FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 16
ottobre/dicembre 2009

Isole

 

LA POESIA DI ABELARDO LINARES

di Pablo Luque Pinilla



la vera poesia è sempre rivelazione senza cessare di essere mistero1


Abelardo Linares è nato nel 1952 a Siviglia, città in cui vive e dove negli anni Ottanta, ha fondato la Editorial Renacimiento, una delle case editrici più importanti in ambito poetico. È anche il proprietario della libreria che porta lo stesso nome, arricchitasi nel 1995 della collezione di Eliseo Torres (New York) che conta oltre un milione di libri. Ha pubblicato le seguenti raccolte: Mitos (1979), Sombras (1986), Espejos (1991), Mitos: Poesía reunida 1971-1995 (2001) e l’inedito Y ningún otro cielo che raccoglie la sua opera poetica dal 1993 al 2008. Ha curato, inoltre, l’edizione dell’antologia poetica dell’autore colombiano dell’Ottocento, Luis Carlos López.
Nel 1991 ha ricevuto il Premio della Critica per il suo libro Espejos.

La poesia di Abelardo Linares si inserisce all’interno della linea classicista spagnola di fine anni Settanta, sorta in seno alla corrente avanguardista e innovatrice imperante nei due lustri precedenti, segnando un cambio di direzione nel panorama poetico spagnolo. Questo cambiamento si consoliderà poi negli anni Ottanta, decade in cui la poesia più in vista e ufficiale adotta una scrittura maggiormente conforme ai modelli tradizionali di ritmo e metro fissi, in cui il nostro autore dimostra grande abilità. Così, nei suoi primi tre libri, Linares presenta poesie in verso sciolto isosillabico e anisosillabico imparisillabo, con una preferenza per le composizioni in endecasillabo o alessandrino. L’uso reiterato di quest’ultimo metro ha portato alcuni studiosi come Cano Ballesta, tra gli altri, a definire la sua opera neomodernista, «con un nuovo sapore a causa della soppressione della rima».2 Ciò nonostante, tra le poesie che appaiono alla fine del volume Mitos (2001), che raccoglie la sua opera fino al 1995, appartenenti alla raccolta posteriore inedita, Y ningún otro cielo3, ne troviamo alcune che presentano una versificazione più irregolare, come anticipazione di quella che appare una certa flessibilità all’interno della norma metrica - per lo meno per quanto concerne questa pubblicazione -. Così, nell’insieme di Y ningún otro cielo, possiamo contare numerose composizioni in verso libero, alcune in endecasillabo o verso anisosillabico imparisillabo, un sonetto, una décima4 e diverse soleá.5

Le preoccupazioni attorno a cui ruota la poesia di Abelardo Linares traspaiono nei suoi versi profondi e solenni, da cui emergono brandelli di umanità e lucida speranza. Nell’ultimo libro, invece, lo sguardo sembra scavare nello scetticismo, rifugiandosi talvolta nella memoria, come accade in «Llámame ayer», poesia che chiude la raccolta, dal procedimento analettico grazie al quale è possibile riprendere il punto di partenza, probabilmente per un nuovo inizio. Così, il desiderio, la nostalgia, il passare del tempo, l’evocazione di quello che si perde, la poesia e i suoi fantasmi, il mistero occulto delle cose, l’altro come segno di una realtà spirituale che ci definisce, l’identità, le domande ultime e, soprattutto, l’amore come punto di fuga dell’umano, sono temi ricorrenti nella sua poesia. In questo modo, sia direttamente sia grazie alle domande o alle complicità che risvegliano in noi, in questa poesia i versi più aperti, incompiuti, puramente descrittivi o persino disillusi, fanno sì che sperimentiamo, attraverso la sincerità e la bellezza, una qualche forma di corrispondenza, che alla fine ci fa percepire il senso delle cose e del mondo.

