FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 16
ottobre/dicembre 2009

Isole

 

TERRANERA
La poesia di Igor Barreto

di Alessio Brandolini



Igor Barreto è nato a San Fernando de Apure (Venezuela) nel 1952. Ha studiato teoria dell’arte nell’Università di Bucarest, dal 1973 al 1979. Laureatosi nel 1982 per poter partecipare al laboratorio poetico del Centro di Studi Latinoamericani Rómulo Gallegos.
Nel 1982 pubblica ¿Y si el amor no llega? Nel 1986 vince il premio municipale con Soy el muchacho más hermoso de esta ciudad. Nel 1989 pubblica Crónicas llanas. Nel 1993 riceve il primo premio dell’Università Centrale del Venezuela per la raccolta poetica Tierranegra. Nel 2001 pubblica Carama, seguita nel 2006 da due nuove raccolte: Soul of Apure e El llano ciego.
Barreto oltre a essere uno dei poeti più noti del suo paese è professore universitario di letteratura all’Università Centrale di Caracas e all’Università Metropolitana, ed editore (in collaborazione con altri poeti della sua generazione) della collana di traduzioni Luna Nueva.
Ha tradotto dal rumeno le poesie di Lucian Blaga e pubblicato libri per bambini. Collabora come giornalista a testate nazionali e a varie riviste letterarie. Suoi testi poetici sono stati inclusi nelle più importanti antologie sulla poesia contemporanea venezuelana e tradotti in inglese e francese e ora, per la prima volta, in italiano.
Nel 2008 gli è stata assegnata la borsa di studio dalla fondazione Guggenheim.
Nel 2007 è stata pubblicata in Spagna una vasta antologia, riprendendo il titolo della raccolta del 1993, Tierranegra (Selección de poemas).
È in uscita in Italia (a mia cura e presso l’editore Raffaelli di Rimini, nella nuova collana Poesía diretta da Carmen Leonor Ferro) un’antologia della sua opera poetica sempre con il titolo Terranera, ma con l’aggiunta di alcuni testi inediti.

Terranera come luogo interiore da dove sgorga la poesia, Terranera come spazio inalterato dal tempo, secco e sincero, così che “si possa nominare”, ovvero raccontarlo in versi senza molestare troppo il silenzio, che è “l’anello perfetto di purezza”.
La poesia di Igor Barreto punta dritto alle cose, all’essenziale ed evita barocchismi e stilizzazioni. I ricordi del passato (l’infanzia, la famiglia, i paesaggi) li introduce a fondo nel suolo del contemporaneo, nella realtà storica del proprio paese, il Venezuela, così presente in questi versi che spesso mescolano la prosa alla poesia.
Barreto afferma – nell’intervista che si può leggere di seguito – che nei tempi attuali (ambigui e confusi) alla poesia ci si arriva attraverso la prosa, abbandonando l’ossessione per la trascendenza. Un lirismo lucido, quindi, e fortemente critico nei confronti della letteratura fine a se stessa, un lirismo intenso, appassionante ma teso a fare della poesia una testimonianza, la cronaca di un vissuto poetico fortemente radicato nel presente.

Oltre ai grandi poeti contemporanei venezuelani (Eugenio Montejo, Rafael Cadenas, Antonio Ramos Sucre...) e ai padri della poesia sudamericana (come non pensare a Cesar Vallejo) forte è il legame con l’Europa (Wiesława Szymborska, vedi la poesia “Lezione di ortografia”, e il rumeno Lucian Blaga), e in particolare con l’Italia, non solo per le origini italiane dell’autore, ma per la vicinanza con la poesia di Ungaretti (la silloge proposta si apre con un testo dedicato al poeta italiano), Montale, Penna, Saba, Pasolini, Pavese e, inoltre, del suo grande amore per la poesia di Giacomo Leopardi: ma qui il presente si àncora al passato senza eccessiva nostalgia e il velo di tristezza che traspare è messo alla prova da una sottile ironia.

