Nell’archivio della memoria sono depositati i ricordi di una vita, partendo dalla prima infanzia quando il luogo deputato ai ricordi ha iniziato a funzionare e ad essere attivo. Un luogo che accoglie emozioni, situazioni, avvenimenti, ma anche facce, corpi, immagini, suoni, profumi. Il primo romanzo di Claudio Giovanardi, Mamma ricordi, ricostruisce la storia di queste attività della memoria attraverso il recupero dei ricordi ingialliti dal tempo come una vecchia fotografia. Per parlare di questo romanzo ho incontrato Giovanardi e gli ho rivolto alcune domande per Fili d’aquilone.
Grazie e benvenuto. Un libro uscito da pochi giorni, Claudio. La copertina del volume ritrae una mamma con un bimbo mentre giocano sulla spiaggia in riva al mare, durante l’ora del tramonto. Il cielo si fonde e si confonde con la luce dorata del sole e con l’acqua. È una foto a colori, ingiallita dal tempo e dà la sensazione che venga da lontano come un ricordo che lentamente affiora dal passato, dai germogli della nostra primavera. Il titolo ci suggerisce il romanzo autobiografico. A bordo della macchina del tempo della poesia, hai compiuto un viaggio nel passato? Ci parli di questo primo romanzo?
Grazie a voi e ben trovati. Certamente lo spunto è autobiografico, ma non nel senso del racconto delle mie gesta (che peraltro non sarebbero così interessanti). Credo che il recupero di ricordi, emozioni, facce, situazioni, sia il modo che ho trovato per parlare di alcuni grandi temi esistenziali attraverso il filtro rappresentato da me stesso. C’è anche una parte fantastica, svincolata da fatti autobiografici, c’è un me stesso molto lontano nel tempo, che solo alla fine si ricollega all’intera vicenda. Voglio raccontare un aneddoto. Un mio amico, dopo aver letto il romanzo, mi ha mandato un sms che dice così: «Certo che sei proprio tirchio! Invece di pagarti lo psicanalista hai scritto un romanzo».
In parte ha ragione.
Letteratura e scrittura come terapia o percorso di purificazione. In fondo si scrive più quello che non si è vissuto attraverso esperienze, emozioni e situazioni che quanto concretamente realizzato. Se la vita si vive o si scrive, la letteratura si scrive perché non si è vissuta? Il romanzesco, in questo caso, è una realtà letteraria del tutto concreta.
Penso che la nostra vita, la vita di tutti, sia fatta più di ciò che non è accaduto che di ciò che è accaduto. E questo non accadere, spesso, è affidato ai dettagli: uno sguardo mancato, un passaggio a vuoto, una futile incomprensione. Ecco, attraverso la letteratura è possibile recuperare quello sguardo, ritrovare il passo, sanare le incomprensioni. In questo senso la realtà letteraria ha una sua autonomia rispetto alla realtà vera. La letteratura è spesso la nostra vita mancante, quella che , per un motivo qualsiasi, non abbiamo potuto o saputo vivere.
Mi vengono in mente due grandi scrittori del Novecento, Pirandello e Svevo che spesso hanno fuso e confuso l’arte con la vita, la letteratura (nel senso di scrittura caro a Roland Barthes) con il reale. In fondo possiamo ricordare il noto studio di Luciano Anceschi, Autonomia ed eteronomia dell’arte proprio per riflettere sulla fenomenologia delle poetiche e sul discorso che stiamo facendo.
Scrivi sul tuo romanzo: «in un colloquio ininterrotto con la madre, e anche con il padre, con lo zio visionario, con il nonno poeta, con i primi amori (la bambina del tennis, la ragazza dai capelli rossi), il protagonista ripercorre la propria infanzia e giovinezza con un continuo andirivieni emotivo da oggi a ieri e ritorno. C’è la zona della memoria, c’è un tuffo nella storia lontana, c’è soprattutto un viaggio negli affetti antichi, nelle emozioni più intime. Mamma ricordi è scritto come una partitura musicale, è un flusso del pensiero e del ricordo che vive di ritmo e lirica armonia».
Musica, ritmo, stream of consciousness, ricordi che affiorano e lirismo. Una volta Emerico Giachery, uno dei miei maestri, mi disse che Ungaretti, che aveva conosciuto personalmente, sosteneva che quando si prende in mano una penna per scrivere, anche inconsciamente, la letteratura che ci precede è sempre in vista. A quali modelli ti senti più legato culturalmente per questo romanzo lirico, se così possiamo definirlo? In questa nuova veste di romanziere ti presenti come scrittore di romanzi o come lirico puro ma nei panni del prosatore?
