FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 31
luglio/settembre 2013

Amori & Distacchi

 

SULL’ORLO DELL’ABISSO, SULL’ORLO DELL’AMORE
La poesia di Vojka Smiljanić-Đikić

di Ginevra Pugliese e Sanja Roić



Chi legge per la prima volta le poesie della poetessa sarajevese Vojka Smiljanić-Đikić avrebbe forse bisogno di qualche spiegazione. Il suo fiero nome Vojka tradotto in italiano sarebbe Guerriera, ma il lettore dei suoi versi si accorge subito che lei è una donna balcanica, di mondo e pacifista. Nel Libro dei morti Smiljanić non tace i crimini del passato nella storia della propria famiglia d’origine, ma non per odiare o gridare vendetta: nel turbine della storia essi sono scomparsi, le fotografie, i loro volti, vestiti, portamento e i loro nomi tracciano la via che porta a lei, Vojka. La sua peculiare intelligenza emotiva le permette di costruire un elenco poetico e genealogico allo stesso tempo, fatto di nomi femminili e maschili ognuno dei quali è un omen, un segno indelebile che rispecchia la microstoria familiare e la storia balcanica che di quei nomi si è più o meno impietosamente appropriata.

Đikić è il cognome del marito Osman: se talvolta dai cognomi non è subito possibile decifrare l’appartenenza etnica degli autori balcanici, nella generazione di Vojka lo si scopre facilmente dai nomi: il marito veniva infatti da una famiglia bosniaca di religione islamica. Anche in questa sua scelta Vojka è stata all’avanguardia nella sua generazione. Finlandia e Algeria dove hanno vissuto insieme hanno ampliato la loro geografia, già in partenza ampia e aperta nei confronti dell’altro. Sia le scelte di vita che le scelte di mestiere – Vojka è romanista, il mondo mediterraneo fa parte della sua patria intellettuale e poetica, ed è anche traduttrice di Marguerite Yourcenar – contribuiscono al suo ritratto.

La sua poesia parla spesso dei sogni di collegare la costa adriatica e il suo entroterra: ad esempio, la libertaria Dubrovnik e l’idilliaca Trebinje oltre i ripidi monti sassosi, o il sogno di una vita libera sull’amena e boscosa isola di Korčula oppure, semplicemente, il senso di libertà che si addice a una metropoli come Belgrado. Ma essi vengono infranti uno dopo l’altro, perché c’è sempre qualcuno che le nega la cittadinanza, che sentenzia impietosamente la sua inappartenenza.
A differenza di questi “guardiani” della presunta purezza etnica Vojka è sempre generosa: non condanna, non si lamenta e non è nemmeno amara, la sua generosità è naturale. Le sue poesie spesso portano dediche, o invitano a sedersi a tavola e condividere cibo o bevande emanando un senso di pacato vitalismo quotidiano. Dice Vojka in un’intervista: «Inconsapevolmente ho introdotto il cibo nella mia poesia. La guerra è finita nel 1996, io sono rimasta senza marito, senza casa, senza amici, senza patria…», e ha cominciato a cucinare per le persone a cui voleva bene. Poi si è messa a ricostruire il proprio mondo nella sua città.

La sua scrittura fa parte di questa quotidianità, essa si alterna alla lettura o agli atti più semplici ma non meno importanti: la preparazione del cibo, come il pesto o la marmellata di frutti di corniolo, secondo le antiche ricette delle sue progenitrici. Anche la vastità del paesaggio sconfinato, dell’orizzonte marino o di altri paesaggi del suo vissuto trovano il loro contrappunto nello spazio casalingo, nella delimitazione della casa. L’immancabile avvertimento e l’angoscia della solitudine, del posto vuoto delle persone care si placa nella sua capacità di scoprire e intrattenere nuovi interlocutori, spesso nei sogni: il vento che irrompe nella casa e che scompiglia tutto, la corrente d’aria che si appropria delle case vuote e abbandonate o nella comunicazione con la civetta (e qui ci viene in mente il chiù dell’assiuolo di Giovanni Pascoli) che nella lingua di Vojka mantiene la rotonda “u”, ma la priva dell’accento finale, e allungando quella “u” echeggia il nome della poetessa: Vuuujka, Vuuujka…

