FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 30
aprile/giugno 2013

Germogli

 

TOMÁS HARRIS, CIPANGO

di Martina Bortignon



Cipango (1992, seconda edizione 1996) di Tomás Harris erige, a partire dai margini della città di Concepción, nel sud del Cile della dittatura, una fantasmagoria dell’orrore e del desiderio. L’opera raccoglie una serie di testi pubblicati dall’autore nel decennio dell’ '80 che si strutturano in un tutto unitario, mantenendo come metafora di base il viaggio.

Si tratta di un viaggio che coincide, in un primo momento - le sezioni Zone di pericolo e La vita prende a volte la forma dei muri -, con l’addentrarsi percettivo e intellettivo del soggetto nelle viuzze del quartiere delle case di tolleranza e dei bar equivoci, alla ricerca tanto delle prove tangibili di una sopravvivenza personale - il sesso come scossa elettrica di vita - come degli indizi - i cadaveri di giovani prostitute assassinate, le striature di liquidi organici tramutati in scrittura semiotico-sintomatica - che rivelano quanto sta alle spalle della finzione promulgata dalla dittatura per celare la violenza: “el baldío”, la terra abbandonata e riarsa, il campo di sterminio. La tensione testimoniale, caratteristica di larga parte della letteratura del periodo, è qui convocata nella sua urgenza di indicazione deittica rispetto alla circostanza storica; tuttavia, lo specifico trattamento retorico, che svia in proliferazioni imprevedibili le bugie del regime, la distoglie dal ridursi a una denuncia di corto volo. Una vasta figurazione sorge e si inaugura a partire dall’incrociarsi del ricchissimo e variegato sostrato intertestuale, a tratti pedissequamente citato (Genet, Baudelaire, Lautrémont, Bataille, Ginsberg, i film di genere noir e dell’orrore, il Diario di Bordo di Cristoforo Colombo e le cronache coloniali, per citare solo alcuni riferimenti), con la ricreazione dell’illusione, del miraggio. Nelle sezioni seguenti - Diario di navigazione, L’ultimo viaggio -, infatti, l’erranza si tramuta nell’epopea di Colombo e dei primi sparuti drappelli di conquistadores, tanto disorientati quanto aggressivi, i quali si aggirano in città inumane che sembrano ora fiori carnivori dalla lentissima respirazione, ora set di film sugli zombies, alla ricerca di quell’oro che sempre si sottrae. La visione impietosa di una ciclicità nella violenza si trova così conferma nell’atto prevaricatore per eccellenza, la “scoperta” e la conquista sanguinosa che fondano, agli occhi europei, il territorio “americano”. Nell’ultima sezione - Cipango - il dispositivo retorico della distorsione e dell’allucinazione hanno libero corso, creando addirittura un doppio fantasmatico e autonomo rispetto alla realtà. Concepción, alle cui strade, bar e hotel la voce poetica tornava costantemente e ossessivamente nelle pagine precedenti, si tramuta ora in Tebe, Cathay, Tenochtitlan, Algeri, Cipango, o in un’adolescente dal nome che allude all’ossessione di fondo, Aurelia; la “relazione” non è più riferita da Colombo ai regnanti spagnoli ma da Marco Polo alla fantomatica figura del Can.

In questo delirante e potente affresco, si trovano coniugati in una tensione irrisolta e irrisolvibile tanto la coscienza della meschinità e della colpa umana come la vorace ricerca di un’utopia, di una tregua, di “un’oasi per fermarsi a respirare, ad ansimare”.




DIECI POESIE DI TOMÁS HARRIS
da Cipango



ZONAS DE PELIGRO

Así como largas y angostas fajas de barro
Así como largas y angostas fajas de noche
Así como largas y angostas fajas de musgo rojo
sobre la piel.

Las zonas de peligro son ininteligibles. O las
prefigura un rojo disco de metal,
símbolo de un sol mohoso al fondo de una calle desmembrada,
meado por los perros.

Las zonas de peligro son inevitables; te rodean
el cuerpo en silencio,
en silencio te lamen la oreja,
en secreto te revuelven el ojo,
sin el menor ruido te besan el culo
y los escasos letreros de neón ocultan su única identidad:
CAMPOS DE EXTERMINIO.


