FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 14 aprile/giugno 2009 Infanti |
LA POESIA DI JENARO TALENS di Pablo Luque Pinilla |
L’inquietudine stimola la mia poesia.1 Nato a Tarifa nel 1946, fin da piccolo è vissuto a Granada dove si è poi laureato in Lettere e Filosofia e ha conseguito il Dottorato in Filologia Romanza. È stato cattedratico di Letteratura Spagnola, Teoria della letteratura e Comunicazione audiovisiva presso le Università di Valencia, Minnesota, Carlos III di Madrid e, attualmente, di Ginevra. La sua traiettoria poetica conta una ventina di pubblicazioni, tra cui El cuerpo fragmentario (1978), Proximidad del silencio (1981), Tabula Rasa (1985), La mirada extranjera (1985), Menos que una imagen (1990), Viaje al fin del invierno (1997), Profundidad de campo (2001), l’antologia Cantos rodados (2001) e le raccolte Cenizas de sentido, 1961-1975 (1989), El largo aprendizaje, 1975-1991 (1991) e Puntos cardinales, 1991-2006 (2006). Le sue poesie sono tradotte in francese, inglese, tedesco, portoghese, italiano, bulgaro, lituano ed ebraico. Come traduttore si è occupato, tra gli altri, dell’opera di Petrarca, Shakespeare, Ghoethe, Hölderlin, Novalis, Rilke, Pound, Wallace Stevens, Bertolt Brecht, Samuel Beckett, Jabès, Derek Walcott e Seamus Heaney. Ha curato prefazioni e volumi dedicati a scrittori come Cervantes, Quevedo, Espronceda, Cernuda, e del regista Buñuel, solo per citarne alcuni. Notevole è anche la sua produzione saggistica sulla semiotica letteraria e la teoria cinematografica. Non a caso è fondatore e condirettore della collana Eutopías e direttore della collana Signo e imagen della casa editrice spagnola Cátedra, per cui ha curato anche una Storia Generale del Cinema. Una bibliografia completa dell’autore è disponibile su Wikipedia. Nonostante l’accompagni la fama di poeta cerebrale e difficile, il suo lavoro poetico ha ricevuto il riconoscimento di premi come il “Villa de Madrid”, il “Premio de la Crítica de la Comunidad Valenciana” (per due volte) e il “Premio de la Crítica de Andalucía”.
Questo itinerario di inquietudine viene affrontato a partire da un culturalismo e un intellettualismo di fondo (specie nella sua produzione relativa agli anni Settanta) agli antipodi del confessionalismo. L’impiego di un tono distaccato, così come il frequente ricorso a tropi e a una sintassi frammentata, in non poche occasioni, configurano uno stile al servizio di quei punti di fuga cui accennavamo sopra, non soggetti alla logica del vivere quotidiano, ma a un’immagine fedele della realtà nell’espressione lirica. Di fatto, nella scrittura di Jenaro Talens rileviamo una tendenza a costruire la poesia a partire da elementi stilistici sparsi (narratività, lirismo profondo, intellettualismo) che si traducono in composizioni complesse “collegate da sorprendenti scorciatoie che ci portano direttamente dall’idea concettuale alla sorprendente metafora”3 come lui stesso descrive ne “El espacio del poema”,4 uno dei pochi testi in cui elabora una sua personale poetica.