Non è un caso che la poesia Ho smesso di scrivere, dedicata all’amico poeta e concittadino Marko Vešović, si chiuda con la speranza di poter “tradurre” il Mediterraneo al Settentrione (un’altra fonte del suo immaginario poetico) e superare, quindi, i limiti del verbale, necessariamente espresso in una delle lingue. I limiti della traduzione e dell’interpretazione potrebbero così essere superati da una “poesia non scritta”, che è un’altra generosa proposta di questa poetessa.




POESIE DI VOJKA SMILJANIĆ-ĐIKIĆ
Scelta dei testi e traduzione dal serbo
di Ginevra Pugliese


KNJIGA MRTVIH SMILJANIĆA U SARAJEVU

Kada je umrla moja poslednja sarajevska tetka
                            lepotica
Nasledila sam nešto skupocenog porculana
                            i brdo fotografija
Više nema nikoga ko bi mi rekao
Ko su ti momci u velikim crnim šeširima
I vitke devojke na sarajevskim ulicama
Jedva prepoznajem jednog mladog ujaka
                            na dubrovačkim kapijama
Među slikama krhka knjižica boje duvana:
«ČITULJA SMILJANIĆA U SARAJEVU»
Nikad nisam videla tu knjigu
Niti je iko pominjao njeno postojanje
O smrti se ne govori među vaspitanim svetom
                            «ne budi neukusna»
Kaže moj sin kada pomenem smrt
Polako gotovo sa nelagodom otvaram
Knjigu mrtvih što liči na pergament
Nižu se imena mrtvih Smiljanića
I ni jedno mi ne znači ništa
Poslednje koje je upisao moj deda svojim
Lepim rukopisom koji smo svi nasledili je

                     KOVILJKA
Iz mraka godina i sećanja izranja priča o
                     KOVILJKI
Žena jednog od sinova umrla od tuberkuloze
                            lepotica
Taj isti sin posle će se još jednom oženiti
                            lepom devojkom
Koju neće ubiti tuberkuloza
                            nego Luburić
Videla sam na nekoj ploči žrtava fašizma
                            njeno ime
A onda lepim dedinim rukopisom:
Marko
Lazo
Đuro
Borislav
Špiro
Jesu li bili sinovi, braća očevi
                            nema traga
Čudo kao da žene u Smiljanića nisu
                            umirale
A onda na drugoj strani:

Stevo
Jeka
Dimšo
Sofija
Risto
Pero
Znala sam priču o Petru
Bio je sveštenik i udavio se u
                            Drini
I evo me kao Pimen
Sedim i zapisujem u knjigu mrtvih
One koje sam znala
Jesam li ja poslednji pisar Smiljanića
Smiljanić Rade moj deda umro je u maju 1945.
Pošto je Sarajevo oslobođeno
(Visok, prav u štraftastim pantalonama
i crnom redengotu sa leptir mašnom i kragnom
poput ledenice. Najlepši u lepom plemenu Smiljanića)
Sedam dana posle njega će moja baba
                            Darinka Zec
/Ja konj preživela Osmana deset godina/
                            Sinovi moga dede su umirali ovim redom:
Uglješa 1942. u Jasenovcu – klavir, Prag
Vaso 1967. u Beogradu – orgulje, harmonium čelo
                            Gete Šiler i Mokranjčevo opelo
Rakija, to je poznato
Ali njegova majka ne bi volela da se to pominje
Ostavimo zasada rakiju po strani
Dušan 1973. u Sarajevu – (u kome je sazidao sve lepe kuće)
                            Prag zauvek, Prag večita ljubav
                            Znam da je svirao neki instrument
                            ali koji ne sećam se
Uroš 1973. takođe u Sarajevu
Sveto 1991. – U Beogradu violina, Prag, ali najvažnija priča za nas je
                            bila da je u HOTEL EVROPI pobedio
                            na simultanci Aljehina