ZONE DI PERICOLO

Così come lunghe e anguste fasce di fango
Così come lunghe e anguste fasce di notte
Così come lunghe e anguste fasce di muschio rosso
sulla pelle.

Le zone di pericolo sono inintelligibili. O le
prefigura un rosso disco di metallo,
simbolo di un sole ammuffito in fondo a un vicolo smembrato,
pisciato dai cani.

Le zone di pericolo sono inevitabili; ti accerchiano
il corpo in silenzio,
in silenzio di leccano l’orecchio,
in segreto ti rigirano l’occhio,
senza il minimo rumore ti baciano il culo
e le scarse insegne al neon nascondono la loro unica identità:
CAMPI DI STERMINIO


OROMPELLO III

Como todo transcurría en Orompello estábamos protegidos
por la ficción; como en Goldfinger la habían pintado
de dorado, toda entera.
Yo creí que eran aros esos, pero eran prolongaciones de
sus lóbulos,
colinas orgánicas
como lágrimas.
El derrotero de su cuerpo llegaba al final,
al final del cemento,
al final del mismo crepúsculo
detenido en un instante orgánico
como el agua proliferando inmóvil en las charcas.
Y toda ella, Jaqueline dorada, reflejos y refracciones,
acumulando luz en su muerte desvaída de boleros
y acordeones,
trémula de casi nada, lo digo, tan sólo del espacio expuesto
de los baldíos.
FEROZ ACTO DE SODOMIA –dirá en los diarios–
pero juro que toda ella estaba dorada,
a brocha gorda,
y seguramente no dirán
que sus tetitas de perra joven
ahora caen como ubres de vaca vieja
en un desmoronamiento cutáneo como de tiempo
estancado y del color de la tierra
del color de los baldíos
del color de los desfloramientos clandestinos
del color de un cuerpo tachado
acá al Sureste de la ciudad
a la hora de la amenaza.


OROMPELLO III

Tutto succedeva ad Orompello, sicché eravamo protetti
dalla finzione; come in Goldfinger l’avevano dipinta
d’oro, da capo a piedi.
Io credetti di riconoscere degli orecchini, ma erano prolungamenti dei
suoi lobi, quelli,
colline organiche
come lacrime.
La rotta del suo corpo arrivava alla fine,
alla fine del cemento,
alla fine del crepuscolo stesso
trattenuto in un istante organico
come l’acqua che prolifera immobile nelle pozzanghere.
E lei tutta, Jaqueline dorata, riflessi e riverberi,
accumulava luce nella sua morte scialba di boleri
e acordeon,
tremula di quasi nulla, se non dello spazio esposto
della terra arsa.
FEROCE ATTO DI SODOMIA – diranno i giornali –
ma giuro che lei era dipinta tutta d’oro,
a colpi di pennellessa,
e sicuramente non diranno
che le sue tettine di cagna giovane
adesso pendono come mammelle di vacca vecchia
in un cedimento cutaneo come di tempo
che ristagna, color della terra
color della terra arsa
color degli stupri clandestini
color di un corpo cancellato
qui a Sud-Est della città
nell’ora della minaccia.


ZONAS DE PELIGRO

La retórica es el fragmento la parte el par
sin cara de tetas pegandote en la espalda en
el pasillo de la micro el liquen orgánico el
lirio vaginal el deseo escociéndote las he-
ridas las señales las marcas por aquí por
allí rojas
tu ojo    tu culo    tu idea    tus ganas
la retórica es el mito    los paraísos jamás
reencontrados por estos mismos adoquines ero-
sionados caminó Luciano Cruz por los 60
esta misma lluvia y no otra barrió hasta los
desagües las cenizas de Sebastián el inmolado
el mito    el fragmento    el desagüe    tu ojo o
tu culo    lo mismo    ayer    hoy    mañana pasará
o el poeta norteamericano Ginsberg leyó en este
miserable rincón sudamericano por los 60
escribí mucho allá visité Temuco y Ancud
viví    entre los botes   de los pescadores éramos
felices
dice una voz la parte del fragmento
el mito    el par    sin cara de tetas pegándose en
la espalda en el pasillo húmedo de la micro la
retórica es el fragmento la parte el otro
el tránsito bajo un sol mohoso que te espía
desde el fondo de una calle larga sin oasis
para detenerse a respirar jadear
el mito el fragmento la parte    tu ojo    tu
culo    tu idea    las puras ganas    lo mismo
                                               lo otro
esta página en blanco comenzada a manchar
la mancha roja sobre el puro blanco
al blanco sin intersticios para detenerse a
respirar                jadear
largas y angostas fajas de sangre
largas y angostas faja de semen
largas y a ngostas fajas de baba
largas y angostas fajas de lluvia
arrastrando las cenizas todas hasta los desagües
                                                los desagües.


