Silenzi, discorsi interrotti, parole polisemantiche ma al contempo impotenti: questa è la poesia dei simbolisti russi. Attirati dalla realtà ultraterrena, i cantori del trascendente cercano di catturare nei propri versi l’Assoluto. Ma l’Assoluto è inconoscibile e, come tale, inesprimibile. Di qui, la necessità di ricorrere a una “poesia degli accenni” e misteriose corréspondances. Ecco, in breve, l’anima della scrittura di Innokentij Annenskij, Konstantin Bal’mont, Fëdor Sologub, Zinaida Gippius, Dmitrij Merežkovskij, Aleksandr Blok e Valerij Brjusov.
Il “silenzio” accidentale (tišina) o la “taciturnità” intenzionale (molčanie), nell’opposizione semantica che li vede contrapposti rispettivamente al “suono / rumore” (zvuk / šum) e alla “parola / discorso” (slovo / reč’), svolgono un’importante funzione tematica nella concezione artistica del simbolismo russo.
Leggendo i versi qui presentati, ritroverete due tipi di silenzio: il silenzio della natura e il silenzio dell’uomo. Lo scenario romantico di un quieto paesaggio al tramonto può diventare il simbolo della contemplazione di un’altra realtà, inafferrabile alla luce del sole (Brjusov), oppure può riportare indietro nel tempo, in una realtà soggettiva inconscia e sommersa (Annenskij). Ma il silenzio è anche la mutezza dell’individuo, le cui parole non sono in grado di raffigurare l’Assoluto (Merežkovskij), e si traducono pertanto in “parole vuote” (Blok), in un balbettìo confuso o in un vuoto grafemico-lessicale.
Oscurità, vuoto, mutezza: un altro topos collegato al silenzio simbolista è l’assenza. Al centro di queste poesie si colloca una non-presenza, un qualcosa d’invisibile e impercettibile, una trascendenza impalpabile ma della quale l’artista-demiurgo fiuta l’arcano richiamo. Brjusov scriveva: “Laddove non v’è mistero nel sentimento, non c’è arte. Colui per il quale tutto al mondo è semplice, chiaro, comprensibile, quello non può essere un artista”.
Ne risulta un’immagine bipolare del silenzio, ora interpretato in chiave positiva, come segno del divino (Gippius, Merežkovskij) o fonte dell’ispirazione artistica (Brjusov), ora invece assimilato alla morte. La morte, a sua volta, è concepita dualisticamente, come una minaccia (Bal’mont) o come l’eterna consolazione e la salvezza dal grigiore e dalle sofferenze della vita (Sologub).
Da un punto di vista semiotico, il silenzio sottintende una forma di implicitezza, caratteristica propria di strutture testuali aperte, rematiche, quali si confermano le poesie scelte. La parola di Annenskij e Brjusov, Gippius e Bal’mont, ma anche di Merežkovskij, Blok e Sologub, ha perso il valore referenziale della parola realista e si è caricata del peso delle contraddizioni moderne. Attraverso il silenzio, tra fine Ottocento e inizio Novecento, i simbolisti russi manifestano la dolorosa scissione dell’uomo nuovo, diviso tra il mondo terreno e il mondo celeste (dvoemirie), continuamente alla ricerca di una sintesi impossibile.
DMITRIJ MEREŽKOVSKIJ
ТИШИНА
Бури лишь в юности сердце пленяют,
Но пролетают:
Сила ничтожна их дикая,
И после них остается одна
Правда великая,
Ненарушимая —
В сердце — покой, в небесах — тишина,
Ибо лазурь
Вечно — безмолвная,
Недостижимая,
Так же, как истина, полная,
Выше всех бурь.
Бог — не в словах, не в молитвах,
Не в смертоносном огне,
Не в разрушенье и битвах,
Бог — в тишине.
Небо и сердце полны тишиной:
Глубже, чем все мимолетные звуки,
Глубже, чем радость и муки,
В сердце безбурном,
В небе лазурном —
Вечный покой.
SILENZIO
Le bufere sol in gioventù esercitan sul cor malìa
ma volan via:
nulla può la lor bruta potestà,
e quando passan rimane solo
una grande verità,
indistruttibile —
quiete nel cor, silenzio nel cielo,
giacché la volta celeste
è eternamente muta,
irraggiungibile,
come la verità, compiuta,
più alta delle bufere funeste.
