FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 9
gennaio/marzo 2008

Luoghi narrati

FRONTIGNAN, LE ACQUE MAGNETICHE
Un racconto francese

di Viviane Ciampi



La striscia di terra tra il mare e lo stagno d'Ingril, oltre che una quasi orgogliosa difesa dal turismo di massa possiede un nome che prende forma rotonda in bocca, appena lo pronunci: Frontignan. Pare che Charles Trenet, negli anni quaranta avesse scritto la famosa canzone "La mer" mentre dal finestrino del treno gli scorreva davanti agli occhi la spiaggia di sabbia del paesino del Languedoc. Forse neppure ci si fermò. Andava da Carcassonne a Narbonne, sua città natale. Si annoiava, come spesso ci si annoia durante i tragitti in treno e scrisse in venti minuti il motivo che poi fece il giro del mondo attraversando generazioni.

Ciò che ho appena detto a proposito di Charles Trenet, non posso dimostrarlo.

In realtà, si tratta del racconto molto dettagliato fatto dal controllore del treno sul quale mi trovo da parecchie ore. E per quanto riguarda il mio primo approccio con questo luogo - parliamo sempre di Frontignan -, l'unica cosa che noto dal finestrino è soprattutto la fredda sagoma di una raffineria.

- Un tempo, quando soffiava il mistral, non si poteva neppure mettere il naso fuori di casa per via del cattivo odore della raffineria. Ma adesso per fortuna l'hanno disattivata.

A parlare è ancora il controllore, che arrotola la erre e accentua il finale delle parole come si usa nel mezzogiorno della Francia. Il resto del discorso si perde in un bisbiglio indistinto coperto dallo sferragliare del treno.

Un viaggiatore, apprestandosi a scendere, mi spiega che quasi ogni anno, nella stagione delle piogge arrivano le inondazioni.

- A causa degli stagni?

L'uomo non fa caso alla mia domanda e continua per i fatti suoi.

- Il fallait voir... doveva vedere come galleggiavano i mobili in mezzo alla stanza... un mese per ripulire! C'était plein de boue... fango ovunque! Ci devono ancora pagare i danni. Le cose vanno così, ormai. Frontignan, poi, è dimenticata da tutti.

Ogni volta che si parla con qualcuno che vive in un posto diverso dal nostro s'imparano cose definitive.

Un viaggiatore ha lasciato un quotidiano sul sedile: Le Midi Libre. Leggo: Nuocere alle specie protette può costare fino a tre mesi di reclusione. Nella terza pagina: Frontignan, zona di stagni, di saline e di osservazione della fauna.

Allora perché non scendere qui anch'io? Una mia amica ornitologa, qualche anno prima, aveva tentato di convertirmi all'esplorazione della fauna, insegnandomi su libri e guide a riconoscere gli uccelli e facendomi ascoltare il suo prezioso archivio di canti e gridi registrati. Quando andava per lavoro in paesi lontanissimi mi spediva delle registrazioni di fruscii, suoni delle foreste, canti d'uccelli rari e a me sconosciuti. Chiamava quei nastri (accompagnati da schede della sua scrittura fitta fitta), "cartoline sonore". Mi aveva anche invitata in Africa, nella sua seconda casa. Ma era l'anno della tesi, così non andai.

Il passeggero alluvionato che sta per scendere dal treno ripete dondolando la testa che Frontignan è un posto dimenticato da tutti.

Se questo è un posto dimenticato da tutti dev'essere piacevole perdervisi dentro, penso.

Sono su questo treno perché avevo voglia di abbandonare la mia città, non dico definitivamente come in una vera fuga, ma almeno per un po'.

Il motivo?

Lo stesso che nei romanzi: c'è un lui e una lei, per un po' si amano, poi uno dei due non si fa più vivo. La storia, sarebbe anche più complicata, ma ogni buon narratore sa che la pazienza di chi legge non è infinita...

Quindi, cerco una stanza d'albergo e presto la trovo. La camera, piccola, pulita, con foto delle "joutes" (palio marinaro) alle pareti, ha vista su cortile.

