Il letto è rimasto sfatto e sulla scrivania, accanto al computer, c’è una tazzina con l’alone del caffè, sembra una corona senza testa. Sono le sette di sera. La lavatrice è piena, bisogna stendere i panni del giorno prima. Lei non lo farà. Lo farà lui perché lei non l’ha fatto, e lei penserà che lui vuole farle sbattere il muso contro le proprie inettitudini. Lei proporrà una tisana, lui un cinema. Lei risponderà che è stanca, lui penserà che gli sarebbe proprio piaciuto andare al cinema quella sera con lei. Che prima andavano sempre, al cinema insieme.
Lei porterà in bagno la tazza della tisana e aprirà il rubinetto. Mentre l’acqua scroscerà a casaccio, lei anziché struccarsi penserà che ormai la prima cosa che lui fa al rientro non è abbracciarla ma togliere i panni dalla lavatrice. E subito sentirà la necessità di dirglielo, come se fosse l’ultima cosa da dire prima di morire, e uscirà dal bagno dimenticando la tisana vicino al lavandino.
Lui risponderà che negli ultimi tempi l’ha abbracciata spesso, più spesso di quanto lei abbia abbracciato lui, anche se non la abbraccia subito quando entra, quello però gli sembra un particolare davvero irrilevante. Lei osserverà che irrilevante è una parola categorica, piena di regole sottese, mentre stanno parlando di cose che non c’entrano niente con le regole. E poi dirà qualcos’altro, qualcosa di inutile e irritato. Lui le farà notare che ha steso i panni anche se toccava a lei perché era rientrata prima, e ripeterà che quella sera fosse stato per lui sarebbero andati al cinema. Lei gli farà notare che non stava poi morendo dalla voglia, visto che si è già tolto le scarpe e ha il telecomando in mano. Lui ribatterà come un disco stanco che da mesi lei non ha più voglia di andare al cinema. Lei penserà che da mesi non riesce a fare nulla, si sente in ritardo su tutto e l’unica cosa che vorrebbe è essere abbracciata subito, appena lui arriva, come faceva prima, come aveva sempre fatto. L’unica cosa che le darebbe un po’ di forza. Glielo dirà, poi andrà in cucina con un report di lavoro e fingerà di leggerlo finché non sarà ufficialmente distratta dalla porta del bagno che sbatte. Dopo aver fatto pipì lui si avvicinerà al lavello trovando la tazza con la tisana a metà. Penserà che è troppo, che ora basta, ha già lavato un’altra tazzina, steso i panni, incassato un rifiuto. Penserà a un’altra serata sprecata in cui tutto quello che vorrebbe è non dover sentire la voce di lei che chiede spiegazioni complesse su problemi immaginari. Eppure, si dirà, non è difficile, basterebbe ricordarsi di lavare una tazza ogni tanto. Guarderà le macchie di dentifricio sullo specchio considerando che lei vive così, che ha sempre trascinato tutto nel caos, però prima andavano anche al cinema, ridevano, facevano l’amore. Uscirà dal bagno con rabbia e, sulla strada verso il divano, lei gli sembrerà semplicemente un ostacolo alla serenità, non alla serenità con la S maiuscola, ma alla semplice serenità di una sera. La odierà, perché per lei la quotidianità non è un gioco di cose semplici, come evitare di alzare la voce. No, per lei la giornata è una corsa a ostacoli fra trappole e scuse e dimenticanze. E lui di questo è stanco.
Lei gli chiederà se va tutto bene, lui sbufferà perché?, lei dirà perché sei stato tanto tempo in bagno, lui non risponderà. Lei dirà che non lo sopporta quando non risponde, lui tornerà sul divano e accenderà la tv. Lei andrà in bagno e sbatterà la porta con forza, per essere sicura di fare più rumore di lui. Si accorgerà della tazza con la tisana a metà, la svuoterà nel lavandino, la poggerà sul pavimento e siederà sul bordo della vasca pensando che sarebbe patetico cercare di attirare la sua attenzione piangendo dietro la porta, eppure è quello che vorrebbe. A poco a poco la rabbia sfumerà, lei ammetterà con se stessa di essere una persona difficile e si dirà che però lo sapeva pure lui, quando si sono incontrati. Che sapeva tutto, quando si sono incontrati, e sembrava anche amarlo quel tutto. E per un attimo penserà che chissà, se si sono mai incontrati.
Dopo pochi minuti di talk show lui rifletterà sulla crisi economica. Lei confronterà i dati del suo report. La casa sarà piena del rumore estraneo della televisione, dello scorrere leggero della matita sul foglio. Passeranno venti, trenta, quaranta minuti. Lei guarderà l’orologio scoprendo che è tardi. Si sentirà sollevata. Si dirà che in fondo non è successo niente. Che sono entrambi stanchi e nervosi. Lavorano troppo. Irromperà nelle chiacchiere del talk show, nel soggiorno dove lui starà già dormendo. Lei penserà che è un peccato, avrebbe voluto dirgli molte cose belle. Penserà che non fa niente, gliele dirà domani. Gli siederà accanto, gli si accuccerà addosso e, poco alla volta, si addormenterà pure lei sul divano.
Il letto è rimasto sfatto. Da quando vivono insieme è vuoto per la prima volta. Accanto ai cuscini spiegazzati, fra i libri che ciascuno orgogliosamente tiene sul comodino, quel patrimonio che hanno sempre considerato un bene comune, lei rilegge Tenera è la notte e lui ha appena comprato Revolutionary Road. Ciascuno ha fiutato l’incipit tragoedia a modo suo, fra il debilitante continuo dramma di lei e l’insidioso crescere della consapevolezza di lui. E quando, dopo qualche mese o qualche anno, conosceranno ormai bene il dolore spigoloso della solitudine a due e cercheranno un inizio, un punto, un momento che giustifichi il pianto improvviso e solitario nel bagno di un aeroporto o il sussulto notturno che ti sveglia e non ti lascia più, né lui né lei sapranno riconoscere con certezza, fra mille sbiaditi sovrapponibili e uguali, il giorno zero di quella che loro malgrado, per convenzione o brevità, hanno dovuto imparare a chiamare crisi.
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