ZONE DI PERICOLO

La retorica è il frammento la parte il paio
senza faccia di tette che ti premono la schiena nel
corridoio dell’autobus il lichene organico il
giglio vaginale la voglia che ti scortica le fe-
rite i segnali i segni sul corpo qui
lì rossi
il tuo occhio    il tuo culo    la tua idea    la tua voglia
la retorica è il mito    i paradisi mai
ritrovati su questo stesso acciottolato ero-
so camminò Luciano Cruz negli anni ’60
questa stessa pioggia non un’altra lavò via verso gli
scoli le ceneri di Sebastiano l’immolato
il mito    il frammento    lo scolo    il tuo occhio o
il tuo culo    lo stesso    ieri    oggi   domani succederà
o il poeta nordamericano Ginsberg che lesse in questo
miserabile angolo sudamericano negli anni ’60
ho scritto molto lì ho visitato Temuco e Ancud
ho vissuto    fra le barche   dei pescatori eravamo
felici
dice una voce la parte il frammento
il mito    il paio    senza faccia di tette che premono sulla
schiena nel corridoio umido dell’autobus la
retorica è il frammento la parte quest’altro
il traffico sotto un sole muffoso che ti spia
dal fondo di un vicolo lungo niente oasi
per fermarsi a respirare ansimare
il mito il frammento la parte    il tuo occhio    il tuo
culo    la tua idea    la voglia nuda    e questo
                                                    quest’altro
questa pagina in bianco che comincia a macchiarsi
la macchia rossa sul bianco, sul bianco
il bianco senza interstizi per fermarsi a
respirare        ansimare
lunghe e anguste fasce di sangue
lunghe e anguste fasce di seme
lunghe e anguste fasce di bava
lunghe e anguste fasce di pioggia
che trascinano le ceneri tutte le ceneri negli scoli
                                                     negli scoli.


HOTEL KING I
(GENET)

Una última bombilla ilumina los cristales, esta transparencia.
La muerte está atenta –me señalas:
vivo el ojo al charqui –y me sonríes.
Esta negra con un dedo en los labios incita al silencio
y en los muros, en los vértices resplandecen nuestros deseos.
Estamos en el Hotel King
en el centro mismo de las orgías de tu corazón.
Y ella es un solo ojo al fondo de una pieza larga.
El agua, afuera, esta inmóvil en las charcas.
Nuestros cuerpos se menean, pero apenas se nota para no
espantarla.
Ahora ella entra en escena.
Sus muslos son tibios y aguijan mis ijares.
Hago un esfuerzo para no dar coces y relinchar


HOTEL KING I
(GENET)

L’ultima lampadina illumina i vetri, questa trasparenza.
La morte sta attenta – mi indichi;
con l’occhio vispo – e mi sorridi.
Lei negra con un dito sulle labbra incita al silenzio
e sui muri, sui vertici risplende il desiderio.
Siamo all’Hotel King
al centro stesso delle orge del tuo cuore.
E lei è un unico occhio in fondo alla lunga stanza.
E l’acqua, fuori, è immobile nelle pozzanghere.
I nostri corpi si muovono su e giù, ma piano, per non
spaventarla.
Ora lei entra in scena.
Le sue cosce son tiepide e mi pungolano i fianchi.
Faccio uno sforzo per non sgroppare
e cacciare un nitrito.

