A nemmeno quarant’anni, Narlan Matos è già un poeta molto popolare, amato e pluriomaggiato, non solo nel suo Brasile natio, ma pure in ambito internazionale – fenomeno strano, direi quasi esoterico, in una temperie involgarita e in via di radicale depoetizzazione quale è la nostra. Come è possibile? Una considerazione obbligata e a dir poco entusiasmante – abbiamo appreso, in questo gioco al ribasso, ad appagarci di pochissimo – è che, in tutta evidenza, esiste ancora un pubblico ricettivo alla poesia, benché (per ragioni che sarebbe affascinante, in altro loco, sviscerare) più all’estero che in Italia, e in particolare in America Latina, dove la lettura poetica è ancora un evento a cui gli aficionados sono disposti ad assistere a prezzo di scomodità logistiche impensabili da noi.
Ma la domanda, in questa sede, va posta soprattutto in relazione alla poesia di Narlan: quali sono gli elementi che rendono la sua scrittura così immediatamente consonante con gli animi di tanti lettori, trasversalmente ai confini nazionali? Alla sensibilità di chi scrive (per nulla, beninteso, un esperto di poesia in portoghese) paiono emergenti alcune caratteristiche chiave. Anzitutto, la eccezionale dimestichezza di Narlan Matos con i generi più svariati. Narlan Matos ha il fiato e l’immaginazione per tutto: dall’elegia allo spiritual postcoloniale, dalla semplice lirica amorosa al concettismo di sentore barocco, dal poemetto metafisico a quello di denuncia. E nel cavalcare queste forme, Narlan Matos riesce, senza forzatura alcuna, a mantenere una tonalità propria, e a sdipanarla in mirabile equilibrio tra impennate metaforiche e naturalezza del dettato. È una voce limpida di tranquilla, direi “classica” autorevolezza, che si propone di parlare a tutti allo stesso modo, e che tutti convince con la necessità di un fenomeno naturale. Una voce limata da grande mestiere, certo, ma questo non basterebbe a renderla grande. Il mezzo atmosferico attraverso cui il messaggio di Narlan Matos perviene ai suoi destinatari è null’altro che il suo profondo umanismo, un cuore pulsante che rimette in circolo forzoso il sangue impigrito della solidarietà e della fratellanza universali; non tanto in virtù di un vago essenzialismo, o dell’ipocrita nozione di “diritti umani”, ma in forza di un comune destino di schisi rispetto alle nostre circostanze di esistenza.
Tenuto saldo questo sostrato, diventano logici – e tremendamente efficaci – i frequenti e disinvolti scarti tematici riscontrabili nel canto di Matos: dall’evocazione corale degli orrori coloniali (trauma irrisolto che insiste necessariamente nella psiche dei Paesi in via di sviluppo), alla sbalordita, francescana perlustrazione degli incanti della Natura, alle elucubrazioni più private sull’identità dell’io. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che, dovendo drasticamente selezionare, vorrei focalizzare questa breve nota introduttiva. In Storia del soprannaturale, il poeta percepisce che “manca qualcosa nella stanza”, ma non sono né “gli impressionismi di Renoir” né “i libri sparsi per il parquet – il pavimento non manca”. Eppure, ribadisce nella chiusa il poeta, “manca qualcosa nella stanza / che rende il panorama più azzurrato di cielo / e se io fossi qui certamente saprei che cosa.” Per converso, Cosmogonie si apre con la constatazione che “tra questi due numeretti cardinali / Stanno infiniti numeri / L’intero sistema solare... più io”; e nell’explicit ci si chiede “quando tutto questo / Ci starà dentro di me.”
