I ventiquattro racconti dell’ultimo libro di Dacia Maraini, La ragazza di via Maqueda, sono preceduti da un’introduzione della stessa autrice (“Geografica della narrazione”), testo interessante che intreccia il viaggio all’arte del narrare, come era nei tempi antichi, basti pensare alle Storie di Erodoto di Alicarnasso. Scrive Maraini: “Gli occhi guardano e le parole prendono corpo? La metamorfosi del viaggio diventa metamorfosi della cronaca”. Allora l’importanza del viaggio fa venire alla mente subito l’ultimo superbo romanzo della Maraini: Il treno dell’ultima notte (2008): viaggio geografico e storico nell’Europa post-bellica, ricorda quel treno dell’incipit che “arranca sulle rotaie” come se volesse rimettere assieme i pezzi di un’Europa dilaniata dalle dittature e dalla seconda guerra mondiale. Si pensa anche a Fosco Maraini, l’instancabile esploratore, figura paterna evocata in questi racconti, se ne avverte la presenza in quell’andare a piedi, in bicicletta, nei boschi abruzzesi ma, soprattutto, nell’esplorazione umana, in quella partecipe e attentissima curiosità degli altri. È un fatto che affascina molto perché questo tipo di curiosità necessità di un candore di altri tempi, sincero e profondo, un candore solitario e coraggioso e, inoltre, della gioia e della fiducia nel viaggio (e nella narrazione), che è speranza di potersi incontrare con gli altri, di comprendersi vicendevolmente, e di amarsi.
Libro diviso in tre tempi, tre aree geografiche che seguono gli spostamenti e la storia personale dell’autrice: la Sicilia delle origini, Roma (e le sue amicizie, da Moravia a Pasolini, protagonista in due racconti, ma anche le partenze da Roma) e infine l’Abruzzo che è divenuto una specie di seconda casa, allargata ai boschi e alla montagna. C’è la mano sapiente di una “giardiniera” nel cogliere i fatti del passato (la ricostruzione storica è sempre meticolosa e a largo raggio), nel “sarchiare, seminare e fare crescere storie”, che è l’humus da dove veniamo, dove sono immerse le nostre traballanti radici.
La prima parte dedicata alla Sicilia è la più consistente, raggruppa la metà dei racconti, e la prima storia è quella che dà il titolo al libro, e poi ci sono tre racconti molto belli, come “Ragazze di Palermo”, “Due o tre cose che so di lei” e “Il naso di Salvo”, che s’incidono nella memoria come romanzi, perché – pur nella brevità – qui accadono molte cose e l’esistenza dei personaggi è descritta nell’arco di una vita o di parecchi anni.
Anche la seconda sezione, “Roma”, si apre con un racconto delicato e allo stesso tempo durissimo, “Splendor”, così come era accaduto per la precedente sezione, con “La ragazza di via Maqueda”, come a creare un legame, una fratellanza tra le due giovani donne costrette a prostituirsi: per vivere, per staccarsi da un passato penoso. La condanna non si ferma qui, al fatto in se stesso, alla gravità sociale di giovani corpi venduti (macchia oscena della nostra società), ma colpisce chi sa e tace, chi si volta dall’altra parte o chi finge o crede di essere migliore e poi fa le stesse cose di quelli che critica o tace e acconsente. Quindi, in sostanza, all’ipocrisia e al cinismo che dominano i nostri giorni.
Bello poi che nella sezione “Roma” ci sia un racconto che s’intitoli “Europa”, e che qui si parli, attraverso il libro di Robert Graves Miti Greci, delle nostre origini, un viaggio a ritroso proiettato nel futuro del nostro continente, unito (quasi tutto) politicamente, con una stessa bella moneta, e pur tuttavia un’Europa sentita dai suoi popoli quasi soltanto come “un’espressione geografica”, per rammentare quel che Metternich scriveva dell’Italia nel lontano 1847.
La terza parte del libro è dedicata all’Abruzzo ed è la più breve ma anche la più varia: di temi, di storie, di luoghi. Non a caso il primo racconto ci mette nelle mani di Caronte, come per entrare in mondi sconosciuti, misteriosi: quelli della morte, dell’esistenza di Dio. Si rievoca il terremoto del 1915, lo fa Colomba, che è anche il titolo di un romanzo (2004) della Mararini dedicato proprio all’Abruzzo. Infine si retrocede verso un mondo arcaico e affascinante, lontano e fiabesco (“Le serpi di monte Marsicano”), ovvero si torna caparbiamente a quelle nostre radici che ci tengono ben saldi (o così dovrebbe essere) a questa Terra.
