impe Fili d'aquilone - num. 35, La poesia di Narlan Matos

FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 35
luglio/settembre 2014

Soste & Percorsi

 

MANCA QUALCOSA NELLA STANZA
La poesia di Narlan Matos

di Giorgio Mobili



A nemmeno quarant’anni, Narlan Matos è già un poeta molto popolare, amato e pluriomaggiato, non solo nel suo Brasile natio, ma pure in ambito internazionale – fenomeno strano, direi quasi esoterico, in una temperie involgarita e in via di radicale depoetizzazione quale è la nostra. Come è possibile? Una considerazione obbligata e a dir poco entusiasmante – abbiamo appreso, in questo gioco al ribasso, ad appagarci di pochissimo – è che, in tutta evidenza, esiste ancora un pubblico ricettivo alla poesia, benché (per ragioni che sarebbe affascinante, in altro loco, sviscerare) più all’estero che in Italia, e in particolare in America Latina, dove la lettura poetica è ancora un evento a cui gli aficionados sono disposti ad assistere a prezzo di scomodità logistiche impensabili da noi.

Ma la domanda, in questa sede, va posta soprattutto in relazione alla poesia di Narlan: quali sono gli elementi che rendono la sua scrittura così immediatamente consonante con gli animi di tanti lettori, trasversalmente ai confini nazionali? Alla sensibilità di chi scrive (per nulla, beninteso, un esperto di poesia in portoghese) paiono emergenti alcune caratteristiche chiave. Anzitutto, la eccezionale dimestichezza di Narlan Matos con i generi più svariati. Narlan Matos ha il fiato e l’immaginazione per tutto: dall’elegia allo spiritual postcoloniale, dalla semplice lirica amorosa al concettismo di sentore barocco, dal poemetto metafisico a quello di denuncia. E nel cavalcare queste forme, Narlan Matos riesce, senza forzatura alcuna, a mantenere una tonalità propria, e a sdipanarla in mirabile equilibrio tra impennate metaforiche e naturalezza del dettato. È una voce limpida di tranquilla, direi “classica” autorevolezza, che si propone di parlare a tutti allo stesso modo, e che tutti convince con la necessità di un fenomeno naturale. Una voce limata da grande mestiere, certo, ma questo non basterebbe a renderla grande. Il mezzo atmosferico attraverso cui il messaggio di Narlan Matos perviene ai suoi destinatari è null’altro che il suo profondo umanismo, un cuore pulsante che rimette in circolo forzoso il sangue impigrito della solidarietà e della fratellanza universali; non tanto in virtù di un vago essenzialismo, o dell’ipocrita nozione di “diritti umani”, ma in forza di un comune destino di schisi rispetto alle nostre circostanze di esistenza.

Tenuto saldo questo sostrato, diventano logici – e tremendamente efficaci – i frequenti e disinvolti scarti tematici riscontrabili nel canto di Matos: dall’evocazione corale degli orrori coloniali (trauma irrisolto che insiste necessariamente nella psiche dei Paesi in via di sviluppo), alla sbalordita, francescana perlustrazione degli incanti della Natura, alle elucubrazioni più private sull’identità dell’io. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che, dovendo drasticamente selezionare, vorrei focalizzare questa breve nota introduttiva. In Storia del soprannaturale, il poeta percepisce che “manca qualcosa nella stanza”, ma non sono né “gli impressionismi di Renoir” né “i libri sparsi per il parquet – il pavimento non manca”. Eppure, ribadisce nella chiusa il poeta, “manca qualcosa nella stanza / che rende il panorama più azzurrato di cielo / e se io fossi qui certamente saprei che cosa.” Per converso, Cosmogonie si apre con la constatazione che “tra questi due numeretti cardinali / Stanno infiniti numeri / L’intero sistema solare... più io”; e nell’explicit ci si chiede “quando tutto questo / Ci starà dentro di me.”

