È estremamente variegato il panorama della poesia brasiliana contemporanea ed è difficile, in questo universo, individuare movimenti e correnti ben definite. Possiamo parlare, in realtà, di una galassia con sistemi di pianeti spesso con pochi collegamenti fra loro. Le antologie recenti sono solite utilizzare categorie temporali o geografiche per cercare di fare un minimo di ordine in tale produzione, con generalizzazioni del tipo: «Poesia degli anni '60», «Poesia degli anni '80», «Generazione '90», «Poesia paulista», «Poesia mineira», «Poesia carioca» e così via.
È vero che il Brasile è un continente e che la sua stessa storia è fatta di isole di improvviso sviluppo e ricchezza, legate allo sfruttamento di materie prime caratteristiche di determinate regioni che il mercato internazionale richiedeva di volta in volta, come lo zucchero nel Seicento, che arricchì il Nord-est del paese, l’oro nel Settecento e nell’Ottocento, che portò alla nascita di tante città nella regione centrale, o il caffé per buona parte del Novecento, che fece grandi gli stati del Centro-sud, come San Paolo e Paraná.
Questa crescita a macchia di leopardo portò alla concentrazione economica, culturale e politica che caratterizza ancora oggi il Brasile. Le distanze, d’altronde, sono enormi e questa forse è la causa principale della mancanza di un maggiore interscambio fra poeti, editori e lettori, anche se negli ultimi anni si sono affermati i festival di letteratura, la vera novità del panorama culturale brasiliano, che porta anche in città e regioni dell’interno grandi scrittori, avvicinandoli ai lettori e al pubblico in generale.
In questo parziale e frammentario tentativo di mapeamento della poesia brasiliana contemporanea, di tracciare cioè alcune delle sue linee portanti, vorrei soffermarmi sulla poesia femminile, che non emerge nel panorama regionale e nazionale con la stessa frequenza e abbondanza di quella maschile e i motivi non sono, poi, diversi da quelli che determinano lo stesso fenomeno in molte letterature. Uno di questi è la maggior difficoltà di accesso alla formazione scolastica e universitaria delle donne e talvolta la precarietà economica di molte di loro che debbono, prima di tutto, pensare al sostentamento dei propri cari e solo dopo alle parole e ai libri che vorrebbero scrivere. Si potrebbe e si dovrebbe fare molto affinché le donne abbiano le stesse possibilità e diritti, le stesse facilità di accesso ai beni fondamentali.
Eppure, è di grande importanza e qualità la presenza delle donne nella letteratura brasiliana, prova ne è che la stessa Accademia Brasiliana di Lettere annovera fra i suoi membri grandi scrittrici, come Lygia Fagundes Telles, Ana Maria Machado, Nélida Piñon.
In questo e nei prossimi numeri cercherò di presentare degli spaccati di poesia femminile brasiliana, poesia non sempre e necessariamente femminista, visto che la gamma dei temi trattati dalle autrici spazia dalle questioni locali alle domande universali di ognuno di noi.
La prima poetessa di cui mi occuperò è Marina Colasanti, che, nata il 1937 ad Asmara, in Eritrea, da una famiglia di italiani emigrati in Brasile nel 1948 e radicatasi a Rio de Janeiro, ha conservato molti legami con il paese d’origine dei genitori. Scrittrice, giornalista, traduttrice, saggista, artista plastica, ha vissuto i primi dieci anni in Italia anche se, poi, tutta la sua vita e la sua carriera professionale si sono svolte in Brasile. Donna di grande versatilità creatrice, pubblica la prima opera nel 1968, Eu sozinha [Io sola], dando alle stampe, da allora, più di quaranta titoli, fra poesia, prosa e libri per l’infanzia. Collabora con quotidiani e riviste e lavora anche per la televisione. Ha ricevuto per la sua opera alcuni dei premi letterari più importanti del Brasile.
Il suo ultimo libro, Passageira em trânsito [Passeggera in transito], ci regala, come i precedenti, una poesia delicata e intensa di donna alla ricerca del senso profondo di ogni momento e gesto, anche quelli apparentemente più banali. Il suo sguardo va sempre oltre per cogliere quello che c’è di irripetibile in ogni attimo, in un tentativo di strapparlo alla dispersione. La sua è una poesia concreta e sensuale in cui le parole si impregnano di vita e carezzano la superficie del mondo come se fossero un prolungamento del corpo.