Non ci sono eroi e le vite dei personaggi (sopratutto nei testi di Soul of Apure) ricostruiscono un mondo affollato di gente semplice e povera, di tenaci lavoratori della terra, barcaioli, esploratori di laghi e paludi, cinici militari, vittime e assassini. I versi messi in chiusura delle brevi prose poetiche suggellano una vita che scivola – molto spesso tragicamente – nel nulla, di nuovo nel silenzio, nella “perfetta purezza” del silenzio.
Ma ce un aspetto che spezza la dicotomia vita/morte e crea un ponte, uno stretto passaggio, un tunnel che unisce i due momenti ed è rappresentato da un uccello: il gallo, che canta di notte ma rivolto alla luce, come se volesse farla sorgere (creare) dal nulla, dall’oscurità (oltre al titolo “terranera”, altri testi si legano allo stesso colore: “Notturno”, “Celebrazione del colore nero”...). Nell’intervista Igor Barreto spiega che nel gallo vede una specie di arcangelo Gabriele che, pur con mille dubbi e domande, seguita la sua imperterrita lotta contro le tenebre, contro il male e la morte:

      Da parte mia, so che i galli
      cantano una frase musicale
      ben composta
      i cui quattro accenti
      sono una chiamata
      e un messaggio
      per qualcuno
      che è assente.

Forse questo, infine, è il compito della poesia: partire dalla terranera (la propria anima o coscienza e, insieme, la realtà in cui si vive conosciuta a fondo) per battere ed esplorare nuove strade, aprire percorsi di conoscenza. Nel frattempo accogliere una parola più libera e umile da proporre al mondo (anche alle personale lontane e future), in un atto di comunione con tutti gli uomini accumunati dallo stesso destino, in transito su questa Terra.




POESIE DI IGOR BARRETO
da Terranera



UNGARETTI

a Mafer                 

Oí hablar a Ungaretti
de su Alejandría
cerrar los ojos azules y decir
que otros lugares de Oriente
podrán tener las mil y una noches
pero, Alejandría tiene un desierto.
Nosotros, también tenemos:
la amnesia y el desierto del presente.

(de El llano ciego, 2006)


UNGARETTI

a Mafer                 

Ascoltai parlare Ungaretti
della sua Alessandria
chiudere gli occhi azzurri e dire
che altri luoghi d’Oriente
potranno avere le mille e una notte
ma che Alessandria ha un deserto.
Noi anche, abbiamo:
l’amnesia e il deserto del presente.

(da La pianura cieca, 2006)


VZLA.

Defendiendo a una madre intrigante
llamada: Plata,
combaten dos hijos de Tebas
y dan término a una raza perversa.

(de El llano ciego, 2006)


VZLA.(*)

Difendendo una madre intrigante
chiamata: Denaro,
combattono due figli di Tebe
e pongono fine a una razza perversa.

(*) Sigla per Venezuela

(da La pianura cieca, 2006)


PARAÍSO PERDIDO

Milton ha dicho
en El paraíso perdido:
«La tierra tan pequeña,
comparada con el cielo,
y faltándole la luz»:
Entonces, una tierra
en esencia oscura.
Pobres y engañados Trópicos
que creen que la luz les pertenece.
La palmera de penacho brillante
perdió su orgullo
y está enferma:
es sólo
una reliquia
de la sombra.

(de El llano ciego, 2006)


PARADISO PERDUTO

Milton ha scritto
nel Paradiso perduto:
«La terra così piccola,
paragonata al cielo,
e senza luce»:
Per questo, una terra
fondamentalmente oscura.
Poveri e ingannati Tropici
convinti che la luce gli appartenga.
La palma dal brillante pennacchio
ha perduto il suo orgoglio
ed è ammalata:
dell’ombra
è soltanto
una reliquia.

(da La pianura cieca, 2006)


ENSAYO

René Guénon
dice que el lenguaje rimado
de los pájaros
es «lengua angélica».
Por mi parte, sé que los gallos
cantan una frase musical
bien compuesta
cuyos cuatro acentos
son un llamado
y un mensaje
para alguien
que está ausente.

(de El llano ciego, 2006)


SAGGIO

René Guénon
dice che il linguaggio rimato
degli uccelli
è «lingua angelica».
Da parte mia, so che i galli
cantano una frase musicale
ben composta
i cui quattro accenti
sono una chiamata
e un messaggio
per qualcuno
che è assente.

