FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 35
luglio/settembre 2014

Soste & Percorsi

 

L'ANGOLO DI ED

a cura di Giuseppe Ierolli


Un cammino senza filo


J240-F262

Ah, Moon - and Star!
You are very far -
But were no one
Farther than you -
Do you think I'd stop
For a Firmament -
Or a Cubit - or so?

I could borrow a Bonnet
Of the Lark -
And a Chamois' Silver Boot -
And a stirrup of an Antelope -
And be with you - tonight!

But, Moon, and Star,
Though you're very far -
There is one - farther than you -
He - is more than a firmament - from me -
So I can never go!

    Ah, Luna - e Stella!
Siete molto lontane -
Ma se nessuno fosse
Più lontano di voi -
Credete che mi bloccherei
Per un Firmamento -
O un Cubito - o altro?

Potrei prendere il Berretto
Dell'Allodola -
E gli Stivali Argentei di un Camoscio -
E la staffa di un'Antilope -
E sarei con voi - stanotte!

Ma, Luna, e Stella,
Benché siate molto lontane -
C'è qualcuno - più lontano di voi -
Egli - è a più di un firmamento - da me -
Così non potrò mai andarci!

Il protagonista della poesia è nominato direttamente solo nel penultimo verso: l'amato lontano e irraggiungibile, al di là di qualsiasi distanza, anche di quelle apparentemente così remote della luna e delle stelle.

 

J344-F376

'Twas the old - road - through pain -
That unfrequented - One -
With many a turn - and thorn -
That stops - at Heaven -

This - was the Town - she passed -
There - where she - rested - last -
Then - stepped more fast -
The little tracks - close prest -
Then - not so swift -
Slow - slow - as feet did weary - grow -
Then - stopped - no other track!

Wait! Look! Her little Book -
The leaf - at love - turned back -
Her very Hat -
And this worn shoe just fits the track -
Herself - though - fled!

Another bed - a short one -
Women make - tonight -
In Chambers bright -
Too out of sight - though -
For our hoarse Good Night -
To touch her Head!

    Era la vecchia - strada - attraverso la pena -
Quella - poco battuta -
Con molte svolte - e spine -
Che termina - in Cielo -

Questa - fu la Città - che ella attraversò -
Là - dove - si riposò - alla fine -
Poi - s'incamminò più veloce -
Le piccole impronte - fittamente impresse -
Poi - non così rapida -
Lenta - lenta - come piedi stancamente - cresciuti -
Poi - si fermò - niente più traccia!

Aspetta! Guarda! Il suo piccolo Libro -
La pagina - all'amore - riaperta -
Proprio il suo Cappello -
E questa scarpa che portava si adatta all'impronta -
Sebbene - lei - sia fuggita!

Un altro letto - uno più corto -
Prepararono le donne - questa sera -
In Stanze luminose -
Troppo fuori di vista - tuttavia -
Perché la nostra fioca Buona Notte -
Raggiunga il suo Capo!

Il racconto di un avviarsi verso la morte, verso un luogo invisibile e misterioso, irraggiungibile dalla nostra "buona notte" ma pervaso dalla luce dell'immortalità, dove basterà un giaciglio minimo per accogliere un'anima incorporea che non occupa spazio.

 

J500-F370

Within my Garden, rides a Bird
Upon a single Wheel -
Whose spokes a dizzy music make
As 'twere a travelling Mill -

He never stops, but slackens
Above the Ripest Rose -
Partakes without alighting
And praises as he goes,

Till every spice is tasted -
And then his Fairy Gig
Reels in remoter atmospheres -
And I rejoin my Dog,

And He and I, perplex us
If positive, 'twere we -
Or bore the Garden in the Brain
This Curiosity -

But He, the best Logician,
Refers my clumsy eye -
To just vibrating Blossoms!
An Exquisite Reply!

    Nel mio Giardino, si muove un Uccello
Su una singola Ruota -
I cui raggi producono una musica vertiginosa
Come fosse un Mulino volante -

Non si ferma mai, ma rallenta
Sulla Rosa più Matura -
Assaggia senza posarsi
E apprezza mentre procede,

Finché ogni spezia è gustata -
E allora la sua Trottola Fatata
Rotea in remote atmosfere -
Ed io raggiungo il mio Cane,

E Lui ed io, ci chiediamo
Se sia stato reale, quel che ci apparve -
O creata dal Giardino della Mente
Questa Stranezza -

Ma Egli, migliore nella Logica,
Indirizza il mio occhio maldestro -
Ai Fiori che vibrano davvero!
Un'Impeccabile Risposta!

