Calma vulcanica
J175-F165
I have never seen "Volcanoes" - But, when Travellers tell How those old - phlegmatic mountains Usually so still -Bear within - appalling Ordnance, Fire, and smoke, and gun - Taking Villages for breakfast, And appalling Men - If the stillness is Volcanic In the human face When upon a pain Titanic Features keep their place - If at length, the smouldering anguish Will not overcome, And the palpitating Vineyard In the dust, be thrown? If some loving Antiquary, On Resumption Morn, Will not cry with joy "Pompeii"! To the Hills return! |
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Non ho mai visto "Vulcani" - Ma, quando i Viaggiatori narrano Come quei vecchi - flemmatici monti Di solito così calmi -Portino dentro - spaventose Artiglierie, Fuoco, e fumo, e cannoni - Che prendono Villaggi a colazione, E terrorizzano gli Uomini - Se la calma è Vulcanica Nel volto dell'uomo Quando in Titanica pena I lineamenti restano inalterati - Se a lungo, l'angoscia covata Non uscirà in superficie, E il palpitante Vigneto Nella polvere, non sarà gettato? Se qualche amante dell'Antico, In un Rinnovato Mattino, Non griderà gioioso "Pompei"! Alle Colline ritorna! |
Il vulcano è metafora classica di qualcosa che cova sotto la cenere, pronta a erompere senza più limiti. I tre "if" che aprono le ultime tre strofe sono da intendersi implicitamente preceduti da "allora mi chiedo", in uno scioglimento della metafora che si conclude con una "Pompei" riscoperta sotto la lava dei millenni. L'ultima strofa sembra dirci che l'unica possibile "Pompei" dell'anima, ovvero l'agnizione finale, lo sciogliersi dell'angoscia dell'ignoto che ci accompagna durante la vita, sarà possibile soltanto nella resurrezione, quando finalmente saremo liberati dal buio in cui siamo immersi.
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J712-F479
Because I could not stop for Death - He kindly stopped for me - The Carriage held but just Ourselves - And Immortality.We slowly drove - He knew no haste And I had put away My labor and my leisure too, For His Civility - We passed the School, where Children strove At Recess - in the Ring - We passed the Fields of Gazing Grain - We passed the Setting Sun - Or rather - He passed Us - The Dews drew quivering and Chill - For only Gossamer, my Gown - My Tippet - only Tulle - We paused before a House that seemed A Swelling of the Ground - The Roof was scarcely visible - The Cornice - in the Ground - Since then - 'tis Centuries - and yet Feels shorter than the Day I first surmised the Horses' Heads Were toward Eternity - |
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Poiché non potevo fermarmi per la Morte - Lei gentilmente si fermò per me - La Carrozza non portava che Noi Due - E l'Immortalità -Procedemmo lentamente - non aveva fretta Ed io avevo messo via Il mio lavoro e il mio tempo libero anche, Per la Sua Cortesia - Oltrepassammo la Scuola, dove i Bambini si battevano Nell'Intervallo - in Cerchio - Oltrepassammo Campi di Grano che ci Fissava - Oltrepassammo il Sole Calante - O piuttosto - Lui oltrepassò Noi - La Rugiada si posò rabbrividente e Gelida - Perché solo di Garza, la mia Veste - La mia Stola - solo Tulle - Sostammo davanti a una Casa che sembrava Un Rigonfiamento del Terreno - Il Tetto era a malapena visibile - Il Cornicione - nel Terreno - Da allora - sono Secoli - eppure Li avverto più brevi del Giorno In cui da subito intuii che le Teste dei Cavalli Andavano verso l'Eternità - |
È una delle poesie più famose di ED, presente in quasi tutte le antologie italiane. Una descrizione della propria morte che può essere accostata alla J280-F340. Ma là ci sono sensazioni metafisiche, rumori che sembrano risuonare in un sogno e un finale di drammatica e annichilante perdita della consapevolezza. Qui invece siamo di fronte a una sorta di racconto molto concreto, a uno svolgersi dei fatti che dà una sensazione di familiarità, con appena un accenno a nostalgici ricordi (i bambini a scuola, il grano nei campi) e a un senso di gelo concretizzato nella rugiada che scende sul corpo vestito di garza e tulle. La morte è gentile, ma comunque decisa a rispettare i suoi appuntamenti. Non scegliamo noi di fermarci, di interrompere la nostra vita, ma è lei che arriva, si ferma alla nostra porta e non ha bisogno di imporsi con la forza, perché sa di essere inevitabile. E l'ultimo viaggio si fa in