(da La pianura cieca, 2006)


LADRÓN DE GALLOS

Mi vecino floricultor
me ha robado un ave muy preciada.
Se trata de un gallo color tabaco
que pastaba en una jaula
al fondo del segundo patio de la casa.
No hice ningún reclamo,
simplemente no me atreví.
Cada madrugada caminé furtivo
por la carretera de tierra
que bordea nuestras casas
y acercándome a la suya
escuché de nuevo cantar mi gallo.
Es un ave que canta como el Ángel Gabriel
espantando las sombras,
con cuatro inflexiones musicales bien marcadas.
Este modesto ritual
se prolongó por tres noches.
Tres veces aguardé el amanecer
anhelando escucharlo.
Mi vista y mi oído
se aguzaron de tal manera
en aquel último gesto
de pertenencia sobre el ave,
que sentí,
que la deuda estaba saldada.

(de Soul of Apure, 2006)


LADRO DI GALLI

Il mio vicino giardiniere
mi ha rubato un uccello molto pregiato.
Si trattava di un gallo color tabacco
che brucava in una gabbia
in fondo al secondo patio della casa.
Non feci alcun reclamo,
semplicemente: non ebbi il coraggio.
Ogni mattina camminavo furtivo
per la strada sterrata
che costeggia le nostre case
e accostandomi a quella del vicino
ho sentito di nuovo il canto del mio gallo.
È un pennuto che canta come l’angelo Gabriele
spaventando le ombre,
con quattro inflessioni musicali ben distinte.
Questo rituale modesto
si è protratto per tre notti.
Tre volte ho aspettato l’alba
in attesa di ascoltarlo.
La mia vista e il mio udito
si sono aguzzati a tal punto
in quell’ultimo gesto
di possesso dell’uccello
da comprendere
che il debito ormai era saldato.

(da Soul of Apure, 2006)


*

A Custodio Martínez lo arrancamos de las fauces de un caimán. Eso ocurrió en El Panchero cuyas aguas lodosas desembocan en otro caño de nombre Guafita. Vadeando el cauce al llegar al cantil ribereño el caimán lo agarró por las piernas. Vi al pobre sacar apenas una mano, y luego emerger la enorme trompa del reptil sacudiendo su presa para desgarrarla. Era un caimán de cinco varas de largo y musgosa coraza amarilla. En el hervor de las aguas lo soltó. A Custodio Martínez lo trasladamos en un chinchorro, dormía bajo el sol y llevaba un hilo de sangre surcando el lóbulo de la oreja. Antes de morir se levantó como si nada hubiese ocurrido, tomó un papel y escribió este poema:

      Una barca con sus bogas,
      con ornamentos dorados.
      Y una serpiente bebiendo
      lo que resta del verano.

(de Soul of Apure, 2006)


*

Custodio Martínez lo strappammo alle fauci di un caimano. Questo accadde nel Panchero le cui acque fangose sfociano in un altro canale dal nome Guafita. Guadando l’alveo quando arrivò al dirupo costiero il caimano lo acciuffò per le gambe. Vidi il poveretto tirar fuori soltanto una mano e poi emergere l’enorme muso del rettile che scuoteva la preda per lacerarla. Era un caimano lungo diversi metri e con una muscosa corazza gialla. Lo lasciò libero nel gorgoglio dell’acqua. Custodio Martínez lo trasportammo in una piccola zattera, dormiva sotto il sole e un filo di sangue gli solcava il lobo di un orecchio. Prima di morire si alzò come se nulla fosse accaduto, afferrò un foglio e scrisse questa poesia:

      Una barca coi suoi remi
      con gli ornamenti dorati.
      E un serpente che beve
      quel che resta dell’estate.