È appena un colibrì, un piccolo uccello che svolazza ronzando nel giardino, sorvola qualche fiore e, senza posarsi, assaggia qua e là, apprezzando le leccornie che trova al suo passaggio. Ma per ED diventa un essere quasi soprannaturale, impalpabile. Quando scompare ci si chiede se sia vero di averlo visto. Ma l'occhio "logico" del cane, che non si fa distrarre dalla fantasia, rivela subito la prova tangibile del passaggio.

 

J510-F355

It was not Death, for I stood up,
And all the Dead, lie down -
It was not Night, for all the Bells
Put out their Tongues, for Noon.

It was not Frost, for on my Flesh
I felt Siroccos - crawl -
Nor Fire - for just my marble feet
Could keep a Chancel, cool -

And yet, it tasted, like them all,
The Figures I have seen
Set orderly, for Burial,
Reminded me, of mine -

As if my life were shaven,
And fitted to a frame,
And could not breathe without a key,
And 'twas like Midnight, some -

When everything that ticked - has stopped -
And Space stares all around -
Or Grisly frosts - first Autumn morns,
Repeal the Beating Ground -

But, most, like Chaos - Stopless - cool -
Without a Chance, or Spar -
Or even a Report of Land -
To justify - Despair.

    Non era la Morte, perché ero diritta,
E tutti i Morti, giacciono distesi -
Non era la Notte, perché tutte le Campane
Sfoderavano i loro Batacchi, per il Mezzodì.

Non era il Gelo, perché sulla Carne
Sentivo Scirocchi - strisciare -
Né il Fuoco - perché da soli i miei piedi di marmo
Avrebbero mantenuto un Presbiterio, fresco -

Eppure, sapeva, di tutto questo,
Le Figure che avevo visto
Composte, per la Sepoltura,
Mi ricordavano, la mia -

Come se la mia vita fosse stata piallata,
E incastrata in una cornice,
E non potessi respirare senza una chiave,
Ed era un po', come a Mezzanotte -

Quando tutto ciò che ticchetta - si è fermato -
E lo Spazio guarda fisso tutt'intorno -
O geli Orribili - i primi mattini d'Autunno,
Si appropriano del Suolo Palpitante -

Ma, più di tutto, come il Caos - Incessante - freddo -
Senza una Possibilità, o un Pennone -
O almeno un Annuncio di Terra -
A giustificare - la Disperazione.

Un momento d'angoscia, di svuotamento dell'anima, di gelo interiore, fissato sulla carta con immagini, quasi delle istantanee, che cercano di descriverne la natura. Come quasi sempre nelle poesie di ED si inizia in medias res, senza nominare l'oggetto della poesia. Nei primi otto versi, quattro no, quattro descrizioni, fulminee e immaginifiche, di ciò che "non" è ciò di cui stiamo parlando. Non è la morte (io sono ben diritta in piedi, i morti sono distesi), non è la notte (le campane suonano a distesa il mezzogiorno), non è il gelo (sento i caldi venti di scirocco che strisciano sulla carne), e non è nemmeno il fuoco, perché i miei piedi di marmo potrebbero da soli rinfrescare l'intero spazio di un presbiterio. E poi, finiti i "non" ecco che passiamo a ciò che invece può ricordare, può somigliare a quello che proviamo. La composta fissità dei morti, così simile a questa gelida costrizione che sentiamo dentro, come se fossimo stati a forza incastrati in una cornice, e solo una chiave che ci liberi potrebbe permetterci di respirare. L'immagine della mezzanotte (il momento del buio contrapposto al solare mezzogiorno) che fa cessare ogni vita, quasi arriva a fermare il tempo (ogni cosa che ticchetta) o le prime gelate d'autunno, tremende perché sorprendono il suolo ancora palpitante di vita ("Repeal" significa letteralmente "abrogare" "cancellare qualcosa che esisteva prima" - qui il significato è "cancellare la vita dal suolo" e mi è sembrato corretto renderlo con "appropriarsi"). Poi c'è l'ultima strofa, con quel "most" che sottolinea la similitudine più vera: il caos, incessante, freddo (nel senso di insensibile, indifferente), dove non esistono possibilità di salvezza, pennoni che aiutino chi naviga in questo mare infido e incomprensibile, e nemmeno un accenno di terra che possa almeno giustificare la disperazione di rendersi conto di non riuscire ad arrivarci. Nemmeno questo, nemmeno la disperazione è concessa, in un caos dove non c'è posto per l'uomo.
Poesia che chiude tutte le porte, persino quelle, tremende ma umane, della disperazione.