Per il resto, la retorica culturalista, con abbondanti riferimenti alla mitologia classica, il tono equilibrato, sensoriale e meditativo, nonché l’orchestrazione profonda e classicista ci permettono di ascoltare, nelle tre prime raccolte del poeta sivigliano, gli echi della tradizione andalusa attraverso i secoli; nel suo ultimo libro, invece, lo sguardo si volge verso uno stile più proprio dei linguaggi densi e metaforici, con tracce di irrazionalismo - anche se sporadico - delle avanguardie tradizionali. Nella sua opera ritroviamo l’influenza di altri poeti andalusi del primo ‘900, come Luis Cernuda e i fratelli Machado, cui dedica, in modo significativo, alcune poesie. In un’intervista quasi all’inizio della sua carriera letteraria, nel 1980, apparsa su Las voces y los ecos,6 il poeta indica una nicchia di scritture di riferimento; in quell’occasione, a una domanda sugli scrittori che più avevano influito sulla sua formazione letteraria, confessava: «Darío, Manuel, Machado, Kavafis, Pessoa, Salinas, Borges, Cernuda, García Baena, Brines. Non so si può considerare una risposta, ma questi sono alcuni dei poeti che ho letto maggiormente negli ultimi dieci anni».

In Abelardo Linares si combinano il poema depurato, esigente nella fattura e tecnicamente pulito, e la prospettiva figurativa ed esistenziale, fortemente radicata negli ultimi anni Settanta e Ottanta, da cui scaturisce una poesia intimista e allo stesso tempo sensuale, intensa ed espressiva.


Bibliografia essenziale



1Abelardo Linares, «Prólogo» in Vicente Tortajada, Esplendor, Antología poética. Edición de Abelardo Linares y José Daniel M.Serrallé, Sevilla, Metropolisiana, 2009).

2Juan Cano Ballesta, Poesía española reciente (1980-2000), Madrid, Cátedra, 2001, p. 107.

3Nella raccolta del 2001 appaiono sotto l’epigrafe Panorama 1994-1995.

4Strofa composta da dieci ottonari con rima: abbabcdccd [N.d.T.].

5Combinazione metrica propria della lirica popolare andalusa, composta di tre versi di arte menor ottonari con assonanza nel primo e nel terzo verso e senza rima di nessun tipo il secondo [N.d.T.].

6José Luis García Martín, Las voces y los Ecos, Júcar, Gijón, 1980.




POESIE DI ABELARDO LINARES
a cura di Pablo Luque Pinilla
traduzione di Gloria Bazzocchi


APOTEOSIS DE SIMÓN EL MAGO

Yo habré de estar allí cuando descienda,
lleno de majestad, alto y terrible,
sobre nubes y astros navegando.
Yo habré de estar allí. No ha de tumbarme
el inimaginable rostro oculto
que todo lo gobierna. En su presencia
clara será mi voz, mi pié seguro.
Yo habré de estar allí, entre el espanto,
las lágrimas, los gritos. Será inútil
el poder de sus ángeles y arcángeles
contra mí, cuando alce ante el asombro
de su corte y sus súbditos, mi mano
y arranque de su rostro, con sacrílego
furor, su necia máscara de dios.
Yo habré de estar allí. Nada me importa
caer luego en la sombra interminable,
borrarme como un sueño, no haber sido.

(de Mitos, 1971-1978)


APOTEOSI DI SIMON MAGO

Io dovrò essere lì quando discende,
pieno di maestà, alto e terribile,
navigando sulle nuvole e gli astri.
Io dovrò essere lì. Non dovrà abbattermi
l’inimmaginabile volto occulto
che tutto governa. Al suo cospetto
chiara sarà la voce, il piede fermo.
Io dovrò essere lì, tra la paura,
le lacrime, le grida. Sarà inutile
il potere dei suoi angeli e arcangeli
contro di me, quando alzerò la mano
davanti alla sua corte ed i suoi sudditi,
strappando dal suo volto, con sacrilega
furia, la stolta maschera divina.
Io dovrò essere lì, nulla m’ importa
di cadere nell’ombra interminabile,
svanire in un sogno, non esser stato.

(da Mitos, 1971-1978)


¿CÓMO HABLAR DE MÍ MISMO?

¿Cómo hablar de mí mismo, cómo presentar
mi verdad sin que algo me traicione?
¿Cómo atender la voz que en mi interior me habla
cuando la vida afuera ensordece mi oído?
¿Cómo huir de las grandes palabras
sin que me huya todo lo grande que hay en ellas?
¿Cómo renunciar a lo que brilla en la belleza
si quisiera escribir con todos mis sentidos
y el halago del verbo no es distinto al del cuerpo?
¿Cómo buscar en mí lo que permanece
si el olvido es la llave de mi jardín perdido?
¿Cómo evitar que el verso condescienda al asombro
sin que así desfallezca su misteriosa llama?
¿Cómo lograr que todo lo que en mí tiembla ahora,
tiemble en ti que me lees y al fin nazca el poema?