La dinamica di assenza/presenza/identità dell’io poetante di fronte alla realtà e alla Storia (tema già cruciale, ovviamente, in Pessoa) è il basso continuo della scrittura di Matos: non il tema più visibile, ma forse quello più larvatamente persistente. Il problema è, come si diceva sopra, quello della natura eccessiva dell’io, della sua costituzionale impossibilità a riconciliarsi con i suoi dintorni. O l’io “manca” dalla realtà (come nella stanza in Storia del soprannaturale) oppure ne è un’addizione, un’escrescenza non recuperabile all’insieme (il “più io” in Cosmogonie). Il risultato è che l’io non può né contenere la realtà né esserne contenuto. Questa sproporzione gli è congenita, dato che il soggetto si costituisce come tale precisamente in seguito a un necessario, traumatico atto di scissione da sé. Ne consegue, per ognuno, il perenne affanno che Jacques Lacan riassume nel “Che vuoi?”, l’interrogativo che l’io rivolge all’Altro riguardo al senso della propria esistenza. Ma l’Altro, altrettanto scisso e deficitario, non è mai in grado di soddisfarlo. Se esiste davvero una fratellanza di tutti gli esseri umani, non può che essere un rapporto basato su questa negatività costitutiva del soggetto: rispetto a se stesso, agli altri, alla realtà in cui si dispiegano, a livello personale, sociale o storico, le sue relazioni. Narlan Matos è ben conscio di questa problematica, ed è proprio drammatizzandola con sapienza, vigore e generosità che egli riesce nell’arduo cimento di essere un poeta universale, e la sua musica a consuonare con le corde dei suoi numerosi lettori.




POESIE DI NARLAN MATOS


          


CONSULTA

- Doutor, não adianta
Não vou tomar esses remédios
Não concordo com seu diagnóstico
- Doutor, não sou eu quem está doente

- Não vim aqui para me conhecer
eu vim para me esquecer

Não, não, eu não vou tomar isso!
Escute, só vim para lhe dizer que
minha cura está em minhas mãos
meu caso ainda é desconhecido

Agora, se o senhor me der licença
vou me retirar
tenho um compromisso inadiável
Passe bem


VISITA MEDICA

- Dottore, è inutile
Non prenderò quelle medicine
Non concordo con la sua diagnosi
- Dottore, non sono io il malato

- Non sono venuto qui per conoscermi
sono venuto per dimenticarmi

No, no, quella roba non la prendo!
Ascolti, sono venuto solo per dirle
che la mia cura è nelle mie mani
il mio caso è ancora sconosciuto

Ora, se vuole scusarmi
devo andare
ho un impegno improrogabile
Stia bene


ESTÓRIA DO SOBRENATURAL

Falta alguma coisa no quarto
tudo está quieto e paz imensa aninhou feito nuvem no lençol
o que rodopia preso no teto é o ventilador – não o mundo –
calmamente uma brisa se faz de silêncio

Falta alguma coisa no quarto
e não são os impressionismos de Renoir – estão todos aqui
nem os livros empilhados espalhados pelo taco – o chão não falta

Mas falta,
falta alguma coisa no quarto
que faz a paisagem mais azulada de céu
e se eu estivesse aqui certamente saberia o que


STORIA DEL SOPRANNATURALE

Manca qualcosa nella stanza
tutto è tranquillo e pace immensa si annida come nube nel lenzuolo
che gira incastrato nel tetto è il ventilatore – non il mondo –
con calma si alza una brezza di silenzio

Manca qualcosa nella stanza
e non sono gli impressionismi di Renoir – quelli son tutti qui
né le pile di libri sparsi per il parquet – il pavimento non manca

Eppure manca,
manca qualcosa nella stanza
che rende il panorama più azzurrato di cielo
e se io fossi qui certamente saprei che cosa


CALENDÁRIO

é preciso esquecer de março
para que abril finalmente aconteça
deitar-se sob a sombra de janeiro
para que o abismo de junho desapareça

de quem é esta face por detrás da hera?
ao longe o luar etéreo repousa leve e branco
sobre lírios de absinto e quimera

resta ainda a relva de setembro
e azaleias da tarde
e as latitudes do silêncio

não é a morte que eu busco, amiga
quando chegam tuas palavras na brisa
quando oferece-me o frescor de tua tez
e a Via-Láctea de repente renasce
calma nas rosas silvestres do prado
ou quando abres as imensas pétalas
do teu sorriso lindo e branco (um lírio?)
para a noite da minha existência