Dio non è nelle parole od orazioni,
né nel fuoco letale,
né in battaglie o distruzioni,
Dio è nel silenzio totale.
Nel ciel e nel cor tutto tace:
più profondo dei suoni transitori
più profondo di gioie e dolori,
nel cor senza bufere,
nelle celesti sfere —
l’eterna pace.
(1892)
* * *
VALERIJ BRJUSOV
*
Хорошо одному у окна!
Небо кажется вновь голубым.
И для взоров обычна луна,
И сплетает опять тишина
Вдохновенье с раздумьем святым.
И гирлянду пылающих роз
Я доброшу до тайны миров,
И по ней погружусь я в хаос
Неизведанных творческих грез,
Несказанных таинственных слов.
Эта воля — свободна опять,
Эта мысль — как комета — вольна!
Все могу уловить, все могу я понять...
И не надо тебя целовать,
О мой друг, у ночного окна!
*
Quant’è bello star da soli alla finestra!
Il ciel di nuovo azzurro par.
E consueta all’occhio la luna si mostra,
e intreccia il silenzio la nostra
ispirazione con il santo meditar.
E una ghirlanda di rose infocate
io getterò fin dentro ai mondi, al limite
e con essa m’immergerò nelle cascate
delle fantasie artistiche mai create,
delle parole misteriose mai proferite.
Questo voler è di nuovo libero,
questo pensier è una cometa eterna!
Tutto poss’io coglier, capire per intero…
e non occorre baciarti, davvero,
amico mio, alla finestra notturna!
(1895)
* * *
ALEKSANDR BLOK
С. И. ЛЕВИЦКОЙ
Когда-нибудь, не скоро, Вас я встречу...
Быть может, жизнь откроет звездный путь…
Простите мне... Под звуки Вашей речи
Я мог душой и сердцем отдохнуть...
Молчанье — всё... К чему слова пустые?
Спрошу одно: зачем Вам жизнь дана?
Чтоб вечно мчались песни неземные,
Чтоб в каждом сердце гасла тишина...
A S. I. LEVICKAJA
Un giorno, non presto, io V’incontrerò…
Forse la vita m’aprirà la via stellata…
Scusatemi… La melodia del Vostro dir però
nell’anima e nel cor m’è entrata…
Tacere è tutto… a che servon le parole vuote?
Vi chiedo sol: a qual fin viver V’è concesso?
Perché eternamente volin canzoni remote,
perché in ogni cor sia il silenzio soppresso…
(1898)
* * *
ZINAIDA GIPPIUS
СТУК
Полночная тень. Тишина.
Стук сердца и стук часов.
Как ночь непонятно черна!
Как тяжек ее покров!
Но знаю: бессильных сердец
Еще неподвижней мрак.
Тебе я молюсь, о Отец!
Подай мне голос, иль знак!
Сильней, чем себя и людей,
Я душу свою люблю.
И надвое волей моей
Я душу переломлю.
И стала живой тишина.
В ней, темной, слышу ответ:
Пусть ночь бесконечно длинна, —
Из тьмы да родится свет!
BATTITO
Silenzio. Ombra di mezzanotte.
Batton il cor e l’orologio qui accanto.
Com’è incomprensibilmente nera la notte!
Com’è greve il suo manto!
Ma io so che del cor impotente
è ancor più immota l’oscurità.
Ti prego, o Padre possente!
Dammi una voce o un segno di novità!
Di me stessa e della gente assai più
io amo l’anima mia
e del mio voler quaggiù
spezzerò l’anima in agonia.
E il silenzio s’è fatto vivo.
Esso, oscuro, una risposta porge:
duri pur la notte finch’io scrivo —
dalla tenebra la luce sorge!
(1900)
* * *
KONSTANTIN BAL’MONT
ИСКАТЕЛИ
[...]
Молчало время. Ночь не проходила.
На всем была недвижности печать.
И вот рука подъятая застыла,
Уставши в дверь безмолвную стучать.
Бесчувственное, каменное зданье
Бросало тень с огромной вышины.
Незримые, но верные страданья
Носились в царстве мертвой тишины.
[...]
I CERCATORI
[...]
Taceva il tempo. La notte non finiva.
Su ogni cosa era l’inerzia caduta.