da Zonas de peligroZone di pericolo


MAR DE LOS BESOS ROJOS

Y entrábamos en las desconcertantes urbes
destas desorientadas latitudes
y no dejamos hoyo fisura gruta caverna
sin desflorar
llanura
sin zanjar
espacio sin fundar
falda blusa calzón media
sin oler o besar
rojos
como si diéramos a unos corderos
metidos en sus apriscos
a corderas
amuralladas en sus falsas ciudades:
Bataille dixit la violencia es silencio
la violencia habla, silencio,
no sabemos bien,
pero nosotros hablamos con el espejo,
machete en mano,
verga en mano,
por el Poniente del Mundo,
todo en sueños nos era permitido como se había dicho
al rayar las albas rojas
desta historia
de sueños
pasión
y muerte
cuando fétidos y sifilíticos
nos daba en la imaginación corroída
un nuevo ritual,
otro,
incomprensible,
enfermo como estas ciudades donde transcurre
y todo para mirar, nada más,
sin llegar a comprender del todo.


MARE DEI BACI ROSSI

Ed entravamo nelle sconcertate città
di queste disorientate latitudini
e non ci fu buco fessura grotta caverna
che non violentassimo
pianura
che non affossassimo
luogo che non fondassimo
gonna camicia mutanda calza
che non annusassimo o baciassimo
rossi
come se aggredissimo agnelli
racchiusi nei loro ovili
agnelle
protette da mura nelle loro false città:
Bataille dixit la violenza è silenzio
la violenza parla, silenzio,
non lo sappiamo con certezza,
ma noi parlammo con lo specchio,
machete alla mano,
verga alla mano,
nel Ponente del Mondo,
tutto ci era permesso nei sogni come si era detto
quando si strisciarono le albe rosse
di questa storia
di sogni
passione
e morte
quando in noi, fetidi e sifilitici,
si affacciava nell’immaginazione corrosa
un nuovo rituale,
altro,
incomprensibile,
malato come queste città dove ciò accade
e tutto perché guardassimo, nulla più,
senza riuscire a comprendere del tutto.


MAR DEL SOL NACIENTE

          A Diego y Simón

Los ojos, como los
soles,
van adquiriendo su brillo,
su configuración definitiva,
a medida que el tiempo se aleja
de su nacimiento;
primero, dos uvas grises,
opacas,
que se van abrillantando poco a poco
desde sus extremos,
como si las alumbraran desde dentro;
después, la claridad que, no cabe
dada, ya es mirada.
El filo del amanecer en altamar
termina de explicarlo todo.
Después,
los esfuerzos inútiles, pero constantes
para que una nube de opio como la de Baudelaire
no los opaque prematuros, neonatos,
pegándoseles en el cerebro
de una vez para
siempre.


MARE DEL SOLE NASCENTE

          A Diego e Simón

Gli occhi, come i
soli,
vanno acquistando brillantezza,
la loro configurazione definitiva,
mano a mano che il tempo si allontana
dalla loro nascita;
dapprima, due chicchi d’uva grigi,
opachi,
che prendono lucentezza poco a poco
a partire dai bordi,
come se li illuminassero dal di dentro;
successivamente, il chiarore che, non c’è
dubbio, già è sguardo.
Il filo dell’aurora in altomare
lo spiega compiutamente.
In seguito,
gli sforzi inutili, ma costanti
affinché una nube d’oppio come quella di Baudelaire
non li opachi prematuri, neonati,
appiccicandosi al cervello
una volta per
tutte.

da Diario de navegaciónDiario di navigazione


OCEANO DE LAS TEMPESTADES

Ojos nunca vieron la mar tan alta,
fea y hecha espuma.
El viento no era para ir adelante
ni daba lugar para correr hacia algún cabo.
Allí me detenía en aquella mar fecha sangre,
herbiendo como caldera por gran fuego.


OCEANO DELLE TEMPESTE

Occhi mai videro mare così alto,
minaccioso, fatto spuma.
Il vento non permetteva di avanzare
né di correre verso nessun capo.
Lì mi trattenevo in quel mare fatto sangue,
ribollendo come un paiolo su un gran fuoco.


MAR DE LA DISOLUCION

Pero la lluvia era salobre, Almirante,
y duró tantos años;
que la ciudad se fue borrando,
los muros desmoronándose,
los braseros de las putas que ardían en Bulnes
poblando la noche como de lámparas vivas
se extinguieron,
y con ellos se extinguió el amor,
ya no había línea del horizonte, puntos cardinales,
nos fuimos quedando sin
deseos.