Per questo non ci devono stupire l’intensità e la diversità di buona parte del sostrato intellettuale della sua scrittura, che trova in figure del pensiero, della letteratura o del cinema la sua nicchia di influenze. Così, come lo stesso autore dichiara, fondamentale per lui è stata la lettura di scrittori presocratici come Nietzsche, Wittgenstein, Lévinas o Batail. Decisivo si è rivelato anche lo studio dell’opera di poeti (alcuni dei quali ha tradotto personalmente) come Ezra Pound, Wallace Stevens, E. E. Cummings, T. S. Eliot, Samuel Beckett, Mallarmé o di certa poesia orientale, specie quella di Lu Hsun. Queste scritture di riferimento si riflettono più di una volta nella frequente intertestualità delle sue composizioni, in cui, come afferma Juan Carlos Serrato, «si uniscono l’esperienza vitale filtrata dall’intelligenza critica, la riflessione filosofica, la tradizione poetica del modernism, la saggezza frammentaria dell’aforisma zen, il gusto per i linguaggi di “traduzione” come sottili passaggi tra le culture e tra la vita e l’arte, i riferimenti al cinema (una delle sue passioni dichiarate) e al rock (Jim Morrison, Bob Dylan o Jethro Tull appaiono accanto a T. S. Eliot, Ezra Pound, Aleixandre o Nietzsche)».5 E qualora ce ne fosse bisogno, aggiungiamo a mo’ di aneddoto, che Jenaro Talens è autore di un prologo per un’importante biografia del grande musicista di Baltimora, Frank Zappa.
1Jenaro Talens, «Inquietud que la pluma aplaca. Entrevista a Jenaro Talens [Video]», Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, Unidad Audiovisual-Área de Comunicación, 2005. [on line]: in cervantesvirtual.com 2Susana Díaz, «Cada lugar es una fisura del tiempo», in Lugares, Valencia, Institució Alfons el Magnànim, 2004, p. 4. 3Jenaro Talens, «El espacio del poema», in Cenizas de sentido (Poesía 1962-1975), Madrid, Cátedra, 1989; cit. Juan Carlos Fernández Serrato, «Desde esta biografía se ven poemas» ne Introducción a la antología de Jenaro Talens, Cantos rodados, antología de Jenaro Talens, Madrid, Cátedra, 2001, p. 61. 4Jenaro Talens, «El espacio del poema», in op. cit. 5Juan Carlos Fernández Serrato, op. cit. p. 36. |
POESIE DI JENARO TALENS
El aislamiento de una música en medio de la tormenta no tiene más sentido que estas palabras irreconocibles que un náufrago pronuncia como suyas, aun ignorando a quién o quiénes pertenecen. Estériles esbozos para una teoría de la resurrección. El centro es la unidad, pero también el punto de partida para una infinita multiplicación de círculos concéntricos. Soledad que se expande como la dureza opaca de un guijarro sobre la superficie del mar. Somos el blanco propicio para los dardos de la desesperación. Somos el muro y el espacio donde el muro surgió. La cárcel y su imposibilidad. Y si, finalmente, segregamos dolor y muerte es porque morir resulta ser el único residuo posible para una antorcha solitaria. Romper lo frágil y sus espirales. La libertad de conocer los límites: centro no ya, ni círculo, sino la realidad, ahora inevitable.
de Ritual para un artificio (1971)
L’isolamento di una musica nel mezzo della tempesta non ha più senso delle parole irriconoscibili che un naufrago pronuncia come sue, ignorando persino a chi appartengano. Sterili accenni per una teoria della risurrezione. Il centro è l’unità, ma anche il punto di partenza per un infinito moltiplicarsi di cerchi concentrici. Solitudine che si espande come la durezza opaca di una pietra sulla superficie del mare. Siamo il bersaglio adeguato per i dardi della disperazione. Siamo il muro e lo spazio in cui è sorto il muro. Il carcere e la sua impossibilità. E se, alla fine, segreghiamo dolore e morte è perché morire risulta essere l’unico residuo possibile per una torcia solitaria. Spezzare la fragilità e le sue spirali. La libertà di conoscere i limiti: non più centro, né cerchio, ma realtà, ora inevitabile.