CALENDARIO

bisogna dimenticare marzo
perché finalmente arrivi aprile
sdraiarsi all’ombra di gennaio
perché l’abisso di giugno scompaia

di chi è questa faccia dietro l’edera?
lontano il chiar di luna riposa lieve e bianco
sopra gigli di assenzio e chimera

resta ancora l’erba di settembre
e azalee del pomeriggio
e le latitudini del silenzio

non è la morte che cerco, amica
quando giungono le tue parole nella brezza
quando mi offri la frescura della tua pelle
e la Via Lattea all’improvviso rinasce
calma nelle rose silvestri del prato
o quando apri i petali immensi
del tuo sorriso bello e bianco (un giglio?)
per la notte della mia esistenza


COSMOGONIAS

Entre esses dois numerosinhos cardinais
Cabem infinitos números
O sistema solar inteiro ... e mais eu
Os livros enfileirados, um após o outro
Nas prateleiras longas desta biblioteca
Parecem compor um outro livro, num
Outro plano, noutras nuances

Em tudo há uma passagem que vai dar
em outra coisa

coisa dentro de coisa
fundo sem fundo

Meu gato se aproxima de mim, leve
Feito um gato
lambe minhas pernas
Com um olhar felino azul me indaga

Milhões de universos se encaixam
Nos espaços que outros deixam
E formam imagens
E formam miragens

E formam estranhas linguagens
Como a língua dos Búlgaros que aterrorizavam
A Europa há séculos e séculos atrás
Observando estas formiguinhas aqui
Caminhando lentas no galho do Pessegueiro
Indo em direção cega ao pêssego
Que amadureceu
Sem me perguntarem nada

Me pergunto quando é que isso tudo
Vai caber em mim


COSMOGONIE

Tra questi due numeretti cardinali
Stanno infiniti numeri
L’intero sistema solare... più io
I libri allineati, uno dopo l’altro
Sugli scaffali lunghi di questa biblioteca
Sembrano comporre un altro libro, su un
Altro piano, in altre sfumature

In tutto c’è un passaggio che dà
su qualcos’altro

cosa dentro cosa
fondo senza fondo

Il mio gatto mi si avvicina, leggero
Come un gatto
mi lecca le gambe
Con uno sguardo blu felino mi indaga

Milioni di universi si incastrano
Negli spazi lasciati da altri
E formano immagini
E formano miraggi

E formano strani linguaggi
Come la lingua dei Bulgari che terrorizzavano
L’Europa secoli e secoli fa
Osservando queste formichine qui
Camminare lente sul ramo del pesco
Dirigersi cieche alla pesca
Che è maturata
Senza chiedermi niente

Mi chiedo quando tutto questo
Ci starà dentro di me.


PASTICHE

Tire seu sorriso do caminho
Que eu quero passar com minha tristeza

Quando os carros pararem ao sinal vermelho
Eu atravessarei a rua

E por um instante
O mundo inteiro verá meu rosto

Meu coração não tem segredos
Mas só abre por dentro


PASTICHE

Sposti il suo sorriso dalla strada
Che io voglio passare con la mia tristezza

Quando le auto si fermano al segnale rosso
Io attraverserò la via

E per un istante
Il mondo intero vedrà il mio viso

Il mio cuore non ha segreti
Ma si apre solo all’interno.


PÓS-COLOMBIANOS

por pouco
muito pouco
os índios
das Américas
não conseguiram
cristianizar
os conquistadores
europeus

os europeus
conquistadores
por pouco
muito pouco
os índios
das Américas
não conseguiram
cristianizar
por pouco
muito pouco


POST-COLOMBIANI

per poco
molto poco
gli indiani
delle Americhe
non sono riusciti
a cristianizzare
i conquistatori
europei

gli europei
conquistatori
per poco
molto poco
gli indiani
delle Americhe
non sono riusciti
a cristianizzare
per poco
molto poco


