FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 18
aprile/giugno 2010

Aquiloni

 

ALESSIO BRANDOLINI, IL FIUME NEL MARE
La lunga estate del poeta

di Oscar Palamenga



Leggendo l’ultima raccolta poetica di Alessio Brandolini, Il fiume nel mare, si ha subito la sensazione di una sospensione spaziale e temporale: è la sospensione dell’estate, della vacanza borghese, del riposo dopo un anno di lavoro e di vita “normale”. Sebbene nel titolo la raccolta voglia essere la naturale prosecuzione del recente Tevere in fiamme (2008), con l’elemento acqua sempre più simbolo di liquido amniotico e quindi di archetipo materno, i contenuti dell’opera differiscono di molto dal precedente lavoro.
Se il fiume rappresentava la lotta per la sopravvivenza nella vita quotidiana, la riscossa sociale che tanto avvicina le tematiche brandoliniane a quelle pasoliniane, qui il mare rappresenta il tutto, l’immersione nell’enorme placenta cosmica. Il mare è madre che rigenera, ma è anche la tomba per quegli sfortunati che tentano di attraversare il Mediterraneo nel tentativo di sopravvivere, alla ricerca di una vita dignitosa; ed è soprattutto lo sfondo della vacanza borghese, quella che i benestanti italiani si concedono dopo un anno di lavoro in città.

Lo scenario stride, come ci fa notare Marco Testi nella bellissima e acuta introduzione al libro: da una parte il terzo mondo che assale le nostre spiagge per sopravvivere, dall’altra la benestante famiglia borghese che assale la spiaggia per ristorarsi dal caldo estivo. E in mezzo c’è il poeta che, uscendo dall’ipertrofia dell’io tipica di tanti poeti nostrani, è alla ricerca dell’altro, vuole capire e dare una mano e rifiuta la passiva indifferenza. Ma la lunga estate del poeta non è solo solidarietà agli immigrati o vacanza borghese da trascorrere con moglie e figli. C’è soprattutto voglia di riflettere a fondo sulle cose, di usare il proprio tempo libero per comprendere il significato e la direzione di una vita, un’indagine introspettiva assillante che serve a ricaricarsi, a dare senso alle cose.
Ecco perché qui prevale la aspazialità e la atemporalità. Il luogo è un posto di vacanza, mai troppo specificato anche quando lo si indica (il Tirreno, il Circeo), il tempo è il caldo torrido dell’estate, con le sue serate rigeneratrici, le notti insonni a meditare su tutto, i giochi in spiaggia con i bambini e le nuotate in un mare sempre più metafora di vita e di morte. Il poeta è alla ricerca di nuove motivazioni:

      Quando tutto verrà spento
      più tardi, verso mezzogiorno
      noi due risaliremo il fiume
      sottobraccio, a passo svelto.

      Ben oltre la foce
      troveremo l’inizio
      e anche la ragione
      del nostro viaggio.
      (...)

      (pag. 26)

È subito ben chiaro lo scopo della vacanza e del viaggio di risalita del fiume che, con ovvia metafora, ci porta dritto alla riscoperta delle radici, del punto da cui è partito tutto. È un percorso iniziatico, col sottofondo del caldo estivo, nella speranza di un futuro migliore.
      (...)
      Si sopravvive ai ponti che crollano
      ai passaggi segreti murati dal tempo
      si comincia a credere ai futuri ricordi
      si sta davanti al quadro bianco:
      con calma lo si riempie con lo sguardo
      di colori oscuri, di segni primitivi,
      di sogni astratti che non valgono molto.

             Poi ecco le case
             che franano nel fiume.

      (pag. 27)

Il quadro deve tornare ad essere bianco, e bisogna ricominciare a riempirlo da capo, magari con archetipi primitivi e astratti. Ecco a cosa serve la vacanza, ecco dove porta l’interruzione della vita quotidiana e l’immersione in una nuova realtà fatta di riposo e soprattutto di meditazione. Le convenzioni sociali sono spezzate, ora si dà libero sfogo ai propri pensieri e ai propri demoni rinchiusi per troppo tempo dentro di sé:
      (...)
      Forse per questo il volto
      della statua che contiene
      i nostri destini è esploso.

      In schegge d’acqua salata
      in frantumi di verità
      che ora affondano il mare.

      (pag. 38)

La verità è in frantumi, così come la vecchia vita in città, a Roma, e tutte le certezze sono da rifondare e ricostruire.
      Un mattino ci si scopre in vacanza
      senza saperlo, lontani da casa
      in mezzo a un azzurro folto
      ignorato dalle chiacchiere
      in un miscuglio antico
      di cenere e lamento
      più costante e tenace
      della nostra flebile voce
      mescolata alla pioggia
      all’affanno che strappa
      all’ombra instabile più del normale.
      (...)