La dinamica di assenza/presenza/identità dell’io poetante di fronte alla realtà e alla Storia (tema già cruciale, ovviamente, in Pessoa) è il basso continuo della scrittura di Matos: non il tema più visibile, ma forse quello più larvatamente persistente. Il problema è, come si diceva sopra, quello della natura eccessiva dell’io, della sua costituzionale impossibilità a riconciliarsi con i suoi dintorni. O l’io “manca” dalla realtà (come nella stanza in Storia del soprannaturale) oppure ne è un’addizione, un’escrescenza non recuperabile all’insieme (il “più io” in Cosmogonie). Il risultato è che l’io non può né contenere la realtà né esserne contenuto. Questa sproporzione gli è congenita, dato che il soggetto si costituisce come tale precisamente in seguito a un necessario, traumatico atto di scissione da sé. Ne consegue, per ognuno, il perenne affanno che Jacques Lacan riassume nel “Che vuoi?”, l’interrogativo che l’io rivolge all’Altro riguardo al senso della propria esistenza. Ma l’Altro, altrettanto scisso e deficitario, non è mai in grado di soddisfarlo. Se esiste davvero una fratellanza di tutti gli esseri umani, non può che essere un rapporto basato su questa negatività costitutiva del soggetto: rispetto a se stesso, agli altri, alla realtà in cui si dispiegano, a livello personale, sociale o storico, le sue relazioni. Narlan Matos è ben conscio di questa problematica, ed è proprio drammatizzandola con sapienza, vigore e generosità che egli riesce nell’arduo cimento di essere un poeta universale, e la sua musica a consuonare con le corde dei suoi numerosi lettori.
POESIE DI NARLAN MATOS
CONSULTA
- Doutor, não adianta Não vou tomar esses remédios Não concordo com seu diagnóstico - Doutor, não sou eu quem está doente - Não vim aqui para me conhecer eu vim para me esquecer Não, não, eu não vou tomar isso! Escute, só vim para lhe dizer que minha cura está em minhas mãos meu caso ainda é desconhecido Agora, se o senhor me der licença vou me retirar tenho um compromisso inadiável Passe bem
VISITA MEDICA
- Dottore, è inutile Non prenderò quelle medicine Non concordo con la sua diagnosi - Dottore, non sono io il malato - Non sono venuto qui per conoscermi sono venuto per dimenticarmi No, no, quella roba non la prendo! Ascolti, sono venuto solo per dirle che la mia cura è nelle mie mani il mio caso è ancora sconosciuto Ora, se vuole scusarmi devo andare ho un impegno improrogabile Stia bene
ESTÓRIA DO SOBRENATURAL
Falta alguma coisa no quarto tudo está quieto e paz imensa aninhou feito nuvem no lençol o que rodopia preso no teto é o ventilador – não o mundo – calmamente uma brisa se faz de silêncio Falta alguma coisa no quarto e não são os impressionismos de Renoir – estão todos aqui nem os livros empilhados espalhados pelo taco – o chão não falta Mas falta, falta alguma coisa no quarto que faz a paisagem mais azulada de céu e se eu estivesse aqui certamente saberia o que
STORIA DEL SOPRANNATURALE
Manca qualcosa nella stanza tutto è tranquillo e pace immensa si annida come nube nel lenzuolo che gira incastrato nel tetto è il ventilatore – non il mondo – con calma si alza una brezza di silenzio Manca qualcosa nella stanza e non sono gli impressionismi di Renoir – quelli son tutti qui né le pile di libri sparsi per il parquet – il pavimento non manca Eppure manca, manca qualcosa nella stanza che rende il panorama più azzurrato di cielo e se io fossi qui certamente saprei che cosa
CALENDÁRIO