Llegar a ser quien soy de El cuerpo fragmentario (1975)
Divenire chi sono
Mi oficio es divagar sobre estas cosas, Mirar los árboles que mi deseo erige, Mi oficio es la extrañeza: de Proximidad del silencio (1981)
Il mio mestiere è quello di divagare sulle cose, Guardare quegli alberi da me eretti, Il mio mestiere è la stranezza:
A mi hijo Sergio only when the dock stops does time come to life
De mi inconstancia bajo a ti, de La mirada extranjera (1985)
A mio figlio Sergio only when the dock stops does time come to life
Dalla mia incostanza su te mi chino,
yesca me han hecho de invisible fuego
Fui un viejo juglar, y conté historias. de La mirada extranjera (1985)
yesca me han hecho de invisible fuego
Fui un vecchio giullare e raccontai storie.
cánsome de fabricar lenta fortuna
Dónde buscar tu imagen, su volumen, de La mirada extranjera (1975)
cánsome de fabricar lenta fortuna
Dove cercare la tua immagine,
Ser ella, y él, sus máscaras, yo, el mismo de Menos que una imagen (1990)
Essere lei, e lui, le loro maschere,
Esas columnas grises de Menos que una imagen (1990)
Quelle colonne grigie
Estoy tumbado al borde de tu claridad, de Viaje al fin del invierno (1991)
Sono steso al bordo del tuo chiarore,
Me despertó el silencio de la madrugada. Como un rumor de pesadilla llegó hasta mí, sin anunciarse. Era apenas un punto, un agujero negro reciclando los ojos en la oscuridad. Vi ventanas abiertas, y paisajes con nubes. Muchedumbres sin rostro simulaban latidos. Supe que al fin la noche no se iría y aprendí de su presencia el valor de estar solo y tener miedo.
de Orfeo filmado en el campo de batalla (1994)
Mi svegliò il silenzio dell’alba. Come un mormorare da incubo arrivò a me, senza preavviso. Era solo un punto, un buco nero che riciclava gli occhi nell’oscurità. Vidi finestre aperte, e paesaggi con nuvole. Folle senza volto fingevano palpiti. Alla fine capii che la notte non se ne sarebbe andata e imparai dalla sua presenza il coraggio di stare da solo e aver paura.
Surges de un cielo antiguo, de Profundidad de campo (2000)
Sorgi da un cielo antico pablo.luque.pinilla@gmail.com
a cura di Pablo Luque Pinilla
traduzione di Gloria Bazzocchi
FINAL DEL LABERINTO
FINE DEL LABIRINTO
CUERPO SIN ATRIBUTOS
en este territorio donde el exilio es ya naturaleza
y la pasión no alcanza sólo ruina
nos recompone nos autodestruye
con voluntad de cambio una fisura
que disgregue las formas su sentido
en la memoria no verificable
de esta fuga o
deseo.
CORPO SENZA ATTRIBUTI
in questo territorio in cui l’esilio ormai è natura
e non c’è più passione ma rovina
ci ricompone ci autodistrugge
con voglia di cambiare una fessura
che disgreghi le forme il suo senso
nella memoria non verificabile
di questa fuga o
desiderio
EJERCICIO SOBRE TRANSPARENCIAS
dar cauce a lo invisible
que atraviesa unos muros tan altivos
o quizá apenas la raíz o el eco
de algún árbol difuso que la luz ulcera.
Vagas apreciaciones con que amueblo un orden
que nada espera cobijar. Ah, si mi voz pudiese
vivir con ignorancia en la indefinición.
ver este azul que nace con el amanecer.
ESERCIZIO SU TRASPARENZE
dar spazio all’invisibile
che attraversa così altezzose mura.
o forse solo la radice o l’eco
di un albero sfumato che la luce ulcera.
Apprezzamenti vaghi con cui arredo un ordine
che nulla spera di albergare. Potesse la mia voce
viver con ignoranza nell’indefinitezza.
vedere quest’azzurro che nasce con il giorno.
MIRANDO UNAS FOTOGRAFÍAS
W. Faulkner
igual que quien se adentra por un prado
con una libertad no del todo insumisa.