E la man alzata s’intorpidiva,
stanca di bussare alla porta muta.
L’edificio di pietra indifferente
gettava ombra da un’enorme altezza.
Un dolore invisibile ma presente
volava nel regno della morta tacitezza.
[...]
(1903)
* * *
FËDOR SOLOGUB
ТИШИНА
Земным не прельщайся,
Земные надежды губи,
От жизни отвращайся,
И смерть возлюби.
Не обманет она,
В ней утешение, —
Тишина,
Забвение.
SILENZIO
Non t’incanti ciò ch’è terreno,
uccidi la terrena brama,
alla vita sii alieno,
e la morte tu ama.
Lei non è assenzio,
in lei cessa il disìo —
è silenzio,
oblio.
(1904)
* * *
INNOKENTIJ ANNENSKIJ
ПЕРЕД ЗАКАТОМ
Гаснет небо голубое,
На губах застыло слово:
Каждым нервом жду отбоя
Тихой музыки былого.
Но помедли, день, врачуя
Это сердце от разлада!
Всё глазами взять хочу я
Из темнеющего сада…
Щётку желтую газона,
На гряде цветок забытый,
Разорённого балкона
Остов, зеленью увитый,
Топора обиды злые,
Всё, чего уже не стало…
Чтобы сердце, сны былые
Узнавая, трепетало…
DINNANZI AL TRAMONTO
Si spegne l’azzurro firmamento,
sulle labbra la parola s’è gelata:
ogni nervo attende l’estrem accento
della chéta musica passata.
Ma indugia, o giorno, risana
questo cor dal dissapore!
Cogli occhi vogl’afferrar la piana
del giardino mutar colore…
la gialla spazzatrice prato,
nell’aiuola un fiorellin solitario,
del balcone devastato
e ucciso dal verde, il sudario,
dell’accétta i maligni torti,
tutto quel che non c’è più…
affinché il cor, i sogni morti
riconoscendo, balzi su…
(1904)
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Traduzione dal russo di Linda Torresin
Le edizioni di riferimento per la traduzione sono le seguenti:
- I. F. Annenskij, Izbrannye proizvedenija, Chudožestvennaja literatura, Leningrad, 1988.
- K. D. Bal’mont, Budem kak Solnce. Kniga simvolov, Knigoizdatel’stvo Skorpion, Moskva, 1903.
- A. A. Blok, Sobranie sočinenij v 8 tomach, Moskva; Leningrad, 1960-1963, t. 1: Stichotvorenija 1898-1904.
- V. Ja. Brjusov, Izbrannoe, Pravda, Moskva, 1982.
- Z. N. Gippius, Sobranie stichov. 1889-1903, Knigoizdatel’stvo Skorpion, Moskva, 1903.
- D. S. Merežkovskij, Stichotvorenija i poemy, Akademičeskij proekt, SPb., 2000.
- F. K. Sologub, Kostër dorožnyj, Tvorčestvo, Moskva; Petrograd, 1922.
Innokentij Annenskij (1855-1909) Figlio di un importante funzionario statale, Innokentij Annenskij nasce a Omsk nel 1855. Dopo aver terminato gli studi classici a Pietroburgo, si trasferisce a Kiev, dove tra il 1890 e il 1893 insegna lingue antiche e russo. Nel 1896 diventa direttore di un liceo a Carskoe Selo. Il suo primo volume di versi, Canti cheti [Tichie pesni] risale al 1904; altre due raccolte usciranno postume. Annenskij si cimenta anche felicemente nella drammaturgia, nella traduzione e nella critica letteraria. Muore a Pietroburgo nel 1909, all’età di 53 anni, per una crisi cardiaca. Come poeta della “prima ondata” simbolista, con le sue modulazioni decadenti, la raffinata musicalità e la profondità psicologica della sua lirica, Annenskij esercita un grande influsso sulla generazione successiva.