AS CRIANÇAS DA NOITE

eu ouço as crianças da noite
beijando flores murchas como colibris mortos
um demônio em seus olhares pousa porque só há escuridão e nada
mais que se encontre
porque não há verão em seus olhares nem dois mil sóis explodem
em suas mãos

eu vejo as crianças da noite
amamentadas por seios desnutridos, rotos, por seios frágeis de areia
amamentadas por um leite branco mas que não é de nuvens nem de leite

que gosto terá o leite da vida na boca das crianças da noite?

que olhares podem ter crianças nascidas de seios sem verão de
úteros sem mães?

eu vejo as crianças da noite
embaladas em algum balanço que não vejo numa ciranda que não terna
que não adentra até o mais mim de mim
que amanheceres procuram elas pelo céu?
que raios do firmamento descerão às suas faces?
ouço os chacais africanos numa manhã de um mês frio
o dia não passa de uma pérola alva num jardim destroçado

eu vejo as crianças da noite
traficando diamantes e constelações e dentes de marfim
não há serafins em seus semblantes de sabre
não há uma guitarra cigana em suas bocas
e os riachos não escorregam em suas veias
não defendem até a morte a cidade de Andorra onde encurralaram a liberdade

eu vejo as crianças da noite
escavando com as unhas na lama a primavera e a quimera
revirando ruínas de papéis e cinza em busca da palavra que
explique o azul cubista do céu
o que há de errado em seus olhares?
o que há de breu em seus sorrisos?
nas favelas do Rio de Janeiro nas favelas da Jamaica
nas esquinas do Cairo, Manágua e Katmandu
nos bananais do Equador e da Guatemala
nas fazendas de borracha do Brasil
nos solos afiados do Oriente Médio
nas periferias de Saigon San Salvador e Hanói
algo me dói algo me corrói

eu ouço o grito desesperado das crianças da noite


I BAMBINI DELLA NOTTE

sento i bambini della notte
baciare fiori appassiti come colibrì morti
un demonio nei loro occhi si posa perché c’è solo il buio
e non si trova nient’altro
perché non c’è estate nei loro occhi né duemila soli esplodono
nelle loro mani

vedo i bambini della notte
allattati da seni denutriti, rotti, da seni fragili di sabbia
allattati da un latte bianco fatto né di nubi né di latte

che gusto avrà il latte della vita nella bocca dei bambini della notte?
che occhi possono avere bambini nati da seni senza estate da
uteri senza madri?

vedo i bambini della notte
cullati in qualche altalena che non vedo in un girotondo che non intenerisce
che non arriva al più profondo di me
che albe cercano nel cielo?
che raggi del firmamento discenderanno sui loro volti?
sento gli sciacalli africani nel mattino di un mese freddo
il giorno non è che una perla candida in un giardino devastato

vedo i bambini della notte
trafficare diamanti e costellazioni e denti d’avorio
non ci sono serafini nei loro sembianti di sciabola
non c’è una chitarra gitana nelle loro bocche
e nelle loro vene non scorrono i ruscelli
non difendono fino alla morte la città di Andorra dove recintarono la libertà

vedo i bambini della notte
scavare con le unghie nella melma la primavera la chimera
rovistare tra rovine di carta e cenere in cerca della parola che
spieghi il blu cubista del cielo
cosa c’è di sbagliato nei loro occhi?
cosa c’è di pece nei loro sorrisi?
nelle favelas di Rio de Janeiro nelle favelas della Giamaica
negli angoli del Cairo, Managua e Katmandù
nei campi di banane dell’Ecuador e del Guatemala
nelle piantagioni di gomma del Brasile
nei suoli affilati del Medio Oriente
nelle periferie di Saigon San Salvador e Hanoi
qualcosa mi fa male qualcosa mi corrode

sento il grido disperato dei bambini della notte


ELEGIA AO NOVO MUNDO

tu me perguntas meu amigo
onde eu estive durante o meu longo silêncio

estive na açucena das canas e na amargura dos canaviais

onde as folhas tremiam de medo dos homens
os canaviais me sussurraram em gritos horrendos
o sangue amargo que lhe adocicou a boca
as mãos ásperas que lhe enxugaram a face
o canavial que morria de fome antes de completar 27 anos
de idade
das vozes sem estrela que embalavam ao longe línguas estranhas
ó canavial verde, de que cor é meu sangue vermelho?
meu sangue tem medo da morte do açoite da noite
meu sangue tem medo de mim