(de Sombras, 1986)


COME PARLARE DI ME STESSO?

Come parlare di me stesso, come
dire la mia verità e non tradirmi?
Come ascoltar la voce che da dentro mi parla
quando la vita fuori rende sordo il mio orecchio?
Come sfuggire alle grandi parole
senza che sfugga tutta la grandezza che è in esse?
Come lasciare quanto nella bellezza brilla
se scrivere volessi con tutti i miei sensi
e il fascino del verbo è lo stesso del corpo?
Come cercare in me quello che rimane
se è l’oblio la chiave del mio giardino perduto?
Come evitar che ceda il verso allo stupore
senza che venga meno la misteriosa fiamma?
Come far sì che tutto quanto in me trema ora,
tremi in te che mi leggi e sia infine poesia?

(da Sombras, 1986)


PRESENCIA DE LA POESÍA

En el rostro de todas las muchachas que amé,
en aquella que amo, en las desconocidas
mujeres que presiento quizás aún me aguardan,
tú estás, agazapada tras sus hermosos ojos,
espiando mi angustia, mi afán por entregarme,
que no se calma nunca y que jamás se agota
pues gira en el vacío y el vacío lo engendra.

No supe amar la vida ni temer mi deseo,
por eso tú me miras con tus ojos innúmeros
iguales a la noche de un cielo sin estrellas.
Y no habrá redención porque no amé bastante
ni quise de verdad responder tu llamada,
indigno así mi cuerpo de entrelazarse al tuyo.
Dentro de mí extraviado en un bosque de sombras,
persigo una salida hacia la luz que eres.
Pero ya no hay salida. Tan sólo un vasto muro
alzado frente a mí y por mí construido.
Tras de él sé que está el mundo, pero ya no hay salida.

(de Sombras, 1986)


PRESENZA DELLA POESIA

Nel volto di tutte le ragazze che ho amato,
come in quella che amo, e nelle sconosciute
donne che intuisco che forse ancora mi aspettano,
ci sei tu, rannicchiata, dietro i loro begli occhi,
mentre spii la mia angoscia, l’ansia di concedermi,
che non si placa mai e giammai si esaurisce
poiché gira nel vuoto ed il vuoto la genera.

Non seppi amar la vita, temere il desiderio,
per questo tu mi guardi con infiniti occhi
uguali alla notte di un cielo senza stelle.
Nessuna redenzione, non ho amato abbastanza
né ho voluto davvero seguire il tuo richiamo,
così il mio corpo è indegno di intrecciarsi al tuo.
Dentro di me perduto in un bosco di ombre,
cerco un’uscita verso la luce che tu sei.
Ma non c’è più un’uscita. C’è solo un vasto muro
alto davanti a me e da me costruito.
So che dietro c’è il mondo, ma non c’è più un’uscita.

(da Sombras, 1986)


LA SOMBRA

La calle estaba oscura, había llovido
y brillaba la luna en el asfalto.
Una sombra sin sombra me detuvo
impidiéndome el paso. Oí su voz,
de un helado metal que no era humano,
preguntarme ¿qué buscas, di, qué buscas?
Permanecí ante ella silencioso.
¿Qué buscas, di, qué buscas?, repetía,
la angustia y la mentira son la clave,
apréndelo
(me dijo), aún no es tarde.
¿Por qué quieres pasar?, ¿dime qué buscas?

Pero no respondí. Sin decir nada,
abrí las negras puertas de mi pecho
y fue mi cuerpo uno con el mundo.
Sombra sin bulto era aquella sombra
y le tuve piedad como a algo vivo.
En la abrasada luz que eran sus ojos
detuve mi mirada un solo instante.
¿Qué buscas, di, qué buscas? Me decían
aún sus ojos ciegos. Nada busco,
le contesté por fin. Se hundió en la noche
de mis ojos aquella extraña sombra
de la que nada supe. Me aguardaba
una infinita calle toda a oscuras.
Oí mis pasos y descansé en mi sueño.