Konstantin Bal’mont (1867-1942) Autore di ben 35 raccolte poetiche, altrettante traduzioni, trattati, saggi, memorie, Konstantin Bal’mont è uno dei più rappresentativi esponenti del simbolismo russo. Nasce nel 1867 in una nobile famiglia nei pressi di Vladimir. Nel 1886 si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università di Mosca, ma ne è espulso dopo appena un anno per le sue simpatie rivoluzionarie. Comincia la sua attività artistica intorno al 1890, componendo Raccolta di versi [Sbornik stichovorenij]. Nell’arco di cinque anni raggiunge una grande notorietà con la pubblicazione di varie sillogi poetiche, tra le quali vanno ricordate: Sotto il cielo nordico [Pod severnym nebom] (1894) e Nell’immensità [V bezbrežnosti] (1895). Il vero successo giunge a Bal’mont però con la raccolta del 1903 Saremo come il Sole [Budem kak Solnce], che si segnala per l’esuberante ricchezza musicale e il ricercato virtuosismo formale. Nel 1906 il poeta si trasferisce in Francia; tornerà in Russia solamente sette anni dopo. Affetto da gravi turbe psichiche, Bal’mont muore nel 1942 vicino a Parigi.
Aleksandr Blok (1880-1921) Il più apprezzato tra i poeti del simbolismo russo, Aleksandr Blok, nasce nel 1880 a Pietroburgo, in una famiglia di intellettuali (suo padre è professore di diritto all’Università di Varsavia, la madre fa la scrittrice). Dopo il divorzio dei genitori, trascorre l’infanzia con la madre, da cui eredita una forte sensibilità artistica. Nel 1903 si sposa con Ljubov’ Mendeleeva, figlia del chimico Dmitrij Mendeleev. Tre anni dopo termina la Facoltà storico-filologica presso l’Università di Pietroburgo. Nella sua prima produzione poetica si avverte l’influsso della lirica romantica e della filosofia di Vladimir Solov’ëv. I Versi della Bellissima Dama [Stichi o Prekrasnoj Dame] (1904), densi di allusioni mistiche, si rifanno al culto di Sofia, ipostasi solov’ëviana dell’“eterno femminino”. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, sedata nel sangue, Blok attraversa una profonda crisi esistenziale e creativa, che introduce nella sua scrittura toni pessimistici e drammatiche lacerazioni. La rivoluzione del 1917 gli ispira il celebre poema I dodici [Dvenadcat’] (1918). Muore a Pietrogrado nel 1921, appena quarantenne.
Valerij Brjusov (1873-1924) Nato a Mosca nel 1873, Valerij Brjusov è tra i principali fondatori della corrente simbolista in Russia. Appartenente ad una famiglia di commercianti moscoviti, il futuro poeta riceve un’educazione improntata al materialismo e all’ateismo dell’epoca. Brjusov inizia la sua carriera letteraria nel 1894, mentre studia ancora all’università, dapprima con la traduzione di alcune opere dei simbolisti francesi, e poi con la pubblicazione di liriche proprie e di altri poeti russi, raccolte in tre volumi intitolati Simbolisti russi [Russkie simvolisty]: è la prima manifestazione letteraria del decadentismo-simbolismo in Russia. Poeta eclettico e originale, nelle sue raccolte (Chefs d'ceuvre, 1895; Tertia vigilia, 1900; Urbi et orbi, 1903; Stephanos, 1906; Tutte le melodie [Vse napevy], 1909) Brjusov sperimenta temi e indirizzi diversi, dal classicismo accademico al misticismo apocalittico, dagli interessi sociali al superomismo nietzscheano. Oltre ai versi e alle traduzioni, Brjusov scrive romanzi come L’Angelo di Fuoco [Ognennyj angel] (1907-1908) – soggetto dell’omonima opera musicale di Sergej Prokof’ev –, racconti, saggi letterari. Muore a Mosca nel 1924 a causa di una fibrosi polmonare.