é preciso esquecer de março para que abril finalmente aconteça deitar-se sob a sombra de janeiro para que o abismo de junho desapareça de quem é esta face por detrás da hera? ao longe o luar etéreo repousa leve e branco sobre lírios de absinto e quimera resta ainda a relva de setembro e azaleias da tarde e as latitudes do silêncio não é a morte que eu busco, amiga quando chegam tuas palavras na brisa quando oferece-me o frescor de tua tez e a Via-Láctea de repente renasce calma nas rosas silvestres do prado ou quando abres as imensas pétalas do teu sorriso lindo e branco (um lírio?) para a noite da minha existência
CALENDARIO
bisogna dimenticare marzo perché finalmente arrivi aprile sdraiarsi all’ombra di gennaio perché l’abisso di giugno scompaia di chi è questa faccia dietro l’edera? lontano il chiar di luna riposa lieve e bianco sopra gigli di assenzio e chimera resta ancora l’erba di settembre e azalee del pomeriggio e le latitudini del silenzionon è la morte che cerco, amica quando giungono le tue parole nella brezza quando mi offri la frescura della tua pelle e la Via Lattea all’improvviso rinasce calma nelle rose silvestri del prato o quando apri i petali immensi del tuo sorriso bello e bianco (un giglio?) per la notte della mia esistenza
COSMOGONIAS
Entre esses dois numerosinhos cardinais Cabem infinitos números O sistema solar inteiro ... e mais eu Os livros enfileirados, um após o outro Nas prateleiras longas desta biblioteca Parecem compor um outro livro, num Outro plano, noutras nuances Em tudo há uma passagem que vai dar em outra coisacoisa dentro de coisa fundo sem fundoMeu gato se aproxima de mim, leve Feito um gato lambe minhas pernas Com um olhar felino azul me indagaMilhões de universos se encaixam Nos espaços que outros deixam E formam imagens E formam miragensE formam estranhas linguagens Como a língua dos Búlgaros que aterrorizavam A Europa há séculos e séculos atrás Observando estas formiguinhas aqui Caminhando lentas no galho do Pessegueiro Indo em direção cega ao pêssego Que amadureceu Sem me perguntarem nadaMe pergunto quando é que isso tudo Vai caber em mim
COSMOGONIE
Tra questi due numeretti cardinali Stanno infiniti numeri L’intero sistema solare... più io I libri allineati, uno dopo l’altro Sugli scaffali lunghi di questa biblioteca Sembrano comporre un altro libro, su un Altro piano, in altre sfumature In tutto c’è un passaggio che dà su qualcos’altrocosa dentro cosa fondo senza fondoIl mio gatto mi si avvicina, leggero Come un gatto mi lecca le gambe Con uno sguardo blu felino mi indagaMilioni di universi si incastrano Negli spazi lasciati da altri E formano immagini E formano miraggiE formano strani linguaggi Come la lingua dei Bulgari che terrorizzavano L’Europa secoli e secoli fa Osservando queste formichine qui Camminare lente sul ramo del pesco Dirigersi cieche alla pesca Che è maturata Senza chiedermi nienteMi chiedo quando tutto questo Ci starà dentro di me.
PASTICHE
Tire seu sorriso do caminho Que eu quero passar com minha tristeza Quando os carros pararem ao sinal vermelho Eu atravessarei a rua E por um instante O mundo inteiro verá meu rosto Meu coração não tem segredos Mas só abre por dentro
PASTICHE
Sposti il suo sorriso dalla strada Che io voglio passare con la mia tristezza Quando le auto si fermano al segnale rosso Io attraverserò la via E per un istante Il mondo intero vedrà il mio viso Il mio cuore non ha segreti Ma si apre solo all’interno.