(de Espejos, 1986-1991)


L’OMBRA

La strada era buia, aveva piovuto
e brillava la luna sull’asfalto.
Un’ombra senza ombra mi trattenne
e mi impedì di andare. La sua voce
gelida e metallica, non umana,
mi chiese che cerchi, dimmi, che cerchi?
Rimasi davanti a lei silenzioso.
Che cerchi, dimmi, che cerchi? diceva,
l’angoscia e la menzogna son la chiave,
impara
(disse), non è troppo tardi.
Perché vuoi passare, dimmi, che cerchi?

Ma non risposi. Senza dire nulla,
aprii le nere porte del mio petto
e fu il mio corpo tutt’uno col mondo.
Ombra senza forma era quell’ombra
e provai pietà quasi fosse viva.
Nell’assetata luce dei suoi occhi
posai il mio sguardo per un solo istante.
Che cerchi, dimmi, che cerchi? dicevano
i suoi occhi ciechi. Non cerco niente,
gli risposi. Sprofondò nella notte
dei miei occhi quella strana ombra
di cui non seppi nulla. Mi aspettava
un’infinita strada tutta al buio.
Sentii i miei passi e riposai in un sogno.

(da Espejos, 1986-1991)


UNA EXTRAÑA CERTEZA

Durante muchos años, a menudo
me he acordado de ti, o de tu imagen,
para ser más exacto, pues de aquello
que amamos una vez sólo nos queda
(al igual que de un libro) una muy vaga
impresión general y alguna anécdota.
Y a menudo también me he preguntado,
buscando entre la niebla del recuerdo
no sé si una respuesta, qué dejaste
en mí que sea mío todavía
y si no fue el amor, mi amor por ti
y no tú misma, aquello que aún me importa
y lo que busco aún al recordarte.
Si arde nuestra vida, ¿somos llama
o aquello que se quema y es ceniza?
En esa desmesura que es el tiempo
encuentran su razón amor y olvido,
pero no su medida. Al recordarte,
lo comprendo tan bien, que importa poco
saber o no saber, sino tan sólo
sentir que fuiste parte de mí mismo,
que dentro de mí estás, como mis sueños,
que son y no son yo, pero en mí nacen,
que ya nunca de mí podrás borrarte
y que, quiera o no quiera yo el olvido,
has de seguir viviendo con mi vida.
Qué extraña sensación esa certeza.

(de Espejos, 1986-1991)


UNA STRANA CERTEZZA

Per molti anni, spesso, mi sono
ricordato di te, o della tua immagine,
per essere precisi, che di quanto
amammo un tempo rimane soltanto
(così come di un libro) una molto
vaga impressione e un qualche aneddoto.
E spesso mi sono anche domandato,
cercando tra la nebbia del ricordo
forse una risposta, cosa lasciasti
dentro di me che ancora sia mio
e se non fu amore, amore per te
e non tu stessa, che ancora mi importa
e che ancora cerco nel ricordarti.
Se arde la nostra vita, siamo fiamma
o quello che si brucia e poi è cenere?
Nella smisuratezza che è il tempo
trovano un loro senso amore e oblio,
ma non la misura. Nel ricordarti,
lo capisco bene, che importa poco
sapere o non sapere, ma soltanto
sentire che fosti parte di me,
che sei dentro di me, come i miei sogni,
che sono e non sono me, ma in me nascono,
che mai più da me potrai cancellarti
e che, voglia o non voglia io l’oblio,
continuerai a vivere con me.
Strana sensazione questa certezza.

(da Espejos, 1986-1991)


NO ERA EL AZAR

Extraño como la sonrisa de un bisturí.
Íntimo como un ojo sin párpado abierto en nuestra mano.
Deslumbrante como el rumor del paso de un unicornio.
Fiel como la súbita seda negra del miedo.
Temible como el brillo de la espada de fuego de un arcángel.
Sumiso como las olas que rompen contra la playa de un pecho.
Devastador como la claridad de una mirada en un espejo roto.
Inevitable como la herida hecha de lluvia en un corazón de piedra,
el amor llega un día a nuestra vida y nosotros no estamos.