tu me perguntas meu amigo
onde eu estive durante o meu longo silêncio

eu estive nos navios negreiros mercantes
que mercaram meu destino até a América até agora
beberam minhas lendas como se bebe um barril de rum podre

mercaram cada estrela do céu e do mar infinito
cada pássaro cada pluma de meu cocar
e desenharam mapas com meu sangue
e ergueram totens sobre minha tribo
e atearam fogo nos campos sagrados do meu povo
e suas lanças me repartiram as veias em continentes
distantes diferentes

tu me perguntas meu amigo
onde eu estive durante o meu longo silêncio

estive pelas escumas dos mares nunca d’antes
por onde vieram a pólvora a baioneta o espelho a
tuberculose a sífilis
por onde vieram a espada e o elmo
- as nuvens jamais se esquecerão disso!

oh mar salgado, quanto de teu sal são genocídios de Portugal!

no atlântico negro
nos tombadilhos de velhos navios piratas
nos calabouços da crueldade humana
nas prisões da Serra Leoa – que ainda doem em alguma dobra do
meu corpo
em Angola
na Guiné-Bissau
no Senegal
no Benin

estive no reino da Guatemala
e na província de Yucatán
e na província de Cartagena de las Indias
e nos grandes reinos e grande província do Peru
e no novo reino de Granada
e nas ilhas de Cuba e Trinidad
e no reino dos Astecas
onde espadas de brutalidade fenderam meu corpo nu
onde os cães de caça dos barões das Índias se alimentavam dos
braços e das pernas de crianças indefesas

tu me perguntas onde eu estive meu amigo
e somente agora posso quebrar meu silêncio:
eu estive comigo


ELEGIA AL NUOVO MONDO

tu mi domandi amico mio dove sono stato durante il mio lungo silenzio

sono stato nella dolcezza della canna da zucchero e nell’amarezza
delle sue piantagioni
dove le foglie tremavano per paura degli uomini
le piantagioni mi sussurravano con grida orrende
il sangue amaro che ne addolcì la bocca
le mani ruvide che ne asciugarono la faccia
la piantagione che moriva di fame prima di compiere 27 anni
delle voci senza stelle che cullavano da lontano lingue strane
o piantagione verde, di che colore è il mio sangue rosso?
il mio sangue ha paura della morte della frusta della notte
il mio sangue ha paura di me

tu mi domandi amico mio
dove sono stato durante il mio lungo silenzio

sono stato sulle navi negriere
che barattarono il mio destino fino all’America fino ad oggi
bevvero le mie leggende come si beve un barile di rum marcito

barattarono ogni stella del cielo e del mare infinito
ogni uccello ogni piuma della mia coccarda
e disegnarono mappe col mio sangue
ed eressero totem sulla mia tribù
e misero il fuoco ai campi sacri del mio popolo
e le loro lance mi spaccarono le vene in continenti
distanti diversi

tu mi domandi amico mio
dove sono stato durante il mio lungo silenzio
sono stato per le spume di mari mai solcati
per dove vennero la polvere da sparo la baionetta lo specchio la
tubercolosi la sifilide
per dove vennero la spada e l’elmo – le nubi non lo scorderanno mai!

o mare salato, quanto del tuo sale sono genocidi di Portogallo!

nell’Atlantico nero
nei casseri di poppa delle vecchie navi pirata
nelle carceri della crudeltà umana
nelle prigioni della Sierra Leone – che ancora fanno male in qualche piega del
mio corpo
in Angola
nella Guinea-Bissau
nel Senegal
nel Benin

sono stato nel regno del Guatemala
e nella provincia di Yucatán
e nella provincia di Cartagena delle Indie
e nei grandi regni e grande provincia del Perù
e nel nuovo regno di Granada
e nelle isole di Cuba e Trinidad
e nel regno degli Aztechi
dove spade di brutalità fendettero il mio corpo nudo
dove i cani da caccia dei baroni delle Indie si nutrivano delle braccia
e delle gambe di bambini indifesi

tu mi chiedi dove sono stato amico mio
e solo ora posso rompere il mio silenzio
sono stato con me.