MARE DELLA DISSOLUZIONE

Ma la pioggia era salmastra, Ammiraglio,
e durò tanti anni
che la città si andava cancellando,
i muri crollavano,
i bracieri delle puttane che ardevano nella strada Bulnes
popolando la notte come fossero lampade vive
si estinsero,
e con esse l’amore,
non c’era più linea d’orizzonte, punti cardinali,
rimanemmo poco a poco senza
desideri.

da El último viajeL’ultimo viaggio


DESTELLOS DE LAS NOCHES DE CATHAY

Aurelia
vistió esa noche
su jumper
de liceana.

y salió a multiplicarse,
irisdiscente,
bajo los magros resplandores
de las últimas calles;

nosotros la seguíamos
como una
jauría
de ojos salvajes:

¿era Aurelia
esa liceana raquítica
embarrada por los focos,
por la lluvia?

era un fuego fatuo
empapado
el negro sudario del pelo
desmantelándose

nuestros ojos estrellados
por la lluvia
se iban desenfocando
perdidos,
consumando
el estupro
con una sombra

idos
de amor
por una sombra.


LUCCICHII DELLE NOTTI DEL CATHAY

Aurelia
mise quella notte
il maglione
della divisa da liceale.

E uscì, a moltiplicarsi,
iridescente,
sotto i magri bagliori
delle ultime strade;

noi la seguivamo
come una
muta
di occhi selvaggi:

era Aurelia
quella liceale rachitica
infangata dai fanali,
dalla pioggia?

Era un fuoco fatuo
fradicio
il nero sudario dei capelli
smantellandosi

i nostri occhi stellati
dalla pioggia
si facevano sfuocati
perduti,
consumando
lo stupro
di un’ombra

partiti,
d’amore
per un’ombra.


CONFESIONES MAS O MENOS ESPONTANEAS

Tengo el vientre tibio
como todas las mujeres vivas
Tengo, aún
los pechos erguidos y llenos de pulpa
y jugo
como los chupones del bosque.
Pero no se te ocurra chupar,
no tragues,
mi leche está envenenada.
Ayer nomás tuve contacto carnal con
el Can.


CONFESSIONI PIÙ O MENO SPONTANEE

Ho il ventre tiepido
come tutte le donne vive.
Ho, ancora,
i seni ritti e pieni di polpa
e succo,
come le bacche del bosco.
Ma non ti azzardare a succhiare,
non ingurgitare,
il mio latte è avvelenato.
Giusto ieri ho avuto contatto carnale con
il Can.

da Cipango


I testi sono tratti dalla seconda edizione di Cipango (Fondo della Cultura Económica de Chile, Santiago de Chile, 1996), rivista dall’autore. Si sono segnalate le sezioni dalle quali provengono i testi, per i riferimenti nella nota introduttiva.


Traduzione dallo spagnolo di Martina Bortignon




Tomás Harris
nasce a La Serena, Cile, nel 1956. A 13 anni si trasferisce a Concepción, dove compie studi umanistici e partecipa attivamente alla vita culturale della città – benché notevolmente ridotta a motivo della dittatura – fondando riviste letterarie ed organizzando incontri di poesia. Con il ritorno della democrazia, nel 1989, si trasferisce a Santiago, dove assume l’incarico di ricercatore presso la Biblioteca Nazionale, segretario della rivista di studi letterari “Mapocho” e, più recentemente, direttore della sezione “Referencias Críticas”. Parallelamente, esercita la docenza universitaria. Ha redatto varie antologie di poesia cilena contemporanea.
Fra le sue opere, per le quali ha ricevuto prestigiosi premi come Premio Casa de las Américas, Premio Pablo Neruda, Premio Atenea, Premio Municipal de Santiago e Premio Consejo Nacional del Libro y la Lectura, si ricordano: Zonas de peligro (1985), Diario de navegación (1986), El último viaje (1987), Cipango (1992/1996), Los siete náufragos (1995), Crónicas maravillosas (1996/1997), Ítaca (2001), Encuentros con hombres oscuros (2001), Tridente (2005), Las dunas del deseo I (2009). Si sono occupati della sua opera vari critici, fra i quali si segnalano Magda Sepúlveda, Grínor Rojo, Óscar Galindo.


martina.bortignon@gmail.com