solitudine, noi, la morte, e quel mistero insondabile che è l'eternità. Il percorso è lento: la morte, messaggera dell'eternità, non ha certo fretta. Il senso di lentezza è ulteriormente accentuato nella terza e quarta strofa: i bambini nell'intervallo, i campi di grano, il tramonto, la rugiada notturna, danno la sensazione di un percorso che si snoda nell'arco di un'intera giornata, quasi un rivivere la propria vita nel momento in cui finisce. Nella penultima strofa eccoci arrivati. La casa che abiteremo sembra un rigonfiamento del terreno, da dove sporge solo il cornicione del tetto. I secoli che passeranno saranno ormai senza tempo, brevissimi in confronto a quel lungo giorno in cui capimmo subito che quel viaggio apparentemente familiare era quello che ci portava verso l'eternità. Un interessante commento della poesia è nel libro di Cynthia Griffin Wolff (Emily Dickinson, Perseus Books, Reading MA, 1988, pagg. 274-276) che, fra le altre cose, fa notare i tre "we passed" della terza strofa, che accentuano il carattere di lento ma dinamico movimento dell'inizio, seguiti nel primo verso della strofa seguente da "He passed Us", un capovolgimento che blocca l'azione e ci porta verso il "We paused" della penultima strofa.
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J778-F879
This that would greet - an hour ago - Is quaintest Distance - now - Had it a Guest from Paradise - Nor glow, would it, nor bow -Had it a notice from the Noon Nor beam, would it, nor Warm - Match me the Silver Reticence - Match me the Solid Calm - |
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Colui che avrebbe accolto - un'ora fa - È alla più estranea delle Distanze - ora - Avesse un Ospite dal Paradiso - Non si ecciterebbe, né s'inchinerebbe -Avesse un annuncio dal Mezzogiorno Non sarebbe radioso, né si Scalderebbe - Trovami un'eguale Argentea Reticenza - Trovami un'eguale Solida Calma - |
La morte ci coglie improvvisamente, e ci porta alla più estranea delle distanze dal mondo in cui avevamo vissuto fino a un'ora prima. Da quel momento qualsiasi cosa, qualsiasi avvenimento, anche il più straordinario, non ha più alcun effetto. Nel mondo in cui siamo abituati non c'è niente che possa somigliare a questa argentea reticenza, a questa solida calma.
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J795-F847
Her final Summer was it - And yet We guessed it not - If tenderer industriousness Pervaded Her, We thoughtA further force of life Developed from within - When Death lit all the shortness up It made the hurry plain - We wondered at our blindness When nothing was to see But Her Carrara Guide post - At Our Stupidity - When duller than our dullness The Busy Darling lay - So busy was she - finishing - So leisurely - were We - |
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Era la Sua ultima Estate - Eppure non l'indovinammo - Se più tenera industriosità La pervadeva, pensammoA una nuova forza vitale Sviluppata dall'interno - Quando la Morte ne illuminò la brevità Rese chiara la fretta - Ci stupimmo della nostra cecità Quando nulla ci fu da vedere Tranne la Sua Freccia di Carrara - Verso la Nostra Stupidità - Quando più inerte della nostra inerzia La Diletta Indaffarata giacque - Così indaffarata era lei - da ultimo - Quanto indolenti - eravamo Noi - |
La morte di solito non annuncia il suo arrivo. Magari notiamo dei cambiamenti, come un'ansia di vivere improvvisa che non riusciamo a spiegarci, se non quando la morte ce ne indica la ragione. Soltanto dopo, quando il cippo marmoreo appare come puntato sulla nostra stupidità, ci stupiamo di quanto siamo stati ciechi di fronte a quei segnali che appaiono ora così chiari. Ripercorriamo i suoi ultimi istanti di vita, che ci sembrano, pur nella loro inerte fiacchezza, comunque più attivi della nostra cieca indolenza. Un altro esempio di un tema "banale" (nella vita quasi sempre ci rammarichiamo troppo tardi di quello che avremmo potuto essere o fare e non siamo stati o non abbiamo fatto) trattato con l'usuale fantasia dickinsoniana: nella seconda strofa i due versi finali, con la morte che illumina improvvisamente la nostra consapevolezza e ci fa capire quello che prima era oscuro; nella terza l'immagine del cippo funerario che diventa una freccia stradale ("Guidepost" è definito "Un segnale al bivio di una strada, che indica la via al viaggiatore") puntata verso la nostra stupidità.
