FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 17
gennaio/marzo 2010

Dissonanze

 

GHIGLIOTTINE O CIOCCOLATINI?
L'altro Robespierre

di Giuseppe Ierolli



Mentre leggevo il libro di cui sto per parlare, mi è venuto in mente un verso di Emily Dickinson: "Tell all the truth but tell it slant" ("Di' tutta la verità ma dilla obliqua"). Perché? Perché è un libro di Sergio Luzzatto (Bonbon Robespierre) dedicato al fratello cadetto dell'Incorruttibile, a una figura messa in ombra (ed era inevitabile che fosse così) dal fratello diventato il simbolo del terrore rivoluzionario. Una figura visibile soltanto se si guarda alla storia con un occhio "obliquo", che riesce a far emergere particolari invisibili a una visione diretta. Il libro di Luzzatto comincia così:
Questa è una storia - una storia di famiglia - che va raccontata incominciando dalla fine. Da un episodio ben noto, quasi una pagina d'obbligo in tutti i libri sulla Rivoluzione francese. L'unica cosa conosciuta di una storia per il resto dimenticata.



Augustin e Maximilien Robespierre


E di seguito ci viene raccontato il "suicidio" di Augustin Robespierre, che il 27 luglio 1794 (il 9 termidoro dell'anno II, secondo il calendario repubblicano), di fronte al decreto di arresto per il fratello Maximilien si immola sull'altare della fedeltà familiare dichiarando: "Io sono altrettanto colpevole di mio fratello: ne condivido le virtù. Chiedo il decreto d'accusa anche contro di me." E così il giorno dopo la testa di Augustin sarà appaiata a quella del fratello, come si vede dalla caricatura nella copertina del libro.

Partendo così dalla fine, Luzzatto ci riporta indietro, facendoci viaggiare insieme a "Bonbon" per le strade infide e pericolose della provincia francese, dove la rivoluzione aveva molte facce, almeno tante quanti erano gli uomini incaricati di difenderla. E sì, perché il fratello cadetto, a differenza del maggiore, non si limitò a starsene nel cuore parigino della rivoluzione (non meno infido e pericoloso, a dire il vero), ma fu uno dei tanti rivoluzionari inviati in missione in periferie turbolente, per guerre interne ed esterne. Ebbe così modo di conoscere da vicino l'effettiva concretizzazione degli ideali per i quali si era battuto insieme al fratello. E forse proprio questo lo portò a giudicare più lucidamente di lui, a rendersi conto che "soltanto terminando la Rivoluzione si poteva salvarla." Luzzatto cita molte circostanze, e documenti, che dimostrano questa progressiva presa di coscienza. Una delle più significative è una lettera a Maximilien, dove si legge:

Ho incontrato migliaia di intriganti, che ripetono il tuo nome con enfasi, e si dicono i tuoi più intimi amici; i cretini si lasciano abbindolare da questi impostori, che si infilano in tutte le amministrazioni, in tutti i comitati; guerra ai furfanti, amico mio caro, guerra ai furfanti, non è la meno difficile da combattere, sono così numerosi che dovunque scacciano i rappresentanti del popolo.
Considerazioni non molto diverse da quelle dei termidoriani, che, in buona e cattiva fede, si rivoltarono contro l'inflessibile, e ormai quasi cieca, politica del Robespierre maggiore.

Ma perché "Bonbon"? Luzzatto ce lo spiega a pag. 96:

... perché vorrà pur dire qualcosa che Maximilien venisse chiamato l'Incorruptible, mentre Augustin era conosciuto come Bonbon... Certo, quest'ultimo appellativo non faceva che riprendere, scherzosamente deformandolo, il secondo nome di battesimo di Augustin-Bon-Joseph, laddove un analogo gioco di parole sarebbe riuscito problematico con il secondo o il terzo nome di Maximilien-Marie-Isidore. Resta il fatto che il fratello maggiore si portò dietro, fin nel soprannome, la reputazione tetra e oppressiva del moralista intransigente. Mentre il nomignolo di Augustin evocava qualcosa di meno impegnativo, qualcosa di più leggero e più dolce: sembrava alludere al caramello che avrebbe reso tanto migliore il gusto della Repubblica giacobina.
Il libro si chiude con la storia di una pendola, un oggetto evocativo, con quel suo oscillare avanti e indietro che ci fa pensare all'impossibilità di guardare alla storia, ma anche alla vita, come a un movimento lineare e perfettamente comprensibile.
Dopo la morte di Augustin, i termidoriani rinvennero fra le sue carte un curioso biglietto, ultima prova di un inguaribile gusto per la vita. Glielo aveva indirizzato un suo conoscente, un libraio di nome Delehelle, in data 4 termidoro. A corto di soldi, costui proponeva a Robespierre jeune la vendita di un orologio a pendolo. «Mi è sembrato che tu lo desiderassi, - scriveva premuroso il libraio squattrinato; - sai che è di ottima qualità, con molto piacere lo vedrei sul tuo caminetto». Se Augustin era serio nell'intenzione di comprarlo, che glielo facesse sapere al più presto, Delehelle avrebbe provveduto a far stimare l'orologio entro pochi giorni: «e tu avrai la soddisfazione di avere dato i tuoi assegnati a un cittadino che non cesserà mai di essere un buon repubblicano». Il tempo stringeva, però. «Non mancare di rispondermi appena ricevuta la presente».
Già, il tempo stringeva. Ma era un altro - non la pendola d'occasione - l'orologio che batteva il ritmo della storia di Augustin. Cinque o sei giorni ancora, poi basta. Niente più lettere. E nulla di più grazioso, di superfluo, di inutile. Niente bibelot. Lo spazio sopra il caminetto era destinato a rimanere vuoto.
Chissà dove sarà finita quella pendola.


Sergio Luzzatto, Bonbon Robespierre, Einaudi, 2009, pagg. 121, 10 euro.


ierolli@hotmail.com