Držim da su sretni, nisu videli ovaj rat
Valjda su im dva prethodna bila dovoljna
Kćeri moga dede moje tetke
                            upisujem njihova imena: Milena, Nata, Mara
(to je ona od koje sam nasledila knjigu mrtvih Smiljanića)
Nasledila sam od te tetke i kuću
Ali ta kuća je sada u drugoj državi
Nemam snage da tražim da mi ta država vrati kuću
Uostalom ovo i jeste doba u kome niko nikome
                            ništa ne vraća

Zajedno sa mrtvim
Jer ni mrtve ta država ne vraća

A zatim su počeli da umiru mladi Smiljanići:
Prvo Rade, sin Vasin – bas, gitara – rakija takođe
Pa Ranko, sin Dušanov – flauta, kada nije gradio crkve – rakija takođe
Dobro je govorila baba Darinka
U svakom Smiljaniću čuči po jedan Ciganin
U jednoj ruci ćemane
                            u drugoj čokanj
Pitala sam čuvenog zagrebačkog profesora Hudolina
Šta je to sa Smiljanićima i rakijom
Je li to nasledno?
( pošto sam jednog od njih vodila na lečenje posle pokušaja ubistva
Lečenje nije uspelo ali mislim da ni o tome ne treba govoriti)

Još jedan je živ od tih unuka moga dede
(On svira klavir
I lep je i prav je, i visok je na dedu)
Ali neću pominjati njegovo ime
Da ne opomene zle Duhove
Njegovo ime neće biti zapisano mojom rukom
U knjigu mrtvih Smiljanića

                            Da umrem?
Kome ću predati ovaj Pergament
Sa dušama Smiljanića
Ko će upisati moje ime
Da li da svojom rukom
Kao što sam upisala njihova imena
                            upišem svoje
I opomenem sebe
Da je vreme
Ili žene u Smiljanića
                            ne umiru


IL LIBRO DEI MORTI SMILJANIĆ A SARAJEVO

Quando morì la mia ultima zia di Sarajevo
                            una bellezza
Ereditai un po’ di porcellana preziosa
                            e una montagna di fotografie
Non c’è più nessuno a dirmi
Chi sono quei giovanotti con grandi cappelli neri
E le snelle ragazze sulle vie di Sarajevo
A stento riconosco un giovane zio
                            sulle porte di Dubrovnik

Tra le immagini un fragile libriccino color tabacco:
«REGISTRO DEGLI SMILJANIĆ DI SARAJEVO»
Mai avevo visto quel libro
Né alcuno aveva menzionato la sua esistenza
Della morte non si parla tra la gente per bene
                            «non essere di cattivo gusto»
Dice mio figlio quando menziono la morte
Piano quasi con imbarazzo apro
Il libro dei morti che sembra pergamena
Si elencano i nomi dei defunti Smiljanić
E nessuno mi dice niente
L’ultimo che mio nonno ha registrato con la sua
Bella calligrafia che tutti abbiamo ereditato è

                     KOVILJKA
Dal buio degli anni e della memoria riaffiora la storia di
                     KOVILJKA
La moglie di uno dei figli morta di tubercolosi
                            una bellezza
Quello stesso figlio poi si sarebbe risposato
                            con una bella ragazza
Che la tubercolosi non avrebbe ucciso
                            ma Luburić
Ho visto in una lapide delle vittime del fascismo
                            il suo nome
E poi con la bella calligrafia del nonno:
Marko
Lazo
Đuro
Borislav
Špiro
Se erano figli, fratelli, padri
                            non c’è traccia
Strano che le donne degli Smiljanić non
                            morissero
E poi sull’altra pagina:

