FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 35
luglio/settembre 2014

Soste & Percorsi

 

IL VERO NOME DELLE COSE
Sul libro di poesia di Alessio Brandolini
Nello sguardo del lupo

di Francesco Tarquini



Nello sguardo del lupo intitola Alessio Brandolini il suo ultimo libro di poesia, pubblicato all’inizio di quest’anno da La Vita Felice. “Libro di poesia” e non “raccolta poetica”, perché il modo di procedere di Brandolini non consiste nel raccogliere di volta in volta in volume i suoi testi migliori, ma di seguire la via che gli viene tracciata da un piccolo nucleo originario che si va poi sviluppando e ramificando in una apparenza di auto-generazione in cui ogni nuovo testo mette in discussione tutti gli altri, sottoposti a un infaticabile lavoro di revisione e anche di riscrittura. Come del resto avviene in tutti gli altri libri di questo poeta, il cui intento di fondo è sempre quello espresso anni fa: “Tendere a un pensiero calmo e puro” (Poesie della terra, 2004). Di questo intento Nello sguardo del lupo sembra a me la più completa e convincente realizzazione.

I nostri antenati più lontani si sono ritratti con terrore davanti al fascino inquietante del lupo. La loro immaginazione ha fatto di questo splendido animale una potente rappresentazione della paura, evocata proprio da quegli occhi luminosi che sfondano d’improvviso la notte. Così il lupo ha costituito nei secoli il simbolo della malvagità.
Indagini scientifiche ancora nella fase iniziale ci raccontano che, già capace da giovane di seguire la traiettoria dello sguardo degli altri animali, nella maturità il lupo arriva a leggere negli occhi dell’uomo: vale a dire a incrociarne lo sguardo, come Daniel Pennac ha mirabilmente messo in scena in un suo racconto. Il lupo “vede” l’uomo, e riesce a vederlo “dentro” lo sguardo, così come vede dentro la notte.

Uno degli aspetti per me più coinvolgenti della poesia di Alessio Brandolini è non da oggi la sua innata, forse non consapevole e certo non programmatica apertura al mondo delle immagini primarie, degli archetipi. Quando, interpellato su questo suo libro, dice con semplicità: “Provo a immergermi nello sguardo del lupo, a scrutare, coi suoi occhi, l’insondabile”, non si riferisce al lupo dei terrori ancestrali. Il lupo di Brandolini è un animale reso sottilmente acuto e sagace dal rifiuto e dall’isolamento del quale è tradizionale vittima. Nel momento in cui si accosta a lui fino all’identificazione – “Mi scorgo nel corpo del lupo” –, il poeta assume, consapevole o no, l’altra faccia del mito: l’aspetto totemico del lupo come portatore di luce. L’immagine incarnata della distruzione e della morte si inverte in figura solare, illuminandosi nel momento in cui esce dalla caverna come la luce esce dall’ombra. Questo è il senso simbolico del suo “vedere la notte”: il lupo è portatore di una conoscenza che viene dall’ombra. Ed è solo affrontando la paura dell’ombra, e attraversandola tutta, che si può cercare la conoscenza: “La luce viene dal buio, non c’è conflitto / senza l’incontro”.

Nel segno del lupo, dunque, un lupo “disarmato” al punto di poter essere “sbranato dall’agnello”, Alessio Brandolini intraprende la sua visionaria avventura introspettiva. All’interno della quale “Nello sguardo del lupo” vuol dire che il poeta è nello sguardo del lupo, oggetto del suo sguardo; e al tempo stesso che guarda attraverso quello sguardo. Forti e marcati sono gli indicatori della metamorfosi: “Mi scorgo nel corpo del lupo”, “ti incontro nella purezza del lupo”, “ritrarsi nella pelle del lupo per conoscere / e spaventarsi”.
In definitiva, come scrive ancora Brandolini, “essere un altro per percepirsi a fondo”.