(da Soul of Apure, 2006)


*

El cuatrero Lázaro Ojeda pasó desnudo con el cuero de res a manera de capa pudriéndose en sus espaldas. Dos soldados con carabinas lo custodiaban y un corneta iba delante: taratará-taratará, por las calles principales de San Fernando. Lo sorprendieron cerca de un caño llamado El Rosario: la res desollada y un pozo de sangre asolado de moscas. Una vez en la cárcel mandaron cortar cincuenta varas de tamarindo y lo azotaron, al día siguiente el Guardia Nacional encontró en su bolsillo izquierdo este poema:

      Cunaguaro, pueblo pobre:
      cinco casas, dos gallinas,
      el macadán de tu calle
      y una herida de familia.

(de Soul of Apure, 2006)


*

Il ladro di bestiame Lázaro Ojeda passò nudo col cuoio di un capo di bestiame a mo’ di mantello in putrefazione sulle spalle. Lo custodivano due soldati coi fucili e un altro andava avanti con la cornetta: taratará-taratará, per le strade principali di San Fernando. Lo sorpresero accanto a un fosso chiamato El Rosario: il bestiame scuoiato e una pozza di sangue assalita dalle mosche. Una volta in prigione fecero tagliare cinquanta rami di tamarindo e lo frustarono, il giorno successivo la Guardia Nazionale trovò nella sua tasca sinistra questa poesia:

      Cunaguaro, paese povero:
      cinque case, due galline,
      il selciato della tua strada
      e una ferita di famiglia.

(da Soul of Apure, 2006)


*

José Solano estaba preso del cinismo del coronel Luis María Lobo. Supo que esa noche iba a morir porque el oficial lo había engrillado. Afuera relucían los adoquines del amplio patio central del cuartel y más allá un muro junto al río indetenible. Allí, amordazados, Luis María Lobo tasajeaba a los presos a punta de espadín para luego lanzar brazos y piernas a los caimanes. Y a la mañana siguiente: ¡Se fugaron los presos! ¡Se fugaron los presos!. Era, digamos, un hábito tanto para el coronel como para aquellos saurios enormes. No se sabe cómo pudo José Solano hacerle llegar a su padre este poema:

      Maquillaban a la muerte
      para ocultar sus heridas.
      La apariencia era más fuerte
      que su propia realidad.

(de Soul of Apure, 2006)


*

José Solano era prigioniero del cinismo del colonnello Luis María Lobo. Seppe che quella notte andava a morire perché l’ufficiale lo aveva ammanettato. Fuori rilucevano le pietre del grande patio centrale della caserma e più in là un muro vicino all’inarrestabile fiume. Lì, imbavagliati, Luis María Lobo tagliuzzava i carcerati a punta di spadino per dopo lanciarne braccia e gambe ai caimani. E il giorno dopo: Sono fuggiti i carcerati! Sono fuggiti i carcerati! Era divenuta, diciamo, un’abitudine sia per il colonnello che per quegli enormi sauri. Non si sa come José Solano riuscì a far arrivare al padre questo poema:

      Truccavano la morte
      per occultare le loro ferite.
      L’apparenza era più forte
      della sua stessa realtà.

(da Soul of Apure, 2006)


ANILLO PERFECTO DE PUREZA

Tan duro fue este invierno
que las garzas anidaron en los molinos.
Como una abeja a la puerta de su celda:
solo, solo, solo,
canto todo el día.
El silencio es mi anillo perfecto de pureza:
el círculo que una gota deja
en su breve caída.

(de Tierranegra, 1993)


ANELLO PERFETTO DI PUREZZA

Così duro è stato quest’inverno
che gli aironi hanno fatto il nido nei mulini.
Come un’ape alla porta della sua cella:
solo, solo, solo,
canto tutto il giorno.
Il silenzio è il mio anello perfetto di purezza:
il cerchio che una goccia lascia
nella sua breve caduta.

(da Terranera, 1993)


PRESENCIA

¿Dónde estás?

Reviso mis botas al despertar
y de eso estoy seguro.

Sobre la dura mesa de la sabana
dos pájaros vuelan

el agua del Naure
corre bajo la sombra de las chigas.

Allí me siento
lavo mis manos y mis pies

y de eso estoy seguro.

Pero toda la noche vigilo en mi interior,
toda la noche

permanezco inmóvil
y retirada al alma.

(de Tierranegra, 1993)


PRESENZA

Dove sei?

Controllo i miei stivali al risveglio
e di questo sono sicuro.