Una implacable duración golpea
el rostro de estas horas que no reconozco
porque cruzaron sobre mí sin verte,
sin comprender ni disiparme, sólo
con la desnuda terquedad de un aire desolado.
Te miro caminar hacia mi lejanía. Soy ya viejo
para unos ojos que aún esperan. Vienes,
frágil como la lluvia, entre las cosas
que la rutina implanta entre los dos. Querrías
ser como tú imaginas que yo soy.
Se me han ido los años. Si supieras
con qué avidez me acerco a tu ternura. Fluyo
entre libros extraños y lugares sin sol,
poblando su silencio con palabras
que no me implican ni me dicen, sólo
son un mero refugio
aunque para ti lleguen todavía
envueltas en el aura de un misterio,
de ese misterio absurdo por el que perdí
ver tu niñez creciéndome, hijo mío.
GUARDANDO ALCUNE FOTOGRAFIE
W. Faulkner
come chi si addentra in un prato
con una libertà non del tutto ribelle.
Un’implacabile durata batte
il volto di queste ore che non riconosco
passate su di me senza vederti,
senza capire o dissolvermi, solo
con la nuda testardaggine di un’aria desolata.
Ti guardo camminare verso la mia lontananza. Ormai vecchio
per occhi che ancora sperano. Avanzi,
fragile come la pioggia, tra le cose
che la routine instaura tra di noi. Vorrei essere
come tu t’immagini che io sono.
Ho perso il conto degli anni. Sapessi
con quale avidità accosto la tua tenerezza.
Tra libri estranei e luoghi senza sole fluisco,
riempiendo quel silenzio con parole
che non mi coinvolgono né mi parlano,
sono solo un rifugio
anche se per te giungeranno ancora
come avvolte in un’aura di mistero,
quel mistero assurdo che mi ha impedito
di veder crescere in me la tua infanzia, figlio mio.
EPITAFIO
Francisco de la Torre
Mi nombre os es indiferente.
Sólo dejo constancia de mi oficio
porque fue oficio quien dictó mis versos
no la pequeña vida que viví,
ni su dolor, ni su insignificancia.
Ella murió conmigo, y aquí yace,
desnuda como yo, bajo esta piedra.
EPITAFFIO
Francisco de la Torre
Il mio nome vi è indifferente.
Lascio fede solo del mio mestiere
perché fu il mestiere a dettare i versi
e non la piccola vita vissuta,
né il suo dolore, né la sua pochezza.
Lei morì con me, e giace qui,
come me nuda, sotto questa pietra.
LA FIGURA EN EL TAPIZ
Rioja
el subterfugio de decirte con
palabras que no dicen, se disgregan, y
eliden piel, y cuerpo, y no conocen,
casi como si un aire, o si fragmentos, o
tal vez memoria, que fue tuya, que
no dice cómo, ni por qué, ni dónde.
LA FIGURA NELL’ARAZZO
Rioja
il pretesto di dirti con
parole che non dicono, si disperdono, ma
elidono pelle, corpo e non sanno,
quasi fossero un’aria, o frammenti, o
forse memoria, che fu tua, che
non dice come, né perché, né dove.
ESCRIBIR LA PARÁBOLA
rostro y la sombra que le niega,
la superficie impávida de un nombre
donde nombrar la muerte con el simulacro
que un cuerpo, el mío, asume sin cesar.
Oigo su voz, abril es diferente
junto a este mar que es suyo aunque no es suyo,
que murmura en su oído y me es ajeno,
bajo la luz de un cielo que le cubre por primera vez.
Ignoro cuándo, para quién y cómo
estas palabras son las que desdoblan
el hueco informe en que me instauro, fluye
mi voz y avanzo, me dibuja, un río
que le inscribe y me borra. Sólo tú
sabrás quién habla, dónde está, qué somos.
