(POSTCREATURE, TUTTI)
Forse, per certe specie la vita è qualcosa di basso, ripugnante. Per altre, nemmeno esiste. Non saprò mai se per un vespaio, un volo di libellule tornerai o sei già tornato. Qui, anche il vero ti evita, come se vivesse.
(inedito)
(POSTCREATURA)
La mimica facciale si è oscurata, già imita la vera rissa per esistere, quella da morti, per tornare indietro. E la mente le fa solo da megafono, immagina una seconda vita.
(inedito)
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... 13 aprile, del ’97. Un domenica ariosa. Mio padre sta morendo. Si muove a scatti nel letto, forse i suoi respiri terminali altrove sono già le euforiche, gioiosissime, pure contrazioni di chi sta per tornare, e per un attimo in chi assiste passa un sottile senso di colpa...
(da L’idea del bene, Guanda, 2001)
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Forse, sei arrivata dove una strada se non è interminabile non è una strada, ancora. Ma tu la segui fino a quasi fuori città, oltre le rimesse, cave. Stasera allora tutte le costellazioni ti sono possibili; sì, anche quelle che non esistono: l’Anima, la Ferraia, il Dormitorio, la fredda salita di Giacobbe azzoppato... Sembra poco, ed è poco. E ti basta.
(da L’idea del bene, Guanda, 2001)
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A Milano i temporali del mattino vengono tutti da ovest, dall’acqua del Ticino, più in là dei Grigioni, da prati infontanati, rimasti in sole oltre metà dell’anno, e prima del tuono c’è un ronzìo che senti una volta su dieci, e un vetro avverte come la sua fine: piove, anche la materia fa pietà, il gas soffre come il soffocato...
(da L’idea del bene, Guanda, 2001)
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Non voglio che qualcuno mi veda morire. Me ne andrò via prima. Fuori della città. Oltre la pianura e i canali, dove non ci sono più olmi, né gelsi. Scapperò in riviera. Vivrò da flâneur. Lascerò un video dove saluto tutti. Avrò una camicia gialla, e una faccia tesa.
(da L’idea del bene, Guanda, 2001)
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Dicono che nei morti qualcosa continua a ricordare, e in alcuni crescono barbe, unghie, perfino i denti del giudizio... Forse non è proprio così, e rimarranno solo strani, loffi accenni a ritmi di cuore, coito. Ma vincerà la chimica, e con la chimica, la vita: nella moltiplica delle moltipliche di se stessa, o in un senso d’altura gelido e violentissimo in novembre che i vivi sentiranno come estate. Scenda allora il bene immenso incomprensibile dell’analogia.
(da L’idea del bene, Guanda, 2001)
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Nel ’39, piazza Piola era una spianata con degli alberi. I tram – verdi, gli stessi che negli inverni di guerra sarebbero stati manovrati da donne – uscivano a file dai depositi, entravano in città. I dopolavoro erano zeppi, qualcuno cenava sul balcone. Nulla, al di là del vago odio per un’aria che sembrava lieve e non lo era (tutti la sentivano, ma come affanno puro, e il cuore portava battiti non suoi e distanti: chissà da dove venivano), lasciava pensare a una guerra imminente. Forse, soltanto il poco più che ventenne Vittorio Sereni avvertiva qualcosa. Ma era in un altro rione, un’altra storia.
... ma un giorno passerà da qui chi io non ero ancora, verrà in dintorni dove è sempre sera, si chiederà se l’uomo che passa, va verso il ponte della ferrovia è diventato suo padre, o non l’ha mai visto, o sono io anni addietro in una vita diversa, forse già in questa vita ma molto tempo fa: troppo per riparlarne ora.
(da La vita, LietoColle, 2004)
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– Hai provato molto piacere, nella vita? – Sì, ma solo come odio – puro verso il male. A volte è stato altissimo, apicale. I corpi servono a questo, al bene, al loro bene.
Spesso, immagino di rivedere persone che ho incontrato. E quelle stesse si incontrano tra loro. Formando schemi a croce, a losanga, a quadrato doppio. Ma anche a fiore, rosa, perfettibile rosa. Rappresentabile, la vita: e non solo a parole, come ci illudiamo. Qualcosa, in ogni caso, succederà. Molta gente si vede, non si vede più. Nessuno l’ha vista, anni dopo. Ma che sia tutto, tutto nella stessa città.
(da La vita, LietoColle, 2004)
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Guardavo l’officina dismessa, i tetti di lamiera, il vespaio alla parete, depositi di latta, nafta sui canali. Pensavo ai momenti più scuri della materia: non sono mai abbastanza. In qualche verità nemmeno esiste, quella materia. In altre, è solo afa. O meno che afa, e paradiso è un verbo, alla prima persona. Come, forse, universo.
(da Versi del malanimo, Mondadori, 2007)
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Ecco la memoria cade, diventa sciatta, disordinata. O si è dimezzata. Quelli che erano amici, le donne che ho guardato, sono finiti in anni, e ore irritornabili. In nessuna strada e nessun regno. Di tutti i modi d’esistere, portiamo stampato addosso il più friabile.
(da Versi del malanimo, Mondadori, 2007)
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Quando svanirà l’illusione che la vita è una sola, e avrò memoria di tutte le passate, o quando alla stessa memoria sarà fatta grazia d’essere arrivata a un tempo non più mio e anni senza me, lì sarò sfatto, ricalcificato, tornato a dove i ricordi scelgono i ricordanti.
(da Versi del malanimo, Mondadori, 2007)
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L’idiota di città sta nel cortine tre pomeriggi di fila, annusa dove comincia l’afa. Chi viene da altri paesi lavora di domenica. Famiglie intere sui balconi, e il più giovane s’allena in una palestra sotterranea. C’è odore di calce, di cartoni, molto sta per tuonare. Qualcuno arriva, ha movenze meccaniche, posture innaturali, dice che dove è stato ha imparato a volare.
(da Versi del malanimo, Mondadori, 2007)
(LETTERA D’OTTOBRE)
Forse, un corpo è solo il parassita della voce. Meglio: di parole, e glossolalie, nanismi fonici. E quanti ne ha spenti o fulminati per sempre, quella specie d’abisso, quella cassa d’irrisonanza. Il silenzio è l’inespresso che mi odia.
(inedito)
CODA A: LETTERA D’OTTOBRE
Intanto, anch’io ignoro dove sei andato. Ma agisco come fossi stato vivo. Forse, è successo anche altro. Certo, l’intera specie con te si è difesa male. Potevamo fare di più, e meglio. Mi scuso, a nome di tutti.
(inedito)
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