TZAR

é colossal a espera por tudo
pelo mar que o poente esconde e desenha
pelos braços mansos do brancor da praia
da espuma
pelo perfume das alfazemas
pelos prados e pelas violetas
pela dama sonhada com suas mãos de lírios
e seus braços de jasmim
perfumados pelo frio da noite escura

é imortal o tzar do tempo
como um samurai escondido no invisível
sobrevoando nossos cadáveres frágeis
vocabulários escorrem de sua boca
em forma de regatos e montanhas
em nossas almas
dói a dor de ser e estar
em nossas almas
nada cala nem acalenta
e depois de tudo
nos acena um estranho nada por detrás das coisas
enquanto isso sente os amanheceres
e o vento
e o ouro que o verão semeia na paisagem

e as palavras de março anunciando folhas verdes
sente a água escura dos rios da floresta
fluindo sobre a areia branca
sente o que há de terno meu irmão

Porque é colossal a espera pelo homem


ZAR

è colossale, l’attesa per tutto
per il mare che il tramonto nasconde e disegna
per le braccia molli del biancore della spiaggia
della spuma
per il profumo della lavanda
per i prati e per le viole
per la dama sognata con le sue mani di giglio
e le braccia di gelsomino
profumate dal freddo della notte scura

è immortale lo zar del tempo
come un samurai nascosto nell’invisibile
che sorvola i nostri cadaveri fragili
vocabolari gli scorrono dalla bocca
in guisa di ruscelli e montagne
nelle nostre anime
fa male il dolore di essere e stare
nelle nostre anime
niente tace o acquieta
e dopotutto
ci fa cenno uno strano niente da dietro le cose
nel frattempo senti questo le albe
e il vento
e l’oro che l’estate semina sul paesaggio

e le parole di marzo annunciare foglie verdi
senti l’acqua scura dei fiumi della foresta
scorrere sulla sabbia bianca
senti la tenerezza che esiste fratello mio

Perché è colossale l’attesa per l’uomo



“Visita medica” e “Pastiche” sono tratti da Signore e signori: l’alba! (1997); “Cosmogonie” e “Storia del soprannaturale” da Nell’accampamento delle ombre (2001). Le restanti liriche provengono da Elegia al Nuovo Mondo (2012).


Traduzione dal portoghese di Giorgio Mobili




NARLAN MATOS (Itaquara, Bahia, Brasile 1975)
è uno dei più celebrati poeti contemporanei in Brasile. A soli 21 anni pubblica la sua prima raccolta poetica: Senhoras e senhores, o amanhecer! (Signore e signori: l’aurora!, Fundação Casa de Jorge Amado, 1997), che ottiene il premio della Fondazione Jorge Amado. La sua seconda raccolta, No acampamento das sombras (Nell’accampamento delle ombre, Cone Sul, 2001), vince il premio nazionale XEROX per la Letteratura Brasiliana. Nel 2002 Narlan Matos partecipa, come ospite del dipartimento di stato, all’International Writing Program della University of Iowa, negli Stati Uniti, e durante il suo soggiorno dà conferenze in varie università americane.
La sua poesia ottiene l’attenzione di poeti leggendari come Yevgeny Yevtushenko, Robert Creeley, Lawrence Ferlinghetti and Tomaz Salamun. Il suo terzo libro di poesie, Elegia ao Novo Mundo (Elegia al Nuovo Mondo) pubblicato dalla rinomata 7 Letras, viene tradotto in molte lingue e selezionato come una delle migliori opere poetiche del 2012. Viene anche nominato per il prestigioso premio internazionale Portugal/Telecom.
Narlan Matos partecipa attivamente a diversi programmi di letteratura negli Stati Uniti, e ha recentemente ottenuto un PhD in letteratura brasiliana alla University of Illinois di Urbana Champaign. Attualmente insegna al Montgomery College di Washington D.C.
Per ulteriori informazioni, si invita a visitare il suo sito web: www.narlanmatos.com


giorgiomobili@hotmail.com