Stevo
Jeka
Dimšo
Sofija
Risto
Pero
Conoscevo la storia di Petar
Era un sacerdote e affogò nella
                            Drina
Ed eccomi come Pimene
Siedo e annoto nel libro dei morti
Quelli che conoscevo
Sono forse io l’ultimo scrivano degli Smiljanić
Smiljanić Rade mio nonno morì nel maggio 1945
Dopo la liberazione di Sarajevo
(Alto, dritto nei pantaloni a righe
e la lunga giacca nera con il farfallino e il colletto
come un ghiacciolo. Il più bello nella bella stirpe degli Smiljanić)
Sette giorni dopo di lui toccò a mia nonna
                            Darinka Zec
/Io stupida sono sopravvissuta a Osman dieci anni/
                            I figli di mio nonno morirono in quest’ordine:
Uglješa 1942 a Jasenovac – pianoforte, Praga
Vaso 1967 a Belgrado – organo, harmonium violoncello
                            Goethe Schiller e l’Opelo di Mokranjac
La grappa, questo è risaputo
Ma sua madre non vorrebbe che ciò si menzionasse
Lasciamo da parte per ora la grappa
Dušan 1973 a Sarajevo – (dove aveva costruito tutte case belle)
                            Praga per sempre, Praga l’eterno amore
                            So che suonava qualche strumento
                            ma quale non me lo ricordo
Uroš 1973 anche lui a Sarajevo
Sveto 1991 – A Belgrado violino, Praga, ma la storia più importante per noi era
                            che all’HOTEL EUROPA aveva battuto
                            Aljehin in una simultanea

Ritengo che sono fortunati, non hanno visto questa guerra
Forse le due precedenti bastavano per loro
Le figlie di mio nonno le mie zie
                            iscrivo i loro nomi: Milena, Nata, Mara
(da lei ho ereditato il libro dei morti Smiljanić)
Ho ereditato da quella zia anche la casa
Ma quella casa ora si trova in un altro Stato
Non ho la forza di farmi restituire da quello Stato la casa
Del resto siamo anche in un’epoca in cui nessuno
                            restituisce niente a nessuno

Insieme ai morti
Perché neanche i morti quello Stato restituisce

E poi hanno cominciato a morire i giovani Smiljanić:
Prima Rade, il figlio di Vasa – basso, chitarra – la grappa pure
Poi Ranko, figlio di Dušan – flauto, quando non costruiva chiese – la grappa pure
Diceva bene la nonna Darinka
In ogni Smiljanić si nasconde uno zingaro
In una mano il violino
                            nell’altra il bicchierino
Chiesi all’illustre professore zagabrese Hudolin
Cosa attira gli Smiljanić alla grappa
È ereditario?
(poiché avevo portato in cura uno di loro dopo un tentativo di suicidio
La cura non è riuscita ma penso che nemmeno di questo bisogna parlare)

Ancora uno è vivo di quei nipoti di mio nonno
(Lui suona il pianoforte
Ed è bello e dritto, e alto come il nonno)
Ma non farò il suo nome
Per non ammonire gli Spiriti malvagi
Il suo nome non verrà annotato di mio pugno
Nel libro dei morti Smiljanić

                            Se muoio?
A chi consegnerò questa Pergamena
Con le anime degli Smiljanić
Chi iscriverà il mio nome
Forse potrei di mio pugno
Come ho iscritto i loro nomi
                            iscrivere il mio
E ammonire me stessa
Che è giunto il tempo
O le donne degli Smiljanić
                            non muoiono