Sulla dura tavola della savana
volano due uccelli

l’acqua del Naure
corre sotto l’ombra delle chigas.

Mi siedo lì
lavo le mie mani e i miei piedi

e di questo sono sicuro.

Ma tutta la notte vigilo dentro di me,
tutta la notte

resto immobile
e l’anima appartata.

(da Terranera, 1993)


EL ÁRBOL DE MANGO

Para venir a poseerlo todo,                 
no quieras poseer algo en nada
                 

San Juan de la Cruz                 

El árbol de mango
es inmortal
y no necesita de lo humano.
Forma umbríos claros
en lo denso del monte
y ahí perdura.
La palma
podrá sostener al mundo,
pero el mango
ha aceptado
la oscura llamada del bien.
Porque no quería tener
algo en nada
se ha ido:
más allá de las dunas azules,
entre madroños y píritus
de negra espina,
allí
donde dos ríos se unen
como semblantes de soledad.

(de Tierranegra, 1993)


l’ALBERO DEL MANGO

Per giungere a possedere tutto,                 
non voler possedere nulla
                 

San Juan de la Cruz                 

L’albero del mango
è immortale
e non ha bisogno dell’umano.
Forma ombre chiare
nella densità della montagna
e lì perdura.
La palma
potrà sostenere il mondo,
ma il mango
ha accettato
l’oscura chiamata del bene.
Perché non voleva possedere
nulla
se ne è andato:
al di là delle dune azzurre,
tra corbezzoli e palme píritus
dalle nere spine,

dove due fiumi si uniscono
come sembianze di solitudine.

(da Terranera, 1993)


LECCIÓN DE ORTOGRAFÍA

Aquí yace, como la coma anticuada                 

Wiesława Szymborska                 

Si no soy buen poeta
es por culpa de las comas.

Dibujarlas entre palabras
fue imposible:

su respiración,
la transparencia.

Estar con los otros
es arte de comas.

Las manos se aproximan
con decoro

cuando la coma
da una suave distancia

el corazón palpita
y la luna es Nueva y Menguante.

Por el trazo infantil
de una coma

existen nombres que siguen
a otros nombres:

la astronomía,
la historia

la ornitología,
la oceanografía

y todas la enumeraciones
que el cosmos

hace brillar
en el adoquinado de la noche.

(inedito, 2009)


LEZIONE DI ORTOGRAFIA

Qui giace, come virgola antiquata                 

Wiesława Szymborska                 

Se non sono buon poeta
è per colpa delle virgole.

Disegnarle tra parole
fu impossibile:

il loro respiro,
la trasparenza.

Stare con gli altri
è arte di virgole.

Le mani si avvicinano
con decoro

quando la virgola
segna una soave distanza

il cuore palpita
e la luna è Nuova e Calante.

Per il tratto infantile
di una virgola

esistono nomi che seguono
altri nomi:

l’astronomia,
la storia

l’ornitologia,
l’oceanografia

e tutte le enumerazioni
che il cosmo

fa brillare
sul selciato della notte.

(inedito, 2009)


Traduzione di Alessio Brandolini




INTERVISTA A IGOR BARRETO
di Alessio Brandolini



Igor Barreto: autoritratto con
trisavola italiana


La tua poesia ha molto a che vedere con la terra. Terranera è infatti il titolo di una raccolta di poesie del 1993, ma anche della vasta antologia uscita in Spagna nel 2007. Questo titolo si conserva anche nell’antologia che presto uscirà in Italia con la casa editrice Raffaelli, di Rimini, nella nuova collana Poesía diretta da Carmen Leonor Ferro. A mio parere non è soltanto un semplice atto di devozione a un titolo, ma qualcosa di molto più profondo.

Terranera, perché è una terra interiore o che parla da lì. È quasi una ridondanza: alla terra come elemento primordiale corrisponde il colore nero. Si tratta anche del titolo di una canzone dei deserti del sud del Venezuela composta e interpretata da Angel Custodio Loyola, che nel nostro paese è una figura popolare ed emblematica. Viene da queste canzoni popolari legate al deserto l’ispirazione per Terranera, nonostante la distanza culturale, per via della loro precisione nel raccontare le cose, per il gusto geografico, il conoscimento dei cicli vitali che considero quasi un modello.