(Y ningún otro cielo, inédito)


NON ERA IL CASO

Strano come il sorriso di un bisturi.
Intimo come un occhio senza palpebra aperto sulla nostra mano.
Accecante come il rumore del passaggio di un unicorno.
Fedele come l’improvvisa seta nera della paura.
Temibile come il luccichio della spada di fuoco di un arcangelo.
Sottomesso come le onde che s’infrangono contro la spiaggia di un petto.
Devastante come la chiarezza di uno sguardo in uno specchio rotto.
Inevitabile come la ferita fatta di pioggia in un cuore di pietra,
l’amore arriva un giorno nella nostra vita e noi non ci siamo.

(Y ningún otro cielo, inédito)


LA JUVENTUD DEL MUNDO

Quince mil millones de años
ha necesitado el universo
para que existas tú.

Lentísima la belleza, atravesando
los estados sin fin del tiempo y la materia,
desde aquel lejanísimo Big Bang
en el que está tu origen conocido,
ha ido madurándote.

Los soles y galaxias eran tan sólo ensayos.
El mundo primordial,
en el que agua y tierra estaban confundidos,
cuando aún no existían los océanos
y era el aire de azufre y no nacía el alba,
te contenía ya
como al metal el magma primigenio.

Todo estaba esperándote.
Porque gracias a tu hermosura,
de la recién nacida y remota
edad del universo,
es aún joven el mundo
                               y con él mis ojos.

(Y ningún otro cielo, inédito)


GLI ALBORI DEL MONDO

Quindici miliardi di anni
sono serviti all’universo
perché esistessi tu.

Lentissima la bellezza, attraversando
gli stati senza fine del tempo e la materia,
da quel lontanissimo Big Bang
dov’è la tua origine conosciuta,
ha reso te matura.

I soli e le galassie erano solo prove.
Il mondo primordiale,
in cui acqua e terra si confondevano,
quando ancora non c’erano gli oceani
e l’aria era di zolfo e non nasceva l’alba,
ti conteneva già
come il metallo il magma primigenio.

Tutto aspettava te.
Perché grazie alla tua bellezza,
dall’appena nata e remota
età dell’universo,
è ancora giovane il mondo
                                    e con lui i miei occhi.

(Y ningún otro cielo, inédito)


LLÁMAME AYER

Pues mañana no existe y todo es noche,
llámame ayer.
Camareros de punta en blanco,
agilísimos,
recorren la tierra
como si fuera una gran, única sala
y llegan hasta mí para decirme
en Bogotá o Los Ángeles
que tú estás al teléfono,
no ahora,
sino hace un mes o un siglo,
buscándome hacia atrás,
hacia lo más adentro de todas las edades
y que me esperas
en un ayer, que es ya, de tan lejano,
la aurora del mundo.
Lo que escucho,
mezclados con tu voz,
no son interferencias o ruidos de la línea
sino cercanos
bramidos de dinosaurios,
que nos hacen tan jóvenes,
tan jóvenes,
que nuestro futuro es regresar al mar,
que nos nazcan aletas en el cuerpo,
con nostalgia de brazos,
y que el sabor salino de mis labios
no sea el de tus lágrimas
sino el del agua
salada en la que naceremos.
Hacia atrás, hacia atrás,
hasta fundirnos en la primera célula.

Y sea ese final
                    nuevo principio que dé razón del mundo.

(Y ningún otro cielo, inédito)


CHIAMAMI IERI

Poiché il domani non esiste e tutto è notte,
chiamami ieri.
Eleganti camerieri sulle punte,
agilissimi,
percorrono la terra
come se fosse una grande, unica sala
e arrivano fino a me per dirmi
a Bogotá o a Los Angeles
che tu sei al telefono,
non adesso,
ma un mese o un secolo fa,
cercandomi indietro,
nella profondità del tempo
e che mi aspetti
in un ieri, che è già, da quanto è lontano,
l’aurora del mondo.
Quel che sento,
insieme alla tua voce,
non sono interferenze o rumori della linea
ma vicini
bramiti di dinosauri,
che ci rendono così giovani,
così giovani,
che il nostro futuro è tornare al mare,
che ci spuntino pinne sul corpo,
con nostalgia di braccia,
e che il sapore salino delle mie labbra
non sia quello delle tue lacrime
ma quello dell’acqua
salata in cui nasceremo.
Indietro, indietro,
fino a fonderci con la prima cellula.

E sia questa fine
                      un nuovo inizio per spiegare il mondo.

(Y ningún otro cielo, inédito)



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