HAUZMAJSTORKA VERA

                                   Za Mileta Stojića

Verovali smo da ćemo kada ostarimo
   otići u Trebinje
Iznajmili potkrovlje ili staru kamenu kuću
I svako bogovetno jutro
Silaziti u Dubrovnik
Pijuckati vino i meriti vreme
Dubrovačkim zvonicima
Predveče kada se vratimo u Trebinje
   umorni od svetlosti
Naložiti vatru i jesti sir iz mjeha
   sa crnom pogačom
Ali osiromašili smo
A i nema nas više
Sama da odem u Trebinje
Iako sam njine vere rekli bi da nisam
   prava
Kao što je hauzmajstorka Vera u Beogradu
Kada su dolazili da traže Smiljaniće
govorila
To su oni Turci iz trećeg sprata
I zato odlučim da starim
   na Korčuli
Iznajmim staru kamenu kuću
Napunim je maslinovim uljem i travama
Zasadim devet leha graha
I započnem tu sanjanu starost
Naokolo mirni susedi
I uvek isti i leti i zimi
Laki miris nagorelog drveta
I prevrelog grožđa iz starih konoba
Sve je bilo lepo dok jedan mirni sused
Nije stao pred mene
I crven u licu od pravednog
   gneva
   rekao:
Nije ti ovo tvoja Bosna
Hrvatska je ovo
Zakonita zemlja


LA PORTINAIA VERA

                                   Per Mile Stojić

Credevamo che una volta diventati vecchi
   saremmo andati a Trebinje
Avremmo preso in affitto una mansarda o un’antica casa di pietra
E ogni benedetta mattina
Saremmo scesi a Dubrovnik
A sorseggiare vino e a misurare il tempo
Dei campanili ragusei
Verso sera saremmo tornati a Trebinje
   stanchi della luce
Avremmo acceso il fuoco e mangiato il sir iz mjeha (*)
   con la focaccia nera
Ma siamo diventati poveri
E inoltre non ci siamo più
Da sola andare a Trebinje
Anche se della loro stessa religione direbbero che non sono
   pura
Come la portinaia Vera a Belgrado
Quando venivano a cercare gli Smiljanić
   diceva
Sono quei turchi del terzo piano
E per questo ho deciso di invecchiare
   a Curzola
Ho preso in affitto una vecchia casa di pietra
L’ho riempita di olio d’oliva e piante aromatiche
Ci ho piantato nove filari di fagioli
E ho cominciato la sognata vecchiaia
Intorno vicini tranquilli
Gli stessi d’estate e d’inverno
Il lieve profumo di legna bruciata
E di uva passita dalle vecchie cantine
Tutto andava bene finché un tranquillo vicino
Non mi si è parato davanti
E rosso in faccia di giustificata
   rabbia
   ha detto:
Questa non è la tua Bosnia
Questa è legittima
Terra croata

(*) Il “formaggio nel sacco” specialità erzegovese, formaggio conservato nella pelle di pecora.


ISTI SAN

                       Za MY

Na dva kraja sveta
isti san
tvoj i moj
a pripada nekom trećem
ili mi stojimo
pred zatvorenom kapijom
čiji su ključevi izgubljeni.

Treba pristati na drugi jezik
poći u neko drugo vreme
drugu zemlju.

Treba pristati na samoću
smrt majke
odlazak dece
odsustvo prijatelja
nesigurnost ljubavi
i zastrašujuću usamljenost
SNOVA
naseljenih utvarama
i arhanđelima –
što pripadaju nekom trećem.


LO STESSO SOGNO

                       Per MY

Alle due estremità del mondo
lo stesso sogno
il tuo e il mio
e appartiene a qualcun altro
oppure ci troviamo
davanti al portone chiuso
le cui chiavi sono andate perse.

Bisogna accettare un’altra lingua
andarsene in un altro tempo
in un’altra terra.

Bisogna accettare la solitudine
la morte della madre
la partenza dei figli
l’assenza degli amici
l’incertezza dell’amore
e la solitudine spaventosa
DEI SOGNI
popolati di fantasmi
e arcangeli –
che appartengono a qualcun altro.