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J928-F960
The Heart has narrow Banks It measures like the Sea In mighty - unremitting Bass And Blue monotonyTill Hurricane bisect And as itself discerns It's insufficient Area The Heart convulsive learns That Calm is but a Wall Of Unattempted Gauze An instant's Push demolishes A Questioning - dissolves. |
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Il Cuore ha stretti Argini Che misura come il Mare In possente - ininterrotto Mormorio E in Azzurra monotoniaFinché l'Uragano lo infrange E come da sé discerne Il suo Spazio insufficiente Il Cuore convulso impara Che la Calma è solo un Muro D'Inaffidabile Garza La Spinta di un istante lo demolisce Un Dubbio - lo dissolve. |
Il cuore, ovvero l'amore, la facoltà di amare, è come chiuso in argini molto stretti, ma, come il mare, pensa in grande, non ha la sensazione di questo spazio angusto che lo racchiude. Ma prima o poi viene spezzato da un uragano che lo investe e gli fa percepire che quello che aveva considerato uno spazio senza limiti (ovvero un amore infinito) è in realtà ben poca cosa, un sottile muro di impalpabile garza che non riesce certo a proteggerlo. E si accorge così, nei convulsi attimi della consapevolezza, di come, a differenza del mare, non ci sia bisogno di un uragano per demolire e dissolvere ciò che lui credeva incrollabile: per sconvolgere quella calma superficie di illusoria serenità basta la lieve spinta di un istante, o un improvviso dubbio che mette in discussione quella che sembrava una certezza. Bella la contrapposizione di immagini contrastanti. L'argine ristretto in cui si muove il cuore paragonato all'immensità del mare, perché misura il proprio spazio con la stessa possente e monotona tranquillità (qui la "monotonia" va intesa in relazione alla "calma" del nono verso). Poi l'uragano, concreto nel caso del mare e vissuto come tale per un cuore un tumulto, che rivela d'improvviso come sia illusoria quella tranquillità, diventata un inaffidabile muro di garza in balia del più lieve soffio di vento.
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J1509-F1539
Mine Enemy is growing old - I have at last Revenge - The Palate of the Hate departs - If any would avengeLet him be quick - The Viand flits - It is a faded Meat - Anger as soon as fed - is dead - 'Tis Starving makes it fat - |
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Il mio Nemico sta invecchiando - Ho alla fine Vendetta - Il Gusto dell'Odio se ne va - Se ci si vuol vendicareSi faccia in fretta - La Pietanza sfugge - È un Alimento deperibile - La Rabbia non appena sazia - è morta - È il Digiuno che la fa ingrassare - |
Versi in bilico fra due affermazioni in contrasto fra loro: "la vendetta è un piatto da consumare caldo" e "la rabbia si nutre dell'attesa, perciò la vera vendetta è quella che sa aspettare" Potrebbero essere due poesie distinte; la prima con i versi 3-4-5-6-7, la seconda con i versi 1-2 e 8-9. Visto che ED le ha incastrate una dentro l'altra possiamo presumere che abbia voluto dare una doppia lettura, come se esistessero due modi, distinti ma in fin dei conti simili, per soddisfare la voglia di vendetta. Possiamo però leggerla anche in un altro modo: il mio nemico sta invecchiando, è ormai debole e non ha più la forza per contrastare la mia vendetta, perciò bisogna cogliere al volo il momento propizio e spegnere la rabbia, ingrassata nel tempo del digiuno, con la vendetta ora a portata di mano.
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Le poesie di Emily Dickinson non hanno un titolo, a parte rarissime eccezioni. I numeri che le precedono si riferiscono alla numerazione attribuita nelle due edizioni critiche, curate rispettivamente da Thomas H. Johnson nel 1955 ("J") e da R. W. Franklin nel 1998 ("F").
ierolli@hotmail.com
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