C’è una poesia de La pianura cieca (2006) che ha per titolo “Ungaretti”. Che relazione hai avuto, come poeta e come professore, con la poesia italiana?

Una profonda relazione. In principio con i suoi grandi poeti del novecento: Ungaretti, Montale, Pavese, Saba, Pasolini, Penna, per nominarne soltanto alcuni. Ricordo una traduzione molto bella delle poesie di Antonia Pozzi fatta da Carmen Leonor Ferro.
Mi recito spesso a bassa voce il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi. Quella domanda leopardiana di fronte al cosmo mi commuove sempre profondamente, oltre a essere così opportuna nelle nostre città contaminate che quasi annullano il contatto e la preoccupazione per il cosmo. Sono grato a quella poesia perché mi fa sentire dentro un orizzonte maggiore, con sentimenti vivi di esilio e di sradicamento.
Aggiungo che è davvero un peccato che qui si conosca così poco la poesia italiana più recente, e viceversa, poiché questa è un’ignoranza condivisa nel mondo. Credo che i poeti dovrebbero farsi avanti, assumersi il compito di creare delle reti di poeti (reti di amici nella poesia) dove si possa tradurre e far conoscere le cose più interessanti, più belle.
Ogni volta che qualcuno mi spedisce delle poesie inedite me le porto all’università, dove insegno, e le leggo alla mia classe, le leggo insieme agli studenti. Se sono registrazioni, me le conservo nel cellulare per poi riascoltarmele di sera, in auto, rientrando a casa in mezzo al traffico dopo il lavoro.
La poesia è una grande amica, inoltre attenua sia la violenza che la solitudine.
La mia relazione con l’Italia si base inoltre su un altro fatto: la mia famiglia materna arrivò in Venezuela agli inizi del Novecento, e provenivano dal Lago di Garda. Erano due fratelli che navigavano con la loro nave e di notte giunsero a Puerto de la Guaira. Poi un fratello disse all’altro: "Bene, siamo già arrivati. Tu che preferisci, il denaro o la barca?"
Io discendo da quel fratello del Lago di Garda che decise di tenersi la barca.

Nella tua opera s’incontrano molte poesie dove si parla del Venezuela: il tuo paese, la tua patria, certo, e – forse – anche il tuo “paradiso perduto”?

Sì, certamente si tratta di un “paradiso perduto”, e questo si fa ancora più evidente se pensiamo a come sono cambiati i tratti culturali distintivi del mio paese e di tutto il continente sudamericano. L’immagine di una natura splendente è stata fin dall’inizio l’icona centrale della nostra cultura. Una cornucopia che parlava di un’abbondanza praticamente inesauribile. La devastazione naturale, lo spirito predatore, ora sono divenuti, la contrario, i nostri tratti distintivi. Le città si espandono in maniera eccessiva, sovrapposta e cumulativa, come se si trattasse di un farcito umano. Occorre fare uno sforzo per ubicarsi in questo presente e riuscire, poi, a scrivere da lì.
Ricordo una conferenza di Camus sul destino della tragedia: lui vedeva nell’America un nuovo spazio di tensioni tra l’uomo e la storia. Tensioni che garantirebbero la sopravvivenza dell’antica tragedia. Nonostante le riserve che Camus manifestò sempre davanti all’utopia marxista, credo che nel caso dell’America Latina lui (come molti altri europei) sosteneva, e molti tuttora sostengono, un atteggiamento di attesa e di speranza. Ma quel che vedo sono grandi passi all’indietro e stagnazioni che fortificano la necessità di riflettere più a fondo sulle nostre realtà sociali.

Nella tua poesia c’è sempre la ricerca di qualcosa che possa condurre il lettore al di là dell’apparenza e, allo stesso momento, di “una parola sincera / che almeno / si possa nominare”.