 

J585-F383

I like to see it lap the Miles -
And lick the Valleys up -
And stop to feed itself at Tanks -
And then - prodigious step

Around a Pile of Mountains -
And supercilious peer
In Shanties - by the sides of Roads -
And then a Quarry pare

To fit it's sides
And crawl between
Complaining all the while
In horrid - hooting stanza -
Then chase itself down Hill -

And neigh like Boanerges -
Then - punctual as - a Star
Stop - docile and omnipotent
At it's own stable door -

    Mi piace vederlo divorare le Miglia -
E inghiottire le Valli -
E fermarsi a mangiare alle Cisterne -
E poi - in prodigiosa andatura

Intorno a Mucchi di Montagne -
E altezzoso dare un'occhiata
Nelle Casupole - a fianco delle Strade -
E poi tagliarsi Gallerie

Adatte ai suoi fianchi
E strisciarvi in mezzo
Lagnandosi nel frattempo
In orrida - urlante strofa -
Poi precipitarsi giù per la Collina -

E nitrire come Boanerges -
Poi - puntuale come - una Stella
Fermarsi - docile e onnipotente
Alla porta della sua scuderia -

Divertito omaggio di ED ad una creatura del padre: il treno, paragonato a un cavallo selvaggio che scorrazza per monti e valli, che nel 1853, grazie agli sforzi di Edward Dickinson, arrivò ad Amherst nella stazione costruita a fianco di Main Street, a poca distanza dalla Homestead, dove i Dickinson sarebbero tornati nel 1855 dopo i quindici anni passati nella casa di North Pleasant Street.
Nei primi due versi ED usa due verbi: "lap" e "lick up", che in uno dei significati del Webster sono considerati sinonimi: To lap: "to take into the mouth with the tongue; to lick up", a sua volta to lick up è definito: "to devour; to consume entirely". Ho tradotto "lap" con "divorare" (visto che anche in italiano si dice "divorare i chilometri") e "lick up" con "inghiottire", quasi che il treno faccia un sol boccone della valli che attraversa.
Al verso 14 "Boanerges" è riferito a Marco 3,16-17: "Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerges, cioè figli del tuono".
Al verso 15 ho scelto la variante "punctual as" al posto di "prompter than" ("più esatto di").

 

J712-F749

Because I could not stop for Death -
He kindly stopped for me -
The Carriage held but just Ourselves -
And Immortality.

We slowly drove - He knew no haste
And I had put away
My labor and my leisure too,
For His Civility -

We passed the School, where Children strove
At Recess - in the Ring -
We passed the Fields of Gazing Grain -
We passed the Setting Sun -

Or rather - He passed Us -
The Dews drew quivering and Chill -
For only Gossamer, my Gown -
My Tippet - only Tulle -

We paused before a House that seemed
A Swelling of the Ground -
The Roof was scarcely visible -
The Cornice - in the Ground -

Since then - 'tis Centuries - and yet
Feels shorter than the Day
I first surmised the Horses' Heads
Were toward Eternity -

    Poiché non potevo fermarmi per la Morte -
Lei gentilmente si fermò per me -
La Carrozza non portava che Noi Due -
E l'Immortalità -

Procedemmo lentamente - non aveva fretta
Ed io avevo messo via
Il mio lavoro e il mio tempo libero anche,
Per la Sua Cortesia -

Oltrepassammo la Scuola, dove i Bambini si battevano
Nell'Intervallo - in Cerchio -
Oltrepassammo Campi di Grano che ci Fissava -
Oltrepassammo il Sole Calante -

O piuttosto - Lui oltrepassò Noi -
La Rugiada si posò rabbrividente e Gelida -
Perché solo di Garza, la mia Veste -
La mia Stola - solo Tulle -

Sostammo davanti a una Casa che sembrava
Un Rigonfiamento del Terreno -
Il Tetto era a malapena visibile -
Il Cornicione - nel Terreno -

Da allora - sono Secoli - eppure
Li avverto più brevi del Giorno
In cui da subito intuii che le Teste dei Cavalli
Andavano verso l'Eternità -