SCRIVERE LA PARABOLA
io, il volto e l’ombra che lo rinnega,
la superficie impavida di un nome
dove nominare la morte col simulacro
che un corpo, il mio, accetta senza fine.
Sento la sua voce, aprile è diverso
vicino a questo mare che è suo e pur non è suo,
che mormora al suo orecchio e mi è estraneo,
sotto la luce di un cielo che lo copre per la prima volta.
Ignoro quando, per chi e come
queste parole scindono
il buco informe in cui mi instauro, scorre
la voce e avanzo, mi disegna, un fiume
che lo incide e mi cancella. Tu solo
saprai chi è che parla, dov’è, che siamo.
LOS LÍMITES DE LA MEMORIA
que apuntalan el cielo de noviembre.
La claridad que se derrumba sobre los tejados.
Un frío casi azul araña los cristales.
Es un frío sin nubes,
sin otra piel que el rojo de los árboles.
El olor impensable de su desnudez.
Se oye un rumor de mirlos que emigraron,
el espesor de un tiempo cada vez más débil,
como una imagen que se apaga.
Tocar un rostro. Su respiración.
Ir pautando el silencio,
un silencio que cambia cada día.
En la ciudad empieza a amanecer.
I LIMITI DELLA MEMORIA
che puntellano il cielo di novembre.
Il chiarore che si abbatte sui tetti.
Un freddo quasi azzurro riga i vetri.
È un freddo senza nuvole,
senz’altra pelle che il rosso degli alberi.
L’odore imprevedibile della sua nudità.
Un rumorio di merli che migrarono,
la densità di un tempo che è ormai debole,
come immagine che si spegne.
Toccare un volto. Il suo respiro.
Regolare il silenzio,
un silenzio che cambia tutti i giorni.
Nella città comincia a farsi giorno.
TESTIMONIO DE UN CUERPO - Fragmento IV
en la suntuosidad de una batalla
donde ninguno es vencedor.
Y hasta el olor del cuarto,
donde rugen, insomnes, tu apetito y mi sed,
florece sin saberlo, como un musgo surgido
de mi humedad tan tuya, de un sendero
que nos conduce hasta ese mar sin olas,
la tierra azul donde se desordena
el centro mismo del placer, la espuma
en que consiste toda esta explosión, y, al fondo,
la lluvia que golpea las ventanas,
la lluvia siempre otra, insobornable,
con sus lentas espinas.
TESTIMONIANZA DI UN CORPO - IV
nella sontuosità di una battaglia
in cui nessuno è vincitore.
E anche l’odore della stanza,
dove insonni ruggiscono, la tua fame e la mia sete,
fiorisce e non lo sa, come un muschio che è nato
dalla mia umidità così tua, da un sentiero
che ci conduce a quel mare senza onde,
la terra azzurra dove si scompiglia
quel che è il centro del piacere, la schiuma
in cui consiste tutta questa esplosione, e, in fondo,
la pioggia che colpisce le finestre,
la pioggia sempre altra, incorruttibile
con le sue lente spine.
NOCHE COLOR DEL ALBA
NOTTE COLORE DELL’ALBA
ENVOI
del frescor crispado
con que la nieve repentina azota la ciudad.
Te cubre un halo, como en una foto
en la que se ha perdido el claroscuro
y los contornos y tan sólo el frío
te reconforta y te protege.
Sobre la cartulina
mis dedos acarician lo que intuyen de ti
y se demoran, impacientes, como quien espera
que se abra una puerta
y le inviten a entrar.
ENVOI
del fresco esasperato
con cui la neve repentina colpisce la città.
Ti copre un alone, come una foto
in cui si sono persi il chiaroscuro
ed i contorni e solo il freddo
ti riconforta e ti protegge.
Sul cartoncino
le mie dita accarezzano quel che di te intuiscono
e indugiano, impazienti, come colui che aspetta
che si apra una porta
e lo invitino a entrare
gloria.bazzocchi@unibo.it