Ma non è soltanto una più completa percezione di sé quella che il poeta-lupo vuole attingere. Scriveva Novalis: “ogni discesa in se stessi è allo stesso tempo assunzione alla realtà esterna”. Il sé si sdoppia nell’altro da sé, fra io e tu, fra un io e un io distaccato che chiama da un altro pianeta; la realtà interiore del poeta viene allora assunta all’esterno, nel riconoscimento dell’evanescenza delle percezioni, dello spaesamento degli esseri umani, della loro irriducibile incertezza, dell’eterno binomio vita/morte col suo carico di dolore. E dunque nella coscienza di quel “dolore universale” che il Romanticismo tedesco definì con una parola di più ampia e inquieta portata semantica, solo parzialmente traducibile: Weltschmerz, che in Italia il solo Leopardi sa esprimere nella stessa accezione. È in questo contesto che prendono tutto il loro senso i vari aspetti evocati dal poeta, il passato, l’infanzia, memorie, oggetti, volti, animali, eventi anche minimi che cambiano la sua percezione del mondo rivelando verità nascoste sotto l’opacità dell’apparenza.

Come è stato più volte osservato e come affermato dallo stesso Brandolini in conversazioni e interviste, due linee attraversano la sua poesia, una che tende allo strappo, alla lacerazione, l’altra a pacificare, a ricucire. Se pure la volontà di lacerazione, che lo accosta a Tevere in fiamme del 2008, sembra prevalere in Nello sguardo del lupo, l’altra linea, più calma e lirica, è evidente nella prima sezione del libro, e affiora poi più volte richiamando l’opera immediatamente precedente, Il fiume nel mare (2010).
A mio avviso queste due linee convergono forse più di quanto lo stesso autore riconosca. Nonostante infatti egli tenga a sottolineare la ripartizione del libro in sette sezioni, in esso prevale, al di là delle sfumature e differenze di tono e di struttura tra una sezione e l’altra, una pur complessa unitarietà; il cui asse è costituito dal linguaggio, che affronta il bosco intricato dei fenomeni, “Filo senz’ago né matassa”, con una volontà conoscitiva che può esprimersi in accenti diversi, ma è sempre e comunque quella ostinata volontà che nello sguardo del lupo trova il suo strumento.
E come il poeta si fa lupo, per penetrare in quel bosco il linguaggio “si fa bosco”. Si attorce come un albero e oscilla al vento e alla pioggia e si ramifica mimetizzandosi in una compatta architettura figurale – ideale materia di analisi formale – e in un intreccio di poesia e prosa che prosa non è, fino a toccare la soglia dell’oscurità e a oltrepassarla.

Sì, bisogna dirlo, Nello sguardo del lupo è un libro difficile. A prima vista, oscuro. Di un’oscurità dalla quale però, già a prima vista, emergono folgoranti accensioni. “Mezzanotte sotto il paese, un rovescio / del tempo nella stella cadente”. “Ho visto la luce / ferirsi sui tetti, le rondini schiantarsi sui muri”. “Dondola la notte e nel fruscio si torna ad essere / ciò che non si è mai stati, barche calme in attesa / di precipitare nel mare in tempesta”. “Il passato è la parte celata / della luna…. Il passato è un luogo d’alberi / impiccati, d’un vento senza strade”. “Anche non volendo la palude ci si adagia dentro. / Posate sulla tovaglia religiosa, pesci nelle tasche / aghi nell’occhio e la luna che raglia”. “Chiamo da un altro pianeta: stelle frenano il ritorno / incerto su questo me che non conosco”.
L’oscurità di questo libro è solo apparente: è semmai uno spingere, spintonare la lingua fino a un estremismo espressionista che vuole contrapporsi allo stato di imbalsamazione delle parole. È dunque un’oscurità ben lontana da quell’ermetismo aristocratico che da Mallarmé si proietta su tanta poesia del XX secolo. Ed è altrettanto lontana da intenzioni orfiche. Non ha la pretesa di vivere di per sé, ma esige di essere decifrata, e invoca lo sguardo del lettore. Un lettore consapevole, insieme al poeta, che come scrive Montale “Tendono alla chiarità le cose oscure”.

Dietro la veste ermetica Brandolini è infatti alla ricerca della chiarezza del linguaggio: ritrovare la chiarezza perduta nell’intrico della perdita di significato, così come la chiarezza dei sentimenti, dei rapporti, del pensiero, del passato e del presente e del futuro. Una chiarezza che qua e là si manifesta in forma assertiva: “In base a dove si sta si è quel che si può: staccarsi / dal verminaio, aprirsi alle ferite, alle costellazioni”; “se raschi trovi nell’altro / l’altrove”; e ancora: “l’esatto nome / delle cose e dell’io resta sepolto sotto lo sguardo”, richiamando versi dello sloveno Kajetan Kovič, posti a esergo del libro: “Devi essere aperto / come una ferita, / perché il vero nome delle cose / è nascosto”. Versi ai quali Brandolini sembra far eco nel bellissimo testo “Un cereo giallo negli occhi”: “l’idea dello sguardo del lupo aperto come una ferita”.

