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C’è questo di strano nell’uomo: l’arte, il vezzo di rappresentarsi il mondo secondo canoni e criteri astrusi. A differenza delle altre creature che abitano sulla terra e nel cielo o vivono negli abissi del mare l’uomo solo ha sviluppato il bisogno da irrefrenabile istinto marcato di ritrarre a forza quello che vede. Forse spinto dalla gelosia del Dio, creatura a sua volta e creatore del tutto, e dalla voglia di spaccare la mela tentato, ha rotto il patto. Quando poi ha scoperto dall’usura spietata del divenire libere le sue creazioni, s’è cullato nell’illusione d’affrancarsi dalla regola del tempo dando valore reale all’immagine e trattenendo il ruolo di comparsa immutabile per sé, in una scena in evoluzione (ricordi d’Oscar Wilde l’ossessione?). E un passo appresso all’altro è salito su fino al colmo della deriva dove solenne ha proclamato quanto segue: Reali sono i mostri che mi fingo, la verità è ciò che rappresento ed io stesso sono solo un’ombra delle coscienze altrui come una stella morta che s’ostina a palpitar nel cielo. |