Enrico Bonadei è un giovane scrittore che abita in Francia e che ha già al suo attivo esperienze narrative. La sua più recente, Il tempo non esiste (Giuliano Ladolfi Editore, 2015), fin dal titolo intriga non poco. Se uno però si aspettasse illustrazioni narrative della nota tesi che si è fatta largo nel mondo della scienza novecentesca e dopo, ma che già Sant’Agostino aveva ben chiara nel quinto secolo, andrebbe incontro a cocenti delusioni.
Il tempo non esiste è una intrusione dentro i pensieri di personaggi che hanno molto in comune, senza saperlo assistono alle medesime scene, incontrano le stesse persone, vivono nel medesimo fallace – per molti – spazio-tempo. La solitudine del rifiuto sociale è vissuta in corpore vili non solo nella dolente confessione di impotenza ma anche nella prospettiva, mai dichiarata apertamente dell’altro che mostra l’infinita lacerazione o, se si vuole, la ricchezza nascosta nel molteplice, a saperla guardare. La difficoltà a essere davvero dentro il labirinto così poco mitico delle periferie d’oggi è vissuta dentro, mai spiegata, mai illustrata, ma semplicemente affermata con la forza originaria di una scrittura viva, sofferente, però talvolta capace di cogliere angolature singolarmente vive e leggere con noncurante velocità: “Mentre tiravo giù la saracinesca, lei mi aspettava come se tutto fosse già deciso. Accennava a passi di danza e prudenti piroette sul marciapiede ghiacciato. Aveva rollato due sigarette e una era per me. (…) quando le proposi di salire da me, batté le mani soddisfatta e corse su per le scale ballando”.
Talvolta è una scrittura appoggiata con rassegnazione ma anche con curiosità alle imboscate del minotauro fuggito dal mito, incapace di essere davvero mostro, ma neanche in grado di recuperare una innocenza che non appartiene più a nessuno. Sia se crei spazi deputati alla leggerezza dell’incontro senza retoriche inutili, sia se instauri il tentativo di penetrare nella solitudine estrema, nel dolore e nell’abbandono, la scrittura di Bonadei è una di quelle che una volta, ai tempi della moda semiotica si sarebbe detta in grado di creare universi di senso. Parlando dell’anziana che compie il suo viaggio verso la fine nella consolazione di una smemoratezza che diviene sogno e riappropriazione dell’eden perduto, cogliendo l’attimo di un contatto che non cerca altro che se stesso, la cattura del momento favorevole a cancellare il tempo della solitudine, l’autore riesce sempre nella non facile impresa della vita.
I suoi personaggi hanno vita in sé, non mostrano le giunture delle marionette e non sono costretti ad appoggiarsi sull’explicatio autoriale per diventare credibili, acquistare più senso. Questi il senso ce l’hanno per conto proprio, gli basta essere disegnati sulla pagina o sullo schermo per andarsene in giro tranquillamente con sfacciata naturalezza, con tutti i tic della nostra spazio-temporalità, senza il minimo intervento del loro creatore, cosa che sarebbe molto piaciuta a Flaubert, in realtà solo uno dei tanti a predicare l’impersonalità autoriale in letteratura.
Enrico Bonadei, Il tempo non esiste, Giuliano Ladolfi Editore, 2015, 108 pagine, 12 euro.
Enrico Bonadei è nato a Bergamo nel 1981. Ha conseguito un dottorato in letteratura francese, ma da diversi anni si applica a dimenticarlo, con discreti risultati.
Ha pubblicato racconti e traduzioni sulle riviste Argo e Prospektiva, articoli e recensioni su Studi Francesi, ACME e Ponts, una raccolta di racconti (L’alba non corre, 2012, Giuliano Ladolfi Editore) e nel 2015 il romanzo Il tempo non esiste (Giuliano Ladolfi Editore).
Vive, scrive e lavora nella periferia parigina.
testi.marco@alice.it
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