Il portiere mi racconta che gli abitanti della zona giurano d'aver di nuovo incontrato il cosiddetto fantasma della Dama Bianca. Molti l'avrebbero vista, di notte, al Ponte Verde, vicino al bosco degli Aresquiers, à deux pas d'ici, vale a dire a un tiro di schioppo da dove ci troviamo. Che si trattasse di un'armata di buontemponi o di ubriachi al ritorno da una discoteca? Pas du tout, pas du tout... Secondo il portiere pare proprio di no. I testimoni della "Dame Blanche du Pont Vert" sarebbero davvero tanti, di zone diverse, di ogni età. Mentre parla, mi ricordo d'aver già sentito questa storia, anni fa, sulla rete televisiva Antenne 2, in un programma dedicato al mistero. La vicenda era persino uscita dai confini della Francia.

La Mer, qu'on voit danser, le long des golfes clairs, a des reflets d'argent...

Sotto la doccia canticchio il motivo con il quale s'innamorarono mio padre e mia madre. Non portò fortuna ai due, la canzone. Il loro matrimonio durò poco; appena il tempo che nascessi io.

Papà era affascinante ma anche un dongiovanni, un "femmelier", come si diceva in famiglia, con una di quelle parole convenzionali che nascono nei nuclei familiari e non si trovano nei dizionari. Mamma mi raccontò che l'ultimo giorno del loro amore, mentre faceva accomodare il "femmelier" in direzione della porta, aveva perso un bottone. Papà era tornato indietro per restituirglielo e forse per strapparle un ultimo bacio. Bacio che al fedifrago fu negato.

- Perdere un bottone è molto peggio che perdere un amore!

Così lo aveva liquidato mamma. Si rividero trent'anni dopo, per caso. Occasione in cui si confessarono di non aver mai smesso di canticchiare "La mer".

L'albergo si rivela particolarmente silenzioso. Sarò l'unica cliente? Di notte sogno che la Dama Bianca e il controllore mi mostrano gli stagni con la stessa cura usata da Virgilio mentre accompagnava Dante nella Divina Commedia.

Oddio che cosa faccio in questa stanza? Eccomi sveglia all'alba per la prima volta in vita mia, tanto intontita che non so più chi sono né perché ho dormito qui. Mi pare una partenza ideale per una nuova giornata!

L'alba è l'ora più favorevole per avvicinarsi alla fauna selvatica. Da dove mi trovo, nascosta tra i giunchi ai bordi dello stagno, posso scorgere da lontano Sète, la città di Pierre Brassens e intravedere la collina del cimitero marino dove si trova la tomba del poeta Paul Valéry. Ci andrò, più tardi o un altro giorno. Mio padre mi aveva regalato il libro Le cimetière marin, nella prima edizione, trovato da un bouquiniste.

Spesso mi recitava i versi: «La mer, la mer toujours recommencée...» e io, da bambina, mi chiedevo perché mai il mare si trovasse a dover ricominciare qualcosa.

- Un jour tu comprendras.

Non immaginavo neppure che cosa avrei dovuto capire.

Il pensiero, intanto, si muove a grande velocità. Sono turbata da tante coincidenze: Trenet, Valery. Questo luogo sconosciuto mi parla della mia storia.

Ma siamo in Africa o sbaglio?

Eccoci a pochi chilometri di distanza dalla Camargue, eppure la Camargue abita già qui. Una striscia di luce buca lo specchio dello stagno. In mezzo ai giunchi, tra profumi di tamerici e odore di melma, la barba di becco, il cardo giallo. M'infilo più in profondità nel canneto, spiata da una trentina di anitre e una faina. Non occorre camminare a quattro zampe per sorprendere la cincia col ciuffo o l'albastrello. Posano volentieri nel cerchio d'albumina del binocolo prestatomi dall'albergatore.

Ho freddo. Sono in esilio dentro questa natura che sto alterando mio malgrado e che non mi vuole.

Suono dopo suono, immagine dopo immagine avanzo di fronte all'indifferenza del mare appena più lontano.

Dopo le piogge dell'inverno, i flamants roses, i grandi fenicotteri, avevano disertato lo stagno ma ora arrivano a squadriglie poiché lo stagno si abbassa di due centimetri al giorno a causa dell'evaporazione e possono andare in cerca del gamberetto artemia da cui trarranno il colorante rosa che tingerà più tardi le loro piume; inoltre, cercheranno il cibo fino a quaranta chilometri in tutto il circondario; è in quest'acqua bassa che l'airone cenerino si nutre di pesci estirpati dai buchi e all'occorrenza di qualche ranocchio. Per non dimenticare una grande seduttrice: l'egretta: bianchissima, elegante, tutta trina e vezzi. Riesce a rimanere per ore ferma su una pietra come una dea impassibile.