Potrei dire che un tipo di scrittura che mi è sempre stata congeniale è quella del grande Gesualdo Bufalino, che giudico un grandissimo poeta in prosa. Alcuni, leggendo il mio romanzo, mi hanno fatto il grande onore di paragonarmi a Céline. Francamente mi è difficile indicare maestri o punti di riferimento. Posso dire di aver sperimentato su di me ciò che i surrealisti chiamavano “scrittura automatica” e gli stilnovisti attribuivano alla dittatura di Amore. Mi sono sentito “agito” dalla scrittura; dovevo solo tenerle dietro, e lasciare che mi portasse a spasso tra ricordi, emozioni, frammenti, storie inventate. Alcuni mi hanno chiesto se quel tipo di scrittura lirica mi ha richiesto molto impegno. La mia risposta è: nessuno, nel senso che quel libro si è scritto da solo. O era così o non era.
Quanto al mio futuro come prosatore, mi è difficile rispondere. Sinceramente, scritto questo libro, avrei giurato che sarebbe rimasto il solo romanzo della mia carriera. Ma percepisco che così non è, qualche seguito ci sarà, anche se non necessariamente sulla falsariga di Mamma ricordi.
Vorrei aggiungere alla tua presentazione che forse c’è un altro ingrediente del romanzo che non è stato espresso: l’ironia. Non sono poche le parti in cui la vena ironica ha il sopravvento e serve a stemperare il clima fortemente emotivo del romanzo.
L’ironia e l’autoironia sono elementi caratteriali fondamentali nella vita, segno, secondo me, di intelligenza e di giusto distacco da certi momenti dell’esistenza che tendono ad essere eccessivi. Vanno, quindi “letti” attraverso il filtro ironico. Una sorta di lente a particolare spettro che permette di alleggerire carichi emotivi e situazioni anche drammatiche che la vita, ineluttabilmente ci pone. E se il referente della letteratura è il reale che vogliamo raccontare, l’ironia, allora, diventa fondamentale nella diegesi romanzesca. L’ironia che insaporisce le vicende narrate nel romanzo è una sorta di divertissement letterario? Con distacco e serenità è come se vita e finzione si fondessero e si confondessero rimodellando il reale?
L’ironia, e come tu giustamente aggiungi, l’autoironia sono sempre stati i fari che mi hanno ispirato e guidato nella vita. Mai prendersi troppo sul serio.
Nel romanzo anche i momenti più tragici sono spesso conditi con un filo di ironia. Per esempio quando racconto dei miei insuccessi amorosi, delle speranze mal riposte nelle vacanze, dei limiti assai più vicini di quanto generalmente si creda tra vero e falso, tra sublime e infernale, tra bellissimo e mostruoso. Tra le frasi che più ricorrono in Mamma ricordi ce n’è una che dice che i conti alla fine non tornano mai.
Meglio essere consapevoli di ciò, e allora anche le sconfitte e le batoste della vita ci appariranno sotto una luce diversa.
Un’ultima domanda sul tuo romanzo.
Il protagonista delle vicende narrate attraverso i ricordi, quindi mediante il filtro della poesia, vive un nostos nel senso classico del termine, dove il ritorno agli affetti di sempre rappresenta il traguardo e la meta da raggiungere, oppure è meglio leggerlo come recherche du temp perdu in senso proustiano? Senza dimenticare il filo sottile dell’ironia che infila le vicende dei personaggi in una vera e propria schidionata narrativa.
Avevo dentro di me un grumo emotivo legato a un momento particolare, legato alla malattia di mia madre anziana. Ho sentito che quello era il momento di fare i conti con me stesso (quei conti che non tornano mai).
Come ho già detto la forma in cui mi si è dipanato il romanzo è stata in un certo senso subìta. Nelle pagine finali del romanzo ho scritto una serie di congedi dalle figure che sono i protagonisti del mio racconto. L’ultimo congedo dedicato a me stesso: alla fine, in qualche modo, quel conto l’ho saldato.
Claudio Giovanardi, Mamma ricordi, Manni 2013, pp. 166, 15 euro
Claudio Giovanardi è nato a Roma, dove vive, nel 1954. Insegna Linguistica italiana presso l’Università Roma Tre. Ha pubblicato vari saggi in rivista e in volume (con Manni Inglese-Italiano 1 a 1, seconda edizione nel 2008). Mamma ricordi è il suo primo romanzo.
malomastro1@alice.it
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