PÓS-COLOMBIANOS
por pouco muito pouco os índios das Américas não conseguiram cristianizar os conquistadores europeus os europeus conquistadores por pouco muito pouco os índios das Américas não conseguiram cristianizar por pouco muito pouco
POST-COLOMBIANI
per poco molto poco gli indiani delle Americhe non sono riusciti a cristianizzare i conquistatori europei gli europei conquistatori per poco molto poco gli indiani delle Americhe non sono riusciti a cristianizzare per poco molto poco
AS CRIANÇAS DA NOITE
eu ouço as crianças da noite beijando flores murchas como colibris mortos um demônio em seus olhares pousa porque só há escuridão e nada mais que se encontre porque não há verão em seus olhares nem dois mil sóis explodem em suas mãoseu vejo as crianças da noite amamentadas por seios desnutridos, rotos, por seios frágeis de areia amamentadas por um leite branco mas que não é de nuvens nem de leite que gosto terá o leite da vida na boca das crianças da noite? que olhares podem ter crianças nascidas de seios sem verão de úteros sem mães?eu vejo as crianças da noite embaladas em algum balanço que não vejo numa ciranda que não terna que não adentra até o mais mim de mim que amanheceres procuram elas pelo céu? que raios do firmamento descerão às suas faces? ouço os chacais africanos numa manhã de um mês frio o dia não passa de uma pérola alva num jardim destroçado eu vejo as crianças da noite traficando diamantes e constelações e dentes de marfim não há serafins em seus semblantes de sabre não há uma guitarra cigana em suas bocas e os riachos não escorregam em suas veias não defendem até a morte a cidade de Andorra onde encurralaram a liberdade eu vejo as crianças da noite escavando com as unhas na lama a primavera e a quimera revirando ruínas de papéis e cinza em busca da palavra que explique o azul cubista do céu o que há de errado em seus olhares? o que há de breu em seus sorrisos? nas favelas do Rio de Janeiro nas favelas da Jamaica nas esquinas do Cairo, Manágua e Katmandu nos bananais do Equador e da Guatemala nas fazendas de borracha do Brasil nos solos afiados do Oriente Médio nas periferias de Saigon San Salvador e Hanói algo me dói algo me corrói eu ouço o grito desesperado das crianças da noite
I BAMBINI DELLA NOTTE
sento i bambini della notte baciare fiori appassiti come colibrì morti un demonio nei loro occhi si posa perché c’è solo il buio e non si trova nient’altro perché non c’è estate nei loro occhi né duemila soli esplodono nelle loro manivedo i bambini della notte allattati da seni denutriti, rotti, da seni fragili di sabbia allattati da un latte bianco fatto né di nubi né di latte che gusto avrà il latte della vita nella bocca dei bambini della notte? che occhi possono avere bambini nati da seni senza estate da uteri senza madri?vedo i bambini della notte cullati in qualche altalena che non vedo in un girotondo che non intenerisce che non arriva al più profondo di me che albe cercano nel cielo? che raggi del firmamento discenderanno sui loro volti? sento gli sciacalli africani nel mattino di un mese freddo il giorno non è che una perla candida in un giardino devastato vedo i bambini della notte trafficare diamanti e costellazioni e denti d’avorio non ci sono serafini nei loro sembianti di sciabola non c’è una chitarra gitana nelle loro bocche e nelle loro vene non scorrono i ruscelli non difendono fino alla morte la città di Andorra dove recintarono la libertà vedo i bambini della notte scavare con le unghie nella melma la primavera la chimera rovistare tra rovine di carta e cenere in cerca della parola che spieghi il blu cubista del cielo cosa c’è di sbagliato nei loro occhi? cosa c’è di pece nei loro sorrisi? nelle favelas di Rio de Janeiro nelle favelas della Giamaica negli angoli del Cairo, Managua e Katmandù nei campi di banane dell’Ecuador e del Guatemala nelle piantagioni di gomma del Brasile nei suoli affilati del Medio Oriente nelle periferie di Saigon San Salvador e Hanoi qualcosa mi fa male qualcosa mi corrode sento il grido disperato dei bambini della notte
ELEGIA AO NOVO MUNDO