Il tema della raccolta è il viaggio, così connaturale all’autrice, la sensazione di precarietà del passeggero in transito, l’attraversare i non luoghi degli aeroporti, stazioni, alberghi, portandosi dentro comunque il senso della propria identità, il che non è in contraddizione con il desiderio di avvicinarsi e di conoscere profondamente l’altro, proprio in ciò che più lo distingue da noi e che ci attrae e spaventa allo stesso tempo. In questo libro, gli stessi significati dei termini «viaggio» e «viaggiare» si arricchiscono di nuove connotazioni: si viaggia anche senza uscire di casa e non sempre chi si sposta nello spazio compie dei veri viaggi. Un malato viaggia nel dolore (come nella poesia «Hérnia é o nome»), un gioiello antico viaggia da corpo a corpo di donna (come in «Viagem na pele»), il silenzio viaggia nelle bocca e nelle coscienze che non denunciano il male del mondo («Boca travada»), e una donna viaggia nel viaggio, impegnata in uno dei più antichi mestieri femminili, il ricamo, del tutto in contraddizione con la fretta spasmodica degli esecutivi piegati sui loro note-book: «Na Classe Executiva deste avião / aplicada como o homem com seu laptop / uma mulher borda. (…) Olhar posto no bastidor / perfil recortado contra a janela do avião / a mulher viaja.» [«Nella Classe esecutiva di questo aereo / impegnata come un uomo con il suo lapto / una donna ricama. (…) Sguardo fisso sul ricamo / profilo ritagliato contro il finestrino dell’aereo / la donna viaggia.]
I versi sono chiari, asciutti, spesso ironici, misurati e musicali: ogni parola è al posto giusto. Molti dei testi hanno la data e l’indicazione del luogo in cui sono stati scritti, il che aiuta il lettore a realizzare, con l’autrice, questi viaggi in profondità nelle cose. Scorrendoli, tracciamo una mappa affettiva che ci porta alla stessa poetica e alla vita di Marina Colasanti: Asmara, Seoul, Miami, Città del Messico, Parigi, Gerusalemme, Roma, Madrid, Mar Baltico, Beja, Cairo e altre città e paesi. Alcune poesie sono scritte in italiano, quasi a riprendere un dialogo con la lingua dei primi anni di vita, che ha il dono di cullarla e che è, come afferma, il riflusso, in bocca, della sua anima:
Fra l’arrosto e l’insalata si scatta la foto al ristorante. Il sorriso si fredda con la carne e del momento resterà un sapore vago come quello dell’unto in fondo al piatto. Ci vorrà poi la data scritta dietro Per non dimenticare il giorno in cui Fummo tanto felici.
Roma 2001
Nella dedica, posta all’inizio della raccolta, leggiamo: Para Affonso, que comigo partilha a dupla viagem de vida e poesia [Per Affonso, che con me condivide il doppio viaggio di vita e poesia], dove «Affonso» sta per Affonso Romano de Sant’Anna, noto scrittore, poeta e saggista, suo compagno nella vita. Dalla dedica si evince che, per la Colasanti, poesia è viaggio, ricognizione, recupero e, allo stesso tempo, perdita e abbandono di luoghi e persone. Non è un caso che la morte serpeggi qua e là nel libro, mostrando il suo volto di attesa angosciosa, come nella poesia “Meu corpo”, qui tradotta.
Oggi che il viaggio ha perso quell’aura quasi iniziatica con cui, per secoli, fu praticato e visto da artisti e intellettuali, esso è diventato un movimento vuoto il cui senso si compie solo nel momento in cui si raggiungono i luoghi, spesso affollati e alienanti. E invece il libro ci fa vedere che nulla va perso e che lo spostamento, il transito e il passaggio hanno già in sé il senso compiuto di scoperta e spesso di rivelazione. Infatti lo spaesamento e l’estraniamento che ci coglie quando avvertiamo attorno a noi profumi, rumori e suoni di voci sconosciute aiutano a creare le condizioni affinché la poesia si manifesti. I più bei versi di questo libro colgono proprio il momento in cui il poeta è più libero perché lascia se stesso e si lancia nell’avventura della scoperta del mondo, visto da un’altra dimensione e prospettiva:
Rulla sulla pista l’aereo che mi porta. Dal lato esterno del campo i molti vagoni di un treno avanzano sulle rotaie. Due forze si lanciano nella stessa direzione sorelle per secondi, e subito l’aereo si stacca dal suolo le ruote si nascondono nel ventre l’aereo si fa uccello. Sotto Il treno lentamente diventa un tratto di lapis nel verde.
(“E subito”)
Ciò che l’autrice svela e evidenzia non sono solo impressioni rapide di luoghi o notazioni di pittoresche abitudini e paesaggi, ma la densità dell’incontro con la vita e con l’altro, che si imprime nella sua sensibilità e nella coscienza e che è il vero obiettivo del viaggio. Marina Colasanti ci porta per mano a rivisitare il mondo con la magia che solo i poeti posseggono e, in questi tempi di egotismo e chiusura, ci invita a lasciare la comodità della nostra poltrona per fare con lei un viaggio verso l’anima del mondo.
POESIE DI MARINA COLASANTI da Passeggera in transito (Passageira em trânsito, Rio de Janeiro, Record, 2009)
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