Ho sempre creduto che il passato sia una grande tema di scrittura. In quest’ultimi anni penso molto di più all’importanza del presente. A tutti i casi di “ambiguità” del presente come luogo della scrittura. È un tempo complesso da definire, il nostro, per questo dico che è ambiguo. Alla fine uno spirito oggettivo ha per tema qualcosa di paradossale: la fugacità e l’impossibilità di classificare il presente. Scrivere costituisce sempre uno sforzo per arrestare questa precarietà, è una scommessa persa, ma poi si tenta ancora.
Per stare più vicini a questo ambiguo presente, e scrivere in modo appropriato, occorre abbandonare l’ossessione per la trascendenza.

C’è un animale che prevale nella tua poetica: il gallo. Scrivi in un testo: “Da parte mia, so che i galli / cantano una frase musicale / ben composta”. Cosa simbolizzano i galli nella tua poesia?

Sopra l’albero della vita c’è il gallo. Per me è come se si trattasse dell’immagine dell’arcangelo Gabriele, colui che deve ad ogni costo sconfiggere le tenebre. “Chi è come Dio?”, chiede l’arcangelo alla persona che rappresenta il Male. E la sua domanda è anche la manifestazione di un dubbio. Lui che pone la domanda, allo stesso tempo, sta interrogando se stesso.
Un gallo canta alla luce, ma sempre dalla notte.
C’è una serie fotografica di Antoine D’Agata su una rissa di galli ad Haiti che si svolge in piena notte. In quelle immagini si nota una grande violenza, ma anche un desiderio di sconfiggere la morte, di superarla.

Nella raccolta Soul of Apure (2006) ci sono molti componimenti dove mescoli la prosa e la poesia, sono testi eccellenti perché la loro anima (il loro “Soul”) e il loro suono si collocano nel corpo e nel cuore di lavoratori molto umili e semplici, di persone che muoiono sempre in modo tragico.

Di questi tempi, al verso si deve giungere attraverso la prosa. Il verso per il verso stesso è di un lirismo insopportabile. È una verità sulla quale c’è parecchio consenso.
Per me il fine di un testo poetico è creare un documento su qualcosa, qualcosa che si possa conoscere, testimoniare: la poesia stessa non è più il fine ultimo. Il testo deve avere una sua “utilità”, certo non come pensavano gli antichi realisti, ma in un senso più estetico, più ludico.
Sono molto interessato al mondo popolare, alla canzone popolare. Qui le parole raccontano di vite banali, nondimeno tragiche. Ho conosciuto molte persone protagoniste di grandi avventure, di gesti eroici, ma che alla fine sono morte in un modo del tutto ordinario. Un gran poeta peruviano, José Watanabe, ha scritto: “Non temo la morte bensì i suoi modi”. Una poesia, nella sua solitudine, si appoggia con questi paradossi.

I tuo versi “Controllo i miei stivali al risveglio / e di questo sono sicuro” fanno pensare a una poesia fatta di cose concrete, a una poesia dove non si può mascherare la realtà “per occultare le sue ferite”.

Sì è così, non si deve mai truccare il presente per occultarne le ferite, o le falsità.

Come sta la poesia venezuelana in questo periodo?

Viviamo la fortuna del risveglio. La nostra poesia si era troppo francesizzata ed era troppo dipendente dai vari avanguardismi. Ora, per fortuna, tutto è passato. C’è un valido gruppo di “poeti maestri” come: Antonio Ramos Sucre, Juan Sánchez Peláez, Rafael Cadenas, Ramón Palomares, Eugenio Montejo, José Barroeta, Luis Alberto Crespo, Arnaldo Acosta Bello, Hanny Hossot.
Inoltre penso, e spero, che questo momento storico - assomigliante in alcuni tratti alle esperienze fascista e comunista vissute in Europa nel secolo scorso - possa essere utile per cancellare i pregiudizi ereditati dalla sinistra e penetrati tra gli intellettuali alla fine degli anni cinquanta. Credo che i nuovi poeti che stanno venendo fuori in questo periodo saranno contro ogni tipo di autoritarismo e a favore di una parola più libera. Abbiamo già poeti che invitano a un dialogo più libero e maturo, come Alejandro Oliveros, Yolanda Pantin, Alfredo Herrera, Maria Auxiliadora Álvarez, ma l’enumerazione potrebbe continuare.


alexbrando@libero.it