tu me perguntas meu amigo onde eu estive durante o meu longo silêncio estive na açucena das canas e na amargura dos canaviais onde as folhas tremiam de medo dos homens os canaviais me sussurraram em gritos horrendos o sangue amargo que lhe adocicou a boca as mãos ásperas que lhe enxugaram a face o canavial que morria de fome antes de completar 27 anos de idade das vozes sem estrela que embalavam ao longe línguas estranhas ó canavial verde, de que cor é meu sangue vermelho? meu sangue tem medo da morte do açoite da noite meu sangue tem medo de mimtu me perguntas meu amigo onde eu estive durante o meu longo silêncio eu estive nos navios negreiros mercantes que mercaram meu destino até a América até agora beberam minhas lendas como se bebe um barril de rum podremercaram cada estrela do céu e do mar infinito cada pássaro cada pluma de meu cocar e desenharam mapas com meu sangue e ergueram totens sobre minha tribo e atearam fogo nos campos sagrados do meu povo e suas lanças me repartiram as veias em continentes distantes diferentestu me perguntas meu amigo onde eu estive durante o meu longo silêncio estive pelas escumas dos mares nunca d’antes por onde vieram a pólvora a baioneta o espelho a tuberculose a sífilis por onde vieram a espada e o elmo - as nuvens jamais se esquecerão disso!oh mar salgado, quanto de teu sal são genocídios de Portugal! no atlântico negro nos tombadilhos de velhos navios piratas nos calabouços da crueldade humana nas prisões da Serra Leoa – que ainda doem em alguma dobra do meu corpo em Angola na Guiné-Bissau no Senegal no Benin estive no reino da Guatemala e na província de Yucatán e na província de Cartagena de las Indias e nos grandes reinos e grande província do Peru e no novo reino de Granada e nas ilhas de Cuba e Trinidad e no reino dos Astecas onde espadas de brutalidade fenderam meu corpo nu onde os cães de caça dos barões das Índias se alimentavam dos braços e das pernas de crianças indefesastu me perguntas onde eu estive meu amigo e somente agora posso quebrar meu silêncio: eu estive comigo
ELEGIA AL NUOVO MONDO
tu mi domandi amico mio
dove sono stato durante il mio lungo silenzio sono stato nella dolcezza della canna da zucchero e nell’amarezza delle sue piantagioni dove le foglie tremavano per paura degli uomini le piantagioni mi sussurravano con grida orrende il sangue amaro che ne addolcì la bocca le mani ruvide che ne asciugarono la faccia la piantagione che moriva di fame prima di compiere 27 anni delle voci senza stelle che cullavano da lontano lingue strane o piantagione verde, di che colore è il mio sangue rosso? il mio sangue ha paura della morte della frusta della notte il mio sangue ha paura di metu mi domandi amico mio dove sono stato durante il mio lungo silenzio sono stato sulle navi negriere che barattarono il mio destino fino all’America fino ad oggi bevvero le mie leggende come si beve un barile di rum marcitobarattarono ogni stella del cielo e del mare infinito ogni uccello ogni piuma della mia coccarda e disegnarono mappe col mio sangue ed eressero totem sulla mia tribù e misero il fuoco ai campi sacri del mio popolo e le loro lance mi spaccarono le vene in continenti distanti diversitu mi domandi amico mio dove sono stato durante il mio lungo silenzio sono stato per le spume di mari mai solcati per dove vennero la polvere da sparo la baionetta lo specchio la tubercolosi la sifilide per dove vennero la spada e l’elmo – le nubi non lo scorderanno mai!o mare salato, quanto del tuo sale sono genocidi di Portogallo! nell’Atlantico nero nei casseri di poppa delle vecchie navi pirata nelle carceri della crudeltà umana nelle prigioni della Sierra Leone – che ancora fanno male in qualche piega del mio corpo in Angola nella Guinea-Bissau nel Senegal nel Benin sono stato nel regno del Guatemala e nella provincia di Yucatán e nella provincia di Cartagena delle Indie e nei grandi regni e grande provincia del Perù e nel nuovo regno di Granada e nelle isole di Cuba e Trinidad e nel regno degli Aztechi dove spade di brutalità fendettero il mio corpo nudo dove i cani da caccia dei baroni delle Indie si nutrivano delle braccia e delle gambe di bambini indifesi tu mi chiedi dove sono stato amico mio e solo ora posso rompere il mio silenzio sono stato con me.