Tutte voci spezzate che permangono qui, nell'oasi di finto silenzio.

Un gesto troppo brusco per farmi largo tra i cespugli fa volare di colpo una decina di canards sauvages. Insomma, non sono ospite gradita tra le anitre selvatiche! Erano certo servite a qualcosa le lezioni della mia amica ornitologa, ma avrei dovuto ricordarmi il suo primo comandamento:

- Muoviti con estrema lentezza, anzi se puoi, diventa invisibile!

Domani tornerò per cercare il tuffalo, l'ostralega, il picchio nero e la rara cicogna. Ma per osservare i grandi migratori a distanza ravvicinata dovrò strisciare nel pantano. L'idea del pantano mi piace molto perché assomiglia all'habitat dei miei pensieri in questi giorni.

Chissà che una notte non incontri la Dama Bianca. A meno che non sia un'invenzione dell'ufficio turistico locale!

Da quanto tempo sono arrivata? Perché non riesco a tornare nella mia vecchia Lione? Un velo di apprensione mi si appiccica addosso. Ora sto seduta tra dune che somigliano a molte altre dune. La spiaggia risulta devastata da una marea rovinosa che ha scaricato enormi massi provenienti dai lavori eseguiti nel porto di Sète. Il mare grigiastro nasconde un occhio sommerso e spirali d'ombra.

- Vous avez entendu la nouvelle? C'est une bombe!

Un pescatore con "l'accent du midi" cerca di attaccare bottone e mi porta la notizia fresca di stampa:

- Durante lavori di scavo in mare è stata ritrovata a trecento metri dalla riva, una nave mercantile del diciottesimo secolo ancora intatta. Una scoperta di grande valore, sa? Quest'anno arriveranno i turisti non solo per il palio marinaro e per il moscato. Va bene, torno ad assicurarmi il pranzo...

- I pesci non abboccano, eh?

L'uomo - visibilmente un abitante della zona - non capisce se la mia è una battuta di spirito e si allontana, un po' offeso dalla mia involontaria indelicatezza, bofonchiando qualcosa. Lo vedo continuare a pescare inutilmente tra gli "épis", massi rocciosi messi ad arte per proteggere la spiaggia dall'erosione marina.

Sono stata troppo brutale; eppure in lui c'era una sorta di calore umano, fraterno. Ma noto anche che pesca sullo stesso "épi" da diverse settimane senza che abbocchi neppure un pesce. Non gli porto fortuna pover'uomo! Eppure mi ero ben guardata da augurargli "buona pesca".

Ripenso al fatto della nave sommersa: chissà che cosa avranno da raccontare tutte quelle vite, là sotto.

Ma quello che cerco non è neppure qui. Non davanti a questo mare, quanto meno.

Si fa quasi sera nella striscia dello stagno d'Ingril, parallela al mare. Una croce in ferro battuto - simbolo forte per i pescatori della zona - troneggia su un isolotto in mezzo alle acque, in memoria di marinai caduti. È stata inaugurata da pochi giorni con una breve cerimonia religiosa in lingua occitana, alla presenza del sindaco di Frontignan e di uomini e donne in abito tradizionale. Quando soffia il mistral che non riesce a cancellare le divine presenze, lo stagno s'increspa appena, sparge i suoi odori e resta in attesa dei windsurfisti, dei cercatori di fauna limicola, della cenere dei defunti. Forse è un mostro di acqua e fango? O una deità incerta che vorrebbe attirarmi a sé?

A star seduti in luoghi come questi ci si chiede che cosa facesse il tempo quando non c'eravamo noi a vederlo passare.

Domani tornerò a Lione, la mia città dai due fiumi, disperatamente bella e normale, con il suo fiorire di negozi e piante finte, e sarò finta anch'io, di nuovo invischiata nel dovere e nella logica del lavoro. A meno di un miracolo, nessun fidanzato ad attendermi.

Decido di sostare fino all'arrivo del buio sulla riva d'Ingril, un'ultima volta, come per un addio.

Resto un'oretta raggomitolata in sospensione letargica. Ma l'impressione è che qualcuno mi sieda accanto.

 

viviane_ciampi@fastwebnet.it



Frontignan
foto di Laurent Delemotte