.
Risponde un accordo di sei note.
La settima sibila in un’acqua vitrea,
sotto i rossi cavalli a dondolo.


*

Carta per accendere il fuoco.
Perché non c’è più fiamma?
Carta bianca. Carta nera.
Tardi, troppo tardi, ho freddo.
Chi tace con me, nella mia lingua?

Bellezza non oltraggiata, alti canti di uccelli.
Corpi senza l’orrore dei giorni.
Nessuno tortura nessuno.
Il vento scorre nei capelli.

Sprigiona
il tuo, il mio nome,
un’aria libera dalle ombre.


*

Con dita che cercano di leggere il mondo
torniamo
con l’arte di ripetere e incantare,
trascinati nella notte senza cielo.
L’antica montagna prende luce
tra assurdi ricordi di pietre ostili.
Torniamo dall’acqua di secoli.
E salendo nel buio
sussurriamo tra sbarre e fessure
proviamo il magico rinascere delle sillabe
proviamo a inventare cielo.

L’ultimo pericolo
ci troverà vivi.


*

La superficie dell’acqua: acciaio senza vento.
Una lastra acuta, un sole.
Nessuno ripeta la parola bellezza.
Nel bianco muro del mare
pesci e uccelli guizzano vicini.
Nessuno ripeta bellezza
se ignora che catastrofe è armonia.


*

Per acqua, per corda, per aria.
Improvvisamente non ritornerò.
Vicinissima la luce
che annienterà il muro, il confine, me.
E l’aria,

oggi priva del mio corpo, oggi
infinita.


*

Torno a un vento alto,
la rotta è il miraggio, stretto forte
alle dita.
Torno alla foresta perfetta
dove la poesia è fuga di luce, potenza
del correre invano.
Torno all’eclisse della mente:
le piante che iniziano a fiorire,
il sole chiaro nel palmo proteso,
nell’acqua buia
i giunchi, scintillanti.
Manda bagliori,
la notte.
Soffieranno i venti
e nella luce del buio incontrerai
chi con te fu vivo e chi lo sarebbe stato.


*

Bendato, disegni sul foglio.
Scavi con plettro e matita, a colpi di sonda.
Laceri la carta, è cortocircuito.
Scuro, svelato, aspro,
il volto affiora, macchia la carta.
Ti fissa come fossi tu
il suo respiro, il suo specchio,
la momentanea
armonia nel mondo.
Tu, nella grazia del suo ritorno,
parla con lui.



La silloge è inedita.



mark.ercolani@libero.it