KUĆA

U hladnoj kući sedim i
plačem
Kako smo se rugali našim majkama
kada su plakale bez razloga
Ustajem u četiri
Ponekad u pet
Ledena kuća se ježi
i reži
I ništa ne može da je ugreje
Zalud kafa i prepečen kruh
Veliki crni mačak koji prede
Kao ratna bubnjara
Leti je lakše
Možeš sići u vrt obrezati ruže
Tako je rečeno
Ali sada nema spasa
Kuća mi se ledeno ruga u lice
Gledamo se
I ja ćutim i ona ćuti
Odmeravamo snage
Koja će prva pokleknuti


LA CASA

Nella casa fredda sto seduta e
piango
Come deridevamo le nostre madri
quando piangevano senza motivo
Mi alzo alle quattro
Talvolta alle cinque
La casa ghiacciata ha la pelle d’oca
e ringhia
Niente la può scaldare
Invano il caffè e il pane tostato
Il grande gatto nero che fa le fusa
Come un tam tam di guerra
D’estate è più facile
Puoi scendere in giardino potare le rose
Così vien detto
Ma ora non c’è scampo
La casa gelidamente mi ride in faccia
Ci guardiamo
Io taccio e anche lei tace
Misuriamo le forze
Quale di noi si piegherà per prima


REČI KOJE SU PLAKALE

Posle večere sam htela
da sednem pored tebe
Da te uzmem za ruku, (možda da je poljubim)
Da ti kažem da si voljeniji od
Boga
Umesto toga
Uzela sam knjigu koju neću čitati
I popela se na sprat u svoju prazninu
Odjednom
Vetar
Čula sam kako u prizemlju lupa kapcima i prozorima
Raznosi slike ćilime knjige jastuke
Iz kojih je letelo perje na sve strane
zajedno sa listovima poderanih knjiga
A onda je dohvatio
Tešku Altovu pepeljaru i porculanskog goluba
iz Arabije i tresnuo ih o kameni pod
Usisao je krv iz naših vena
Polomio nam kosti iščupao jezike zajedno sa neizgovorenim
rečima
Veličanstven Haos
Odjedanput poput hirovite žene
zalupio je vratima
I bila je noć
A ispod prozora: VINOGRADI, VINOGRADI, VINOGRADI
a u daljini MORE


LE PAROLE CHE PIANGEVANO

Dopo cena volevo
Sedermi accanto a te
Prenderti la mano, (magari baciarla)
Dirti che sei più amato
Di Dio
Invece
Ho preso un libro che non avrei letto
E sono salita al piano di sopra nel mio vuoto
A un tratto
Il vento
Sentivo che nel piano sottostante sbatteva le imposte e le finestre
Sparpagliava i quadri i tappeti i libri i cuscini
Da cui volavano le piume ovunque
insieme ai fogli dei libri stropicciati
E poi ha afferrato
Il pesante portacenere di Aalto e la colomba di porcellana
dell’Arabia e li ha scagliati sul pavimento di pietra
ha succhiato il sangue dalle nostre vene
Ci ha spezzato le ossa strappato la lingua insieme alle parole
non dette
Il Caos Magnifico
All’improvviso come una donna capricciosa
Ha sbattuto la porta
Ed era notte
E sotto la finestra: VIGNETI, VIGNETI, VIGNETI
e in lontananza il MARE


KAKO TO ČINE DUHOVI

Nedostaješ mi
Izgovara to šapatom na pragu bivšeg doma
Čovek bespomoćno spuštenih ruku niz telo
Stoji bled i umoran
Kao da nije spavao od postanka sveta
Gleda je kao neispitan ponor
Porebarke, kako to čine duhovi, da je ne bi dotakao
Ulazi u dom pun nepotrebnih ljudi
I tako celu večnost
Na ivici ponora
Na ivici ljubavi
Porebarke, kako to čine duhovi, prolazimo
                 jedni pored drugih
Da ne bismo poremetili
Ravnotežu čestica prašine
Na aprilskom suncu