Non si tratta però di premesse “filosofiche”, di punti saldi, certezze da cui partire, ma piuttosto ipotesi provvisorie, a rischio, che il poeta va formulando per se stesso nel corso del suo itinerario di conoscenza. Se Nello sguardo del lupo può essere sommariamente definito come un passaggio dal buio alla luce attraverso la poesia, si tratta appunto di un viaggio in continuo movimento senza un porto di arrivo. “La poesia non è la forma che salva / persino se la trovi ovunque: ferisce, lascia isolati / davanti al male, alla via obbligata”. Il lupo dunque è sempre una specie minacciata. Ma al poeta non resta altra scelta, gli tocca in sorte una via obbligata: “Nello sguardo del lupo calmo proseguo a quattro zampe”.


Alessio Brandolini, Nello sguardo del lupo, La Vita Felice, 2014, collana “Le voci italiane”, pagine 96, euro 13.




SEI POESIE DI ALESSIO BRANDOLINI
da Nello sguardo del lupo


Insetti e voci

Mi odi perché ti somiglio o per quello che dico?
Le mani non afferrano le voci, già in altri luoghi:
cronometrare le forze, usarle contro il nemico.
L’odore della corteccia dei noci snida l’energia
dei bulbi. Le ossa tintinnano, strappano schegge
alla lingua. Inchiodato al palo un cane abbaia
lodi al carnefice. Hai fatto bene a farmi colare
a picco in storie che non avrei mai compreso.
Lumache seminano il traguardo che lievita sotto
i piedi, s’alimenta a piume la cupola di Sant’Ivo.

Scoprire le cause di questa ronzante compagnia
si parla con mosche, api e zanzare, ci si spintona
dentro se stessi. Si progettano fughe, incursioni:
le cose da fare certo non mancano, già questo è
un effetto. Si lamenta l’erba recisa, reclama
una tomba tutta sua, il fuoco la converte in fungo
in fasi di vita. Non dirmi che lo avresti desiderato
c’è il futuro da ricomporre, una via da scortare
verso zone illese. Nuoto tra delfini e granchi
gli insetti hanno ali luminose dai riflessi cristallini.

a Jole Tognelli, in memoria


*

Mi scorgo nel corpo del lupo
nel tabacco fumato, nella coda
del cane dal soffice pelo, avanzo
tra i resti dei templi, sul bordo
del cerchio spezzato. Girovagando
in pozzi: in uno c’è il nero, in altri
la pace del caos, il boato del silenzio.
Lisciando il fuoco che gesto ci salva?

Passi all’indietro tra stelle annoiate
e statue che parlano al gelo: l’altro
al di là dell’altrove a mani nude
ha preso il tuo posto, una corsa e sei
nel giardino, ai bulbi gratti la muffa.
Fanno il solletico le parole dei fiori
ed evolvendosi nel labirinto
invitano ad estrarre le spine dal collo.


*

a Jolka Milič

Un cereo giallo negli occhi, gli altri tacevano così
i fratelli amati come assi portanti del proprio corpo
il cielo stremato e una figlia che parte per Berlino.
La paura lo colse nudo nel falò degli arbusti, poi
sotto la doccia l’enigma d’un volto sconosciuto.
Colpito dall’inattesa mutazione dei sentimenti
percepì una fucilata, un vento polare scopriva
il tetto della casa, senza compagnia se non quella
dello sgombro, disfa le valigie: dentro non c’è nulla.

Le cicatrici sono occhi sul mondo, danno all’aria
alle sbarre di luce un saldo respiro. Al mattino
la testa smarrita, vortici di braccia e la fontana
coi lecci giganteschi. Gioire è l’abbraccio
del cosmo, la poesia non è la forma che salva
persino se la trovi ovunque: ferisce, lascia isolati
davanti al male, alla via obbligata. Tra le crepe
guizzano lucertole, tracciano segni, traduzioni:
l’idea dello sguardo del lupo aperto come una ferita.