È una delle poesie più famose di ED, presente in quasi tutte le antologie italiane. Una sorta di racconto molto concreto della propria morte, uno svolgersi dei fatti che dà una sensazione di familiarità, con appena un accenno a nostalgici ricordi (i bambini a scuola, il grano nei campi) e a un senso di gelo concretizzato nella rugiada che scende sul corpo vestito di garza e tulle.
La morte è gentile, ma comunque decisa a rispettare i suoi appuntamenti. Non scegliamo noi di fermarci, di interrompere la nostra vita, ma è lei che arriva, si ferma alla nostra porta e non ha bisogno di imporsi con la forza, perché sa di essere inevitabile. E l'ultimo viaggio si fa in solitudine, noi, la morte, e quel mistero insondabile che è l'eternità.
Il percorso è lento: la morte, messaggera dell'eternità, non ha certo fretta. Il senso di lentezza è ulteriormente accentuato nella terza e quarta strofa: i bambini nell'intervallo, i campi di grano, il tramonto, la rugiada notturna, danno la sensazione di un percorso che si snoda nell'arco di un'intera giornata, quasi un rivivere la propria vita nel momento in cui finisce.
Nella penultima strofa eccoci arrivati. La casa che abiteremo sembra un rigonfiamento del terreno, da dove sporge solo il cornicione del tetto. I secoli che passeranno saranno ormai senza tempo, brevissimi in confronto a quel lungo giorno in cui capimmo subito che quel viaggio apparentemente familiare era quello che ci portava verso l'eternità.
Un interessante commento della poesia è nel libro di Cynthia Griffin Wolff (Emily Dickinson, Perseus Books, Reading MA, 1988, pagg. 274-276) che, fra le altre cose, fa notare i tre "we passed" della terza strofa, che accentuano il carattere di lento ma dinamico movimento dell'inizio, seguiti nel primo verso della strofa seguente da "He passed Us", un capovolgimento che blocca l'azione e ci porta verso il "We paused" della penultima strofa.

 

J761-F484

From Blank to Blank -
A Threadless Way
I pushed Mechanic feet -
To stop - or perish - or advance -
Alike indifferent -

If end I gained
It ends beyond
Indefinite disclosed -
I shut my eyes - and groped as well
'Twas lighter - to be Blind -

    Da Vuoto a Vuoto -
In un Cammino senza Filo
Spingevo piedi Meccanici -
Fermarmi - o perire - o avanzare -
Del tutto indifferente -

Se una fine raggiunsi
Essa finisce prima
Dell'indefinito dischiuso -
Chiusi gli occhi - e brancolavo talmente
Che sarebbe stato più lieve - essere Ciechi -

Un cammino senza meta, senza un filo conduttore. Può essere quello della vita, o della conoscenza che non riesce mai ad arrivare all'"indefinito dischiuso". I nostri passi sono meccanici, un aggettivo che esclude la consapevolezza, e si aggirano in un vuoto senza speranza, che è inizio e fine. La mancanza di qualsiasi punto di riferimento rende inutile la scelta: fermarsi, perire o avanzare non ha nessuna importanza. Possiamo talvolta raggiungere quella che sembra la fine del percorso, ma è una fine che è sempre lontana dalla soluzione del mistero, e perciò ancora una volta priva di significato. Possiamo soltanto chiudere gli occhi davanti al mistero, rifiutarci di vederlo; forse così , se riuscissimo a percorrerlo con la consapevolezza di non poter sapere, il nostro cammino potrebbe diventare più lieve, perché non appesantito dalla nostra voglia di sapere.
La poesia è ampiamente commentata da Harold Bloom nel saggio dedicato a ED nel Canone occidentale (Bompiani, Milano, 2000, traduzione di Francesco Saba Sardi, pagg. 261-276).
Al verso 7 "beyond" è normalmente tradotto con "oltre, al di là", e così lo interpreta anche Bloom, che dà a questa parola il senso di "una fine che finisce al di là di qualsiasi cosa". Cercando nel Webster ho trovato un significato diverso di "beyond": "Before; at a place not yet reached" ("Prima, o anche davanti, a qualcosa non ancora raggiunto"). Proprio quel "reached" mi ha attratto, perché nel verso precedente ED usa "gained" (che significa anche "raggiunto", oltre a "guadagnato, vinto, ottenuto") e nel manoscritto indica anche la variante "reached", quasi a precisare l'esatta interpretazione di "gained", usando lo stesso verbo della definizione del Webster. Così ho scelto di tradurre con "prima", un'interpretazione meno metafisica di quella di Bloom, ma che mi sembra più chiara nel contesto della poesia. Come sempre non è escluso, anzi è molto probabile, che ED abbia sfruttato questa ambiguità per arricchire ulteriormente i suoi versi.

 


Le poesie di Emily Dickinson non hanno un titolo, a parte rarissime eccezioni. I numeri che le precedono si riferiscono alla numerazione attribuita nelle due edizioni critiche, curate rispettivamente da Thomas H. Johnson nel 1955 ("J") e da R. W. Franklin nel 1998 ("F").


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