Zinaida Gippius (1869-1945) Nata nel 1869 a Belëv, una piccola cittadina nei pressi di Tula, da una nobile famiglia di origini tedesche, Zinaida Gippius è fin da piccola affetta da tubercolosi ed è costretta a spostarsi in diverse località con la madre e la sorella, alla ricerca di un clima più mite. Ciò le impedisce di seguire studi regolari, ma le consente di leggere, viaggiare e accumulare nuove esperienze. Nel 1888, mentre si trova a Tbilisi, conosce il giovane poeta Dmitrij Merežkovskij, che l’anno seguente diventerà suo marito. Trasferitasi con Merežkovskij a Pietroburgo, la Gippius intraprende un’intensissima attività letteraria. Presto la sua casa diventa il più importante salotto letterario russo degli inizi del XX secolo, dove gli intellettuali discutono questioni a carattere politico, filosofico e religioso. Da questo clima nascerà la rivista “La nuova via” [Novyj put’] che, pubblicata tra il 1902 e il 1904, costituirà l’organo ufficiale del neonato movimento simbolista. Dopo la rivoluzione del 1917 la Gippius emigra con il marito in Francia, dove muore nel 1945, all’età di 76 anni. Rientrano fra le sue opere narrative più note Uomini nuovi [Novye ljudi] (1896), Il fantoccio del diavolo [Čërtova kukla] (1911), Lo zarevic Roman [Roman-carevič] (1911), seguiti poi dal volume di elzeviri letterari, Volti vivi [Živye lica] (1925). La sua poesia, compendiata nella Raccolta di versi (1889-1903) [Sobranie stichov (1889-1903)] (1904) e nella Raccolta di versi, libro II (1903-1909) [Sobranie stichov, kniga vtoraja (1903-1909)] (1910) appare costantemente sospesa tra la quotidianità e il respiro del trascendente, il motivo amoroso e il tema della morte.
Dmitrij Merežkovskij (1865-1941) Narratore, poeta e filosofo russo nato a Pietroburgo nel 1865, Dmitrij Merežkovskij studia storia e filosofia all'Università di Mosca. Tornato poi nella città nativa, dà vita insieme a Zinaida Gippius e Dmitrij Filosofov a un'associazione religioso-filosofica che ha il proprio organo nella rivista “La nuova via” [Novyj put’]. Con il saggio Sulle cause del decadimento e sulle nuove correnti della letteratura russa contemporanea [O pričinach upadka i o novych tečenijach sovremennoj russkoj literatury] (1893), Merežkovskij fornisce di fatto alla scuola simbolista russa il suo primo manifesto. Tutta impostata su fondamenti mistico-esoterici, l’opera di Merežkovskij si pone l’obiettivo di guidare il cammino dell’umanità verso il “regno dello spirito”, sintesi di naturalismo pagano e fede cristiana. Su quest’idea si regge, ad esempio, la trilogia Cristo e Anticristo [Christos i Antichrist] (1895-1907). Ostile alla Chiesa ortodossa e allo zarismo, in seguito alla fallita rivoluzione del 1905 Merežkovskij lascia la Russia ed emigra a Parigi. Dopo un breve rientro in patria nel 1912, abbandona definitivamente il paese. Lo scrittore morirà in Francia, a Parigi, nel 1941.
Fëdor Sologub (1863-1927) Romanziere, poeta, drammaturgo, teorico del simbolismo russo: è difficile trovare una definizione univoca per Fëdor Sologub, il cui vero cognome era Teternikov. Sologub nasce nel 1863 a Pietroburgo da una famiglia di umili origini (il padre – ex servo della gleba – fa il sarto, la madre è contadina). All’età di quattro anni perde il padre e la madre è costretta a lavorare come domestica in un’abitazione signorile. Dopo aver terminato l’Istituto Magistrale di Pietroburgo (1882), per ben 25 anni insegna matematica in varie città di provincia. Risalgono al 1884 i suoi primi versi editi. Nel 1895, nella rivista “Il Messaggero del Nord” [Severnyj Vestnik], compare il romanzo Sogni grevi [Tjažëlye sny], primo autentico romanzo del simbolismo russo. In questi anni escono i suoi volumi di poesie e racconti, caratterizzati dalla trattazione delle grandi questioni dell’esistenza in un linguaggio allusivo ed emblematico, classicamente conciso e a tratti visionario. Appartiene ai simbolisti della “vecchia generazione” (assieme a Zinaida Gippius, Nikolaj Minskij, Innokentij Annenskij, Konstantin Bal’mont, Valerij Brjusov), anche se nella sua produzione si può riscontrare un’originale sintesi delle tendenze simboliste con le suggestioni realiste e la percezione decadente. L’apice della sua prosa è rappresentato dal celebre romanzo Il demone meschino [Melkij bes] (1907). Quest’opera segna il destino di Sologub, che può finalmente dare le dimissioni e dedicarsi appieno all’attività letteraria. Nel 1907-1913 pubblica la trilogia La leggenda che si crea [Tvorimaja legenda]. Sologub è attivo anche come traduttore e drammaturgo. Muore a Leningrado nel 1927.
linda.torresin@gmail.com
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