Le protagoniste dei 24 racconti sono quasi esclusivamente donne, c’è in loro forza e lucidità, molta ostinazione e coraggio, ma non isolamento dal mondo maschile, desiderio di rivalsa, sì, di conquistarsi maggiore libertà, di lottare per costruirsi una propria vita, ma non odio. È come se dentro questo libro di racconti legati agli spostamenti, alle fughe, ai viaggi ci fosse un altro percorso, più sottile e psicologico, quello dentro il complesso mondo femminile in rapida mutazione. A leggere bene è anche un segno di speranza nei confronti del nostro fragile futuro. Insomma, il viaggio non si ferma mai, i piedi camminano e “li cunti” ci seguono.
Dacia Maraini, La ragazza di via Maqueda (Rizzoli, Milano, 2009, pagg. 274, euro 18,50)
CINQUE DOMANDE A DACIA MARAINI
(foto di Fiona Bemporad)
Leggendo le storie contenute nel tuo ultimo libro, La ragazza di via Maqueda, mi è venuto in mente Erodoto di Alicarnasso per il quale non esisteva narrazione senza il viaggio, l’esplorazione e la conoscenza diretta e approfondita di luoghi e persone. Infatti nello scritto introduttivo ti domandi: gli occhi guardano e le parole prendono corpo?
Ti ringrazio per il paragone: Erodoto è un autore che amo molto, l’ho letto non so quante volte. È uno storico pieno di immaginazione e di poesia. Se, anche senza rendermene conto, ho seguito il suo esempio, non posso che esserne contenta.
Restando sul tema della geografia delle tue narrazioni, il libro è diviso in tre aree: la Sicilia, Roma e l’Abruzzo. Tre nuclei essenziale nella tua vita personale, intima.
Sono tre momenti geografici e storici della mia vita di apprendimento e di crescita. Luoghi legati a emozioni ed esperienze sia dolorose che felici. A quelle mi sono ispirata.
I personaggi principali delle tue storie sono sempre femminili: penso al tuo esordio con La vacanza (1962), così come al tuo ultimo romanzo, Il treno dell’ultima notte (2008). Anche qui ciascuno dei 24 racconti ha al suo centro una ragazza, una donna, un mondo al femminile. Mi vengono in mente “Ragazze di Palermo”, il durissimo “Splendor” o il racconto che presta il titolo al libro, “La ragazza di via Maqueda”.
Così come un autore riesce a descrivere meglio i personaggi maschili, perché li ritiene più vicini e familiari, a me succede di sentire vicini e familiari i personaggi femminili. Ma accanto a loro ci sono sempre dei personaggi maschili e spesso sono visti con simpatia. Perfino l’ingegnere del racconto “La ragazza di via Maqueda”, che dà il titolo al libro, è visto con tenerezza. Nasce con un cuore tenero, ma viene traviato dal ricatto e dalla paura di perdere il posto. E quando si perde l’occasione di dire di no la prima volta, si viene travolti, come succede a lui, senza neanche volerlo. In realtà non amo la visione manichea della vita: tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra. La realtà è sempre più complicata di come la vediamo, sempre più contraddittoria e piena di misteri.
C’è una figura maschile importante che spesso attraversa i tuoi racconti, presente ma lontana. Mi riferisco a tuo padre, l’instancabile esploratore e scrittore Fosco Maraini: quando si pensa a lui viene voglia di camminare, di mettersi in viaggio.
Sì mio padre spesso appare nei miei racconti ed è sempre una figura vista con affetto e tenerezza. Ma se proprio vogliamo cercare un personaggio maschile a cui non si può non volere bene, e che non ha niente del padre, pensiamo a Hans del Treno dell’ultima notte. È un amico che credo molte donne amerebbero avere accanto in un lungo viaggio di ricerca e conoscenza.
Oltre ai viaggi geografici qui c’è un particolare viaggio del tempo. Nel racconto “Europa” si parla dell’antica civiltà greca, attraverso le suggestioni provocate dalla lettura del libro di Robert Graves, Miti Greci. Un viaggio a ritroso, alle nostre origini che però si proietta nel futuro del nostro paese, legato a quello dell’Europa.
Ho voluto fare un confronto fra il racconto mitologico della seduzione di Europa da parte di un prepotente e assatanato Zeus e la povera Europa che nei secoli è stata depredata, violentata e saccheggiata. Ma Europa risulta una ragazza saggia e intelligente anche nel mito e nonostante il ratto e lo stupro, si mostra capace di trovare un suo equilibrio, di fare dei figli e di accudirli.
Dacia Maraini è autrice di romanzi, racconti, opere teatrali, libri di poesia, narrazioni autobiografiche e saggi. Nel 1990 ha vinto il Premio Campiello con La lunga vita di Marianna Ucrìa e nel 1999 il Premio Strega con Buio. Collabora al “Corriere della sera”. Gli ultimi romanzi sono: Colomba (2004) e Il treno dell’ultima notte (2008).
alexbrando@libero.it
Vedi anche, sul n. 11 Dacia Maraini, Il treno dell'ultima notte di Alessio Brandolini
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