COME FANNO GLI SPIRITI

Mi manchi
Lo pronuncia con un sussurro sulla soglia della ex casa
Un uomo sconsolato con le braccia abbandonate lungo il corpo
Sta fermo pallido e stanco
Come se non avesse dormito dall’origine del mondo
La guarda come un abisso inesplorato
Di fianco, come fanno gli spiriti, per non toccarla
Entra nella dimora piena di gente inutile
E così per l’intera eternità
Sull’orlo dell’abisso
Sull’orlo dell’amore
Di fianco, come fanno gli spiriti, passiamo
                 gli uni accanto agli altri
Per non disturbare
L’equilibrio delle particelle di polvere
Al sole d’aprile


SAN

Jedna niska kamena kuća
priljubljena uz travnjak.

Prozori uokvireni u crveno.
Velika drvena veranda. U magli.

A u prozoru dragi lik.
Pokušavam da uđem u kuću koju, iz daljine,
već godinama, volim.

I ne uspevam.

Odmah tu, kroz zeleni šumarak,
jedna staza me odvodi, daleko,
                              u zelenilo.

Znam svaki kut ovog kraja iz sna,
svaku travku.
Dodirnula sam rukom svaki kamen.
Samo je lice, u prozoru, ostalo neuhvatljivo
kao da je od magle.

Kada izađem u zelenilo polja,
uvek tražim kuću.
Ona mora da je negde skrivena.
Ali uzalud,
nalazim je samo iza sklopljenih kapaka.
Tada mi je dobro.

Nekada pokušavam da uđem u kuću
i da zagrlim lice u prozoru.
Češće, mahnem mu rukom, ili mu poklonim osmeh,
i odem svojom stazom, kroz maglu.


IL SOGNO

Una bassa casa in pietra
Aderente al prato.

Le finestre incorniciate di rosso.
Una grande veranda in legno. Nella nebbia.

E alla finestra la cara persona.
Cerco di entrare nella casa che, da lontano,
Già da anni, amo.

E non ci riesco.

Subito qui, attraverso il verde boschetto,
Un sentiero mi porta via, lontano,
                              nel verde.

Conosco ogni angolo di questo luogo del sogno,
ogni filo d’erba.
Ho toccato con la mano ogni sasso.
Solamente il volto, alla finestra, è rimasto inafferrabile
come se fosse di nebbia.

Quando esco dal verde dei campi,
cerco sempre la casa.
Deve essere da qualche parte nascosta.
Ma invano,
la trovo solo dietro le pepebre chiuse.
Allora sto bene.

A volte cerco di entrare nella casa
e di abbracciare il volto alla finestra.
Più spesso, la saluto con la mano, o le regalo un sorriso,
E vado per la mia strada, attraverso la nebbia.


PRESTALA SAM DA PIŠEM

                           Marku Vešoviću

Potpuno sam prestala da pišem
Ali stalno idem u šume
        ponekad na More
I uglavnom s njima razgovaram
        o poeziji
To više volim
Jer o poeziji najlakše se govori
        sa morem
Nipošto
Sa stručnjacima
Oni zapravo malo znaju o poeziji
(Postoji jedan koji zna sve
Ali i njega sam prestala da viđam
A i kad ga vidim uglavnom mu objašnjavam
Kako se kuva petao u vinu.
Kao da i on to više voli)

Izgleda da to sa poezijom nije uvek najsretnije

Jer šta je poezija
To pitanje je retoričko
A evo šta mislim dok hodam
              šumama i vodama

Šuma jeste čista poezija
A zatim
Kameni krovovi promajnih napuštenih kuća
Što sjaje na mesečini
              a u daljini More
U toj kamenoj kući na bregu
Sa koga se vidi more
      pod punim mesecom
Videla sam poeziju
Dotakla njene bodlje