TZAR
é colossal a espera por tudo pelo mar que o poente esconde e desenha pelos braços mansos do brancor da praia da espuma pelo perfume das alfazemas pelos prados e pelas violetas pela dama sonhada com suas mãos de lírios e seus braços de jasmim perfumados pelo frio da noite escura é imortal o tzar do tempo como um samurai escondido no invisível sobrevoando nossos cadáveres frágeis vocabulários escorrem de sua boca em forma de regatos e montanhas em nossas almas dói a dor de ser e estar em nossas almas nada cala nem acalenta e depois de tudo nos acena um estranho nada por detrás das coisas enquanto isso sente os amanheceres e o vento e o ouro que o verão semeia na paisagem e as palavras de março anunciando folhas verdes sente a água escura dos rios da floresta fluindo sobre a areia branca sente o que há de terno meu irmão Porque é colossal a espera pelo homem
ZAR
è colossale, l’attesa per tutto per il mare che il tramonto nasconde e disegna per le braccia molli del biancore della spiaggia della spuma per il profumo della lavanda per i prati e per le viole per la dama sognata con le sue mani di giglio e le braccia di gelsomino profumate dal freddo della notte scura è immortale lo zar del tempo come un samurai nascosto nell’invisibile che sorvola i nostri cadaveri fragili vocabolari gli scorrono dalla bocca in guisa di ruscelli e montagne nelle nostre anime fa male il dolore di essere e stare nelle nostre anime niente tace o acquieta e dopotutto ci fa cenno uno strano niente da dietro le cose nel frattempo senti questo le albe e il vento e l’oro che l’estate semina sul paesaggio e le parole di marzo annunciare foglie verdi senti l’acqua scura dei fiumi della foresta scorrere sulla sabbia bianca senti la tenerezza che esiste fratello mio Perché è colossale l’attesa per l’uomo
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“Visita medica” e “Pastiche” sono tratti da Signore e signori: l’alba! (1997); “Cosmogonie” e “Storia del soprannaturale” da Nell’accampamento delle ombre (2001). Le restanti liriche provengono da Elegia al Nuovo Mondo (2012).
Traduzione dal portoghese di Giorgio Mobili
NARLAN MATOS (Itaquara, Bahia, Brasile 1975) è uno dei più celebrati poeti contemporanei in Brasile. A soli 21 anni pubblica la sua prima raccolta poetica: Senhoras e senhores, o amanhecer! (Signore e signori: l’aurora!, Fundação Casa de Jorge Amado, 1997), che ottiene il premio della Fondazione Jorge Amado. La sua seconda raccolta, No acampamento das sombras (Nell’accampamento delle ombre, Cone Sul, 2001), vince il premio nazionale XEROX per la Letteratura Brasiliana. Nel 2002 Narlan Matos partecipa, come ospite del dipartimento di stato, all’International Writing Program della University of Iowa, negli Stati Uniti, e durante il suo soggiorno dà conferenze in varie università americane.
La sua poesia ottiene l’attenzione di poeti leggendari come Yevgeny Yevtushenko, Robert Creeley, Lawrence Ferlinghetti and Tomaz Salamun. Il suo terzo libro di poesie, Elegia ao Novo Mundo (Elegia al Nuovo Mondo) pubblicato dalla rinomata 7 Letras, viene tradotto in molte lingue e selezionato come una delle migliori opere poetiche del 2012. Viene anche nominato per il prestigioso premio internazionale Portugal/Telecom.
Narlan Matos partecipa attivamente a diversi programmi di letteratura negli Stati Uniti, e ha recentemente ottenuto un PhD in letteratura brasiliana alla University of Illinois di Urbana Champaign. Attualmente insegna al Montgomery College di Washington D.C.
Per ulteriori informazioni, si invita a visitare il suo sito web: www.narlanmatos.com
giorgiomobili@hotmail.com
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