      (pag. 65)

La vacanza diventa quindi sempre più metafora di riflessione, forse a riprendere la stessa etimologia della parola (vacuus = vuoto), pur nella consapevolezza che, mentre il poeta riflette sul senso della vita, c’è gente che quella vita la sta perdendo in mare, magari a pochi chilometri dal posto in cui lui fa il bagno e si abbronza. Però non è questo, secondo me, l’aspetto principale del libro. Numericamente saranno sì e no cinque le poesie che parlano degli emigrati che perdono e rischiano la vita nel Mediterraneo per raggiungere le coste italiane. La cronaca delle morti in mare è un doloroso sottofondo alle meditazioni del poeta, quasi a ricordare che la vita reale è fatta di sofferenza, di morte vera e di miseria, quasi che il poeta provasse vergogna della sua impotenza, del suo starsene in vacanza. È come se il poeta borghese, vergognandosi dei suoi privilegi di benestante, cercasse in qualche modo di fare ammenda dando voce ai più sfortunati, agli emarginati, ai derelitti del mondo moderno che affidano le loro tenui speranze di sopravvivenza alla clemenza del mare. Tale esigenza spiega meglio la dedica della raccolta: Ai morti del Mediterraneo. / In cerca di una casa, / in cerca di un lavoro.

Però a mio avviso il nucleo tematico della raccolta resta la crisi interiore del poeta che, a causa della vacanza (o grazie ad essa), fa i conti con se stesso e riesamina tutta la sua vita: i ricordi, i valori e gli antichi ideali, gli amori e gli affetti, la stessa scrittura poetica, sin anche lo scopo della propria esistenza.

      Per niente facile, dopo. Tirare dritto
      come se tutto fosse già accaduto.
      Ridere e far finta di stare in forma
      durante il lento viaggio del ritorno
      tra i morti che affossano il mare
      le nuvole che spezzano le strade
      le orrende pareti di gesso e cartone.
      (...)

      (pag. 28)

La vacanza sta cambiando radicalmente l’io del poeta; già si capisce che sarà estremamente difficile tornare alla vita quotidiana in città:
      Anche tu ami gli uccelli bianchi
      dalle ali morbide più del pane
      per questo rubare vorrei
      alla fine d’un sogno e dell’estate
      quando già si comincia a pensare
      al ritorno al proprio quartiere
      al monotono lavoro
      ai problemi di tutti i giorni
      alle leggi nefaste del governo
      alle guerre e al fanatismo religioso.

      (...)

      (pag. 48)

Passato il ferragosto il poeta si rende conto che sono rimasti ancora pochi giorni per trovare delle risposte, ed è inutile chiederle alla moglie o ai figli; forse è più opportuno chiederle al mare, magari mentre si nuota.
      (...)
      A quest’ora si nuota per il caldo
      e ogni bracciata è quella giusta
      quella che insegna
      a non abbandonarsi
      alla gelida corrente
      a vivere l’allegria che affoga
      le incertezze del cuore, della mente.

      (pag. 66)

Ma le incertezze rimangono, anzi aumentano ogni giorno che passa. È proprio nelle notti d’estate, lunghe e calde, passate insonni ad osservare i propri cari che dormono, che il poeta capisce che l’inquietudine è la sua condanna; le sue aspettative restano deluse, non riesce a trovare risposte.
      Per giorni annusiamo il profumo
      rincorso per oltre trent’anni
      e allora ci assale la voglia
      di remare da soli
      controcorrente
      nutrirsi d’alghe
      ridurre il ritmo
      farsi da parte
      e con uno sputo spegnere le fiamme.

      Poi svelare con calma
      alle sirene le distanze
      tracciate con il sangue
      nelle mappe solitarie.

      (pag. 77)

Non resta quindi che tornare al lavoro, alla quotidianità, ai problemi di tutti i giorni, con la consapevolezza che la fiamma interiore del poeta non si può spegnere, nemmeno con il caldo abbraccio di una mite estate in vacanza.
      L’acqua del mare smacchia le rocce
      con le impronte, il volto, le labbra.
      Non ci sono gli applausi delle sirene
      ma l’umore dell’onda riduce
      il silenzio a soffice schiuma
      l’io isolato e il noi annoiato.
      Conto le ore che separano dalla mia maschera
      da indossare di nuovo al ritorno al lavoro.

      Ammicca oltre gli scogli
      l’occhio intermittente del faro.
      Lo raggiungeremo a nuoto, prima o poi.

      (pag. 89)

E la speranza di raggiungere il faro, di trovare la luce che illumini la vita, è la stessa musa ispiratrice della poesia, di questo fiume nel mare di Alessio Brandolini: un lungo viaggio che affascina e sorprende.


Alessio Brandolini, Il fiume nel mare, LietoColle, Faloppio (Como), 2010, pagg. 105, euro 13,00 – Introduzione di Marco Testi, disegno in copertina e interno di Nancy Watkins.


o.palamenga@tin.it