Možete li čvrsto sklopiti oči
I videti jasno tu sliku
Letnja noć
Pun mesec
Bela svetlost
Kamene kuće
Srebrena krljušt krovova

A potom
Huk Sove
Vujka VUJKA Vujka
              doziva me
I dolina ječi
I sjaji se i mre More
i na mesečini blistaju krovovi
koji kao kacige stražara
bdiju nad nenapisanim pesmama

Tako mislim o poeziji
Dok hodam šumama i vodama

A Tamo
Nagi bog voda i šuma!
Tako sličan tebi

Postaje nenapisana pesma
Koju će nekad neko
Tamo na Severu
Možda jednom razumeti...


HO SMESSO DI SCRIVERE

                           A Marko Vešović

Ho completamente smesso di scrivere
Ma vado sempre nei boschi
        talvolta al Mare
E in genere è con loro che parlo
        di poesia
È la cosa che mi piace di più
Perché della poesia è più facile parlare
        con il mare
E per niente
Con gli esperti
Essi in realtà sanno poco della poesia
(Ce n’è uno che sa tutto
Ma ho smesso di vedere anche lui
E quando lo vedo gli spiego piuttosto
Come si cucina il gallo al vino
Come se anche a lui questo piacesse di più)

A quanto pare non è mai facile parlare di poesia

Perché cos’è la poesia
Questa domanda è retorica
Ecco a cosa penso mentre passeggio
              tra i boschi e le acque

Il bosco sì che è pura poesia
E poi
I tetti di pietra delle case abbandonate piene di correnti d’aria
Che splendono al chiaro di luna
              e in lontananza il Mare
In quella casa di pietra sulla collina
Da cui si vede il mare
              sotto la luna piena
Ho visto la poesia
Ho toccato le sue spine

Potete chiudere forte gli occhi
E vedere chiaramente questa immagine
La notte estiva
La luna piena
Il bianco chiarore
Le case di pietra
Le scaglie argentate dei tetti

E poi
Lo stridere della civetta
Vujka VUJKA Vujka
              mi chiama
E la valle echeggia
E risplende e muore il Mare
e al chiaro di luna brillano i tetti
che come gli elmi delle guardie
vegliano sulle poesie non scritte

Così penso alla poesia
Mentre passeggio tra i boschi e le acque

Ma là
Il nudo dio delle acque e dei boschi!
Così simile a te

Diventa la poesia non scritta
Che qualcuno chissà quando
Là a Settentrione
Forse un giorno capirà...


JEDNOM JE SVE BILO
NIŠTA


Jednom je sve bilo
ništa
i ništa biće ponovo

ali
šta učiniti
šta sazidati
rukama i rečima
a šta ostaviti
vetrovima da raznesu


UN TEMPO TUTTO ERA
NIENTE

Un tempo tutto era
niente
e niente sarà di nuovo

ma
cosa fare
cosa costruire
con le mani e le parole
e cosa lasciare
sparpagliare ai venti


I testi sono tratti dalle raccolte Pepelnica (Le Ceneri, 1997), Prevođenje mora (La traduzione del mare, 2004) e Druga zemlja (Un altro paese, 2000). La poesia Il libro dei morti Smiljanić è uscita solo recentemente sulla rivista poetica di Zagabria “Poezija”, mentre le poesie Ho smesso di scrivere e Così fanno gli spiriti sono inedite.




Vojka Smiljanić-Đikić
è nata a Varcar Vakuf (oggi Mrkonjić grad) nella Bosnia centrale nel 1932. Dopo essersi laureata in romanistica all’Università di Belgrado si è trasferita a Sarajevo. Ha vissuto in Francia e a Londra, in Finlandia e in Algeria. Ha pubblicato cinque raccolte di poesie, curato un’antologia di poeti algerini e tradotto libri dal francese e dallo sloveno. È redattrice della rivista letteraria “Quaderni di Sarajevo” che esce dal 2001.

 


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