Alzi la mano chi conosce Bill Frisell. Bene, fa piacere vedere così tanta gente preparata. Del resto Frisell è uno dei più quotati chitarristi jazz, anche se come spesso accade usare etichette di genere è riduttivo. Con il suo studio dello strumento, l'applicazione di effetti, la continua ricerca espressiva, il chitarrista di Baltimora ha viaggiato e continua a viaggiare lungo tutte le forme che la musica mette a disposizione, dall'avanguardia al rock, dal folk alla classica. Il suo stile così cerebrale e al tempo stesso autentico ha caratterizzato il sound della ECM, la casa discografica tedesca fondata nel 1969 da Manfred Eicher, che si è affermata nel corso del tempo come una delle più sofisticate etichette di musica contemporanea. Qui Frisell, più o meno parallelamente alla sua attività da solista, ha prestato le sue corde per molti anni come “semplice” chitarrista di studio, intervenendo e valorizzando le incisioni degli artisti che pubblicavano con la ECM.
Ora, alzi la mano chi conosce Disfarmer. Questa è più difficile, me ne rendo conto. Partiamo dall'inizio. Arkansas, 1930. Mike Meyers è il sesto di sette figli di una famiglia di contadini, immigrati tedeschi. Ha un problema: odia l'agricoltura e tutto ciò che riguarda la vita nei campi. Si dà allora il soprannome di “Disfarmer” (che potremmo tradurre con: il non-contadino) e si dedica alla sua vera passione: la fotografia. Totalmente autodidatta impara a scattare e a sviluppare. Mette su anche uno studio improvvisato in un angolo della veranda del casale di Herber Springs, dove abita insieme alla famiglia. Poi arriva un tornado che spazza via tutto, come nel Mago di Oz, e Mike “Disfarmer” Meyers insieme al resto dei parenti si trasferisce in città, con qualche preoccupazione da parte di mamma e papà e con grande gioia da parte sua. Nel frattempo con pellicole e otturatori è diventato sempre più bravo e così apre un vero e proprio studio fotografico. Qui, tra il 1939 e il 1945, Disfarmer immortala sulle sue lastre fotografiche i volti di un'intera generazione di figli della Grande Depressione. È l'America rurale degli anni della Seconda Guerra Mondiale quella che viene ritratta con la maniacale attenzione alla luce che caratterizza lo stile di questo oscuro maestro della fotografia.
Vi starete chiedendo, a questo punto, cosa c'entra Bill Frisell con Mike Disfarmer. C'entra. Qualche anno fa, infatti, il Wexner Center of the Arts ha commissionato al chitarrista un progetto musicale dedicato al fotografo. Frisell, come molti, non sapeva chi diavolo fosse questo Disfarmer. Si è documentato, ha visto le sue bellissime fotografie, ha raccolto testimonianze (a Herber Springs è ancora vivo il becchino che ha seppellito Disfarmer) e i brani hanno cominciato a venire fuori quasi da soli. Per questo disco (che si intitola, manco a dirlo “Disfarmer” ed è stato pubblicato quest'anno dalla Nonesuch Records) Frisell ha voluto con sé Jenny Scheinman al violino, Greg Leisz al mandolino e Viktor Krauss al basso. Niente batteria, niente percussioni, niente tastiere. È un disco scarno, rarefatto. C'è l'America dei grandi spazi, cespugli che rotolano nelle praterie, vecchi standard di musica popolare. E c'è la mente di Frisell, la sua profonda vena filologica che si sposa con le dissonanze, lo sperimentalismo. Non è un disco fragile, è un disco discreto, intimo, in alcuni passaggi misterioso. Tutti aggettivi che calzerebbero bene anche a Disfarmer stesso.
«Indossava sempre un completo nero, un cappello nero e un pesante cappotto di lana qualunque tempo facesse – racconta Frisell nelle note di copertina, riportando i ricordi dei vecchi abitanti di Herber Springs – Non parlava mai con nessuno. Passava la notte a camminare per le strade deserte della cittadina, sembrava sempre uscire fuori dal nulla. Un'ombra nera che spaventava i bambini». Nel 1959, fu trovato morto nel suo studio, circondato da scatolette di carne, il corpo ricoperto di topi. Fu seppellito e i cittadini decisero di sostenere le spese per la lapide. «Chissà, un giorno potrebbe diventare famoso». Frisell chiude così le note di copertina del suo disco: «Penso sempre a tutti gli artisti sconosciuti e incompresi che non hanno avuto, in vita, il riconoscimento che meritavano: Vermeer, Van Gogh, Charles Ives, Henry Darger... Oggi, da qualche parte nel mondo, c'è qualcuno che sta subendo la loro stessa sorte. Chi è? Dov'è?».
Foto tratta da www.disfarmer.com
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