*

Ti spiavo nella luce chiara e tagliente che ti appartiene.
Avevi strisce di brina negli occhi e i semi delle parole
insolite ma preziose: di grano e d’azzurro o il verde che amo.
Avrei voluto di più dall’incontro ma il buono non è concesso
bisogna vivere di quel poco e non pretendere altro, né troppo:
che importa se poi si viene esiliati dai propri sogni e desideri?

Si torna comunque a sperare in giorni
non in conflitto con se stessi, né con il mondo
in calmi movimenti, senza vittime né eroi
a strappare le ortiche cresciute nella casa
nelle strade e nei sentieri che conducono al paese.


*

La lingua concede spazi improvvisi, il paragone
semmai è con la gabbia, la polvere, il sudore
estivo. La febbre alta per via della steppa, le mani
impigliate nell’ortica, le rose sfiorite: l’infanzia
non dura nella traccia, fosse così nel porto
dei rottami non volteggerebbe colui che innalza
solidissimi vascelli per solcare il mare in burrasca.

Non difendo l’anonimato della parola. Infatti
questa pietra è la pietra che resta a rollare nell’aria.
Ora le gambe si distendono nell’acqua del Tirreno
sono una festa (e non una farsa) le onde di velluto.
La notte scrive da sola una storia di lupi affannati
di volti senza sguardo né nome. Intanto i molari
tritano il recinto, aprono un varco nel campo incolto.

Il dolore non uccide se nello specchio c’è quello che dialoga con i lupi. un bambino già adulto calcola i soldi guadagnati: orrore nell’errore. non c’erano regole ma contavo su un minimo di buon senso: l’erba bruciata cova la rabbia di guerre non combattute. al telefono non ascolti, se potessi saltare il fosso ci sarebbero altri ostacoli. non sono un cliente facile, m’imbestialisco per un nonnulla. è ora di farsi un regalo, di riprendersi nell’atto di fuggire in un paesaggio greco. vorrei essere un padre di quelli che i figli non prendono a bastonate, pensando a loro le immagini balzano dallo schermo e spalancano spazi inesplorati.


*

Il calore viene dalla terra, la scossa dal timore
di cadere. Giorni senza pensare sotto il castagno
dal cielo le gocce necessarie e bacche per cena.
La malattia del licantropo se ne andrà negli occhi
conficcati nella pietra: siate voi stessi non quelli
che cercano chi sono. Batto i sentieri con passo
da felino e crollano frasi, si erge lo scoglio tra noi e
l’attimo. Tanti modi per non raggiungere l’obiettivo:
scene atipiche, ululati, la vocalizzazione del passato.

Chiamo da un altro pianeta: stelle frenano il ritorno
incerto su questo me che non conosco, lo critichi
e fai bene perché spaventa essere un altro.
L’idea di fornire una lista di tutti gli orrori e lavorare
al placcaggio del mostro, è quindi urgente sciogliere
il filo che lega all’istante del parto. Nelle altre stanze
il sole divora libri e quaderni, il manuale della guerra
campestre: insetti elogiano gli avanzi, stipano macerie.

Nello sguardo del lupo calmo proseguo a quattro zampe.





Alessio Brandolini
è nato nel 1958 a Frascati e ha trascorso i suoi primi vent’anni a Monte Còmpatri. Vive a Roma, dove si è laureato in Lettere moderne.
Ha pubblicato le raccolte poetiche: L’alba a piazza Navona (in 7 poeti del Premio Montale, 1992); Divisori orientali (2002, Premio Alfonso Gatto - Opera prima); Poesie della terra (2004, poi anche in spagnolo Poemas de la tierra); Il male inconsapevole (2005); Mappe colombiane (2007); Tevere in fiamme (2008, Premio Sandro Penna); Il fiume nel mare (2010, Finalista Premio Camaiore) e Nello sguardo del lupo (2014). Sui testi sono stati tradotti in diverse lingue e pubblicati su riviste italiane e straniere. Nel 2009 è stata pubblicata in Costa Rica un’antologia poetica (traduzione di Martha Canfield).
Nel 2013 è uscito il libro di racconti Un bosco nel muro (Empirìa).
Traduce dallo spagnolo e dal 2006 coordina «Fili d’aquilone», rivista web di «immagini, idee e Poesia». Nel 2011 ha fondato la casa editrice Edizioni Fili d’Aquilone.


tarquini.francesco@fastwebnet.it