FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 6
aprile/giugno 2007

Scorie & Rifiuti

LA POESIA DI ANTONIO COLINAS

a cura di Pablo Luque Pinilla


El paso del tiempo y los libros que he ido escribiendo y publicando me han convencido cada día más, de la estrecha relación existente entre poesía y vida, entre la experiencia de crear y la experiencia de ser.

          ANTONIO COLINAS1

Antonio Colinas nasce a La Bañeza, León, nel 1946. Un terzo della sua produzione letteraria (un centinaio di pubblicazioni), è incentrato sulla poesia; il resto si divide tra romanzi, racconti, saggi, biografie, libri di viaggio, traduzioni e antologie. La raccolta El río de sombra, Treinta y cinco años de poesía, 1967-2002 (Madrid, 2004) comprende i seguenti volumi: Junto al lago (1967), Poemas de la tierra y de la sangre (1969), Preludios a una noche total (1969), Truenos y flautas en un templo (1972), Sepulcro en Tarquinia (1975), Astrolabio (1979), En lo oscuro (1971), Noche más allá de la noche (1983), Jardín de Orfeo (1988), La muerte de armonía (1990), Los silencios de fuego (1992), Libro de la mansedumbre (1997) e Tiempo y abismo (2002). Per una bibliografia dettagliata rimandiamo al sito: lbonline.net.

Molti sono stati i premi e i riconoscimenti all'opera di Colinas tra cui il "Premio Nacional de la Crítica" (1975), il "Premio Nacional de Literatura" (1982) e il "Premio de las Letras de Castilla y León" (1999). In Italia, sempre nel 1999, ha ricevuto il Premio Internazionale Carlo Betocchi, come riconoscimento al suo lavoro di traduttore e studioso della cultura italiana; nel 2005, poi, per la traduzione della Poesia Completa di Salvatore Quasimodo, il Ministero degli Affari Esteri Italiano gli ha conferito il Premio Nazionale di Traduzione

La sua poesia, «dalla gestazione lenta e tranquilla», stando alle parole di María Zambrano, è un appassionante itinerario in cui biografia e scrittura si uniscono e comunicano continuamente tra loro. Così, col suo immenso talento letterario, Colinas riesce a ricavare dalla scrittura poetica principi di conoscenza ed esaltazione dell'essere, partendo dal proprio periplo esistenziale che, in questo modo, si svela, si approfondisce e si rafforza. Il percorso di Colinas, infatti, è stato caratterizzato, fin dalla sua gioventù, da un certo nomadismo: l'infanzia a León, l'adolescenza a Córdoba, la formazione universitaria a Madrid, l'esperienza in Italia, come Lettore di Lingua Spagnola nelle Università di Milano e Bergamo, tra il 1970 e il 1974, i ventuno anni a Ibiza, tra il 1977 e il 1998, ormai completamente dedito all'attività letteraria e infine Salamanca, dove risiede dal 1998. Questo nomadismo gli ha permesso di sviluppare una traiettoria che si è andata arricchendo grazie alle diverse realtà e sfumature che ognuno di questi luoghi gli ha offerto. Così, a La Bañeza, in piena meseta castigliano-leonese - lo «spazio originario»2 - la natura e i libri diventano fonte di apprendimento fondamentale. A Córdoba, poi, tale apprendimento prosegue con l'osservazione degli elementi naturali e la letteratura, insieme alla lettura dell'opera di poeti universali come Juan Ramón Jiménez, Antonio Machado o Ricardo Molina. A Madrid attinge dall'ambiente letterario e la sua vocazione poetica si conferma e si consolida. È qui che pubblica Preludios a una noche total (1969), raccolta di poesie con cui intraprende un cammino neoromantico all'interno della giovane poesia spagnola del momento e dove coniuga le influenze della natura e l'esperienza amorosa, intensamente vissuta.

La permanenza in Italia rappresenterà un periodo di vera e propria illuminazione in cui l'unione della cultura romana e rinascimentale segneranno per sempre la sua scrittura. Colinas vivrà la stessa attrazione per questa terra che sperimentarono scrittori come Byron, Shelly, Keats, Goethe o Stendhal. Il libro che appare maggiormente intriso di cultura italiana è Sepulcro de Tarquinia (1975) in cui la latinità diviene una delle fonti principali di ispirazione del testo, ragione che ben presto procurò a Colinas la fama di poeta culturalista, in linea con alcuni scrittori della sua generazione. Il fascino per l'Italia lo ha anche spinto ad occuparsi dell'opera di poeti come Dante, Leopardi e Quasimodo. Si chiude così un itinerario vitale che è anche letterario, in cui lo spazio originario, il neoromanticismo e il culturalismo rappresentano alcuni dei suoi segni. A Ibiza, dove rimane per più tempo rispetto ad ogni altro luogo, il poeta si imbeve dello «spirito mediterraneo»3, «un modo di sentire ed essere universalizzato»4 per il confluire di razze e culture in quest'area geografica, cui si aggiungono le letture di alcuni maestri del pensiero primitivo orientale e dell'opera, tra gli altri, di Mircea Eliade, Jung e María Zambiano; si va così delineando l'insieme delle influenze del secondo periodo del suo ciclo poetico, ricco di motivi provenienti dal taoismo e il misticismo, come si può riscontrare nell'opera Noche más allá de la noche (1983).

Infine, a Salamanca, di nuovo nella meseta, il poeta riprende il contatto diretto con gli elementi originari, già descritti in precedenza per la sua permanenza a La Bañeza, durante l'infanzia e la prima adolescenza. In questa città castigliana, sviluppa quello che potremmo definire un terzo periodo, corrispondente alle ultime due raccolte, in cui approfondisce il concetto di mansuedumbre (mitezza), che il poeta concepisce come uno stato di massima accettazione di quello che succede, dopo un arduo e doloroso cammino di elaborazione personale delle vicissitudini e contraddizioni della vita, che gli consente di sperimentare la pace, così come di approfondire i nessi che uniscono l'uomo alla realtà che lo circonda, in particolar modo la natura. Non a caso, il primo di questi libri s'intitola Libro de la mansedumbre (1997).

Come giustamente afferma il professor José Enrique Martínez Fernández, si tratta, in definitiva, di un'opera la cui poetica, «deve essere collocata sotto il segno di Orfeo, che commuove il mondo col suo canto e mostra agli uomini i misteri delle cose»5. Inoltre, la visione simbolica del mondo rappresenta il pilastro costitutivo e probabilmente più importante della sua poesia. Di fatto, la capacità di percezione simbolica del poeta comprende il campo teorico, esplorato a fondo nei suoi saggi, e quello artistico, sviluppato a livello poetico. Colinas spesso vede nelle cose una seconda realtà così che la pietra, la notte, la luce, la cima, la neve, l'acqua, l'albero, il bosco, il fiume, il mare, la strada, il giardino, alcuni animali, la respirazione e l'amore, solo per citarne alcuni, diventano simboli in cui ritrova corrispondenze con la vita dell'uomo e insegnamenti per la stessa.



1Antonio Colinas, Para una antología de mi poesía, prologo a La hora interior, p. 7; citazione José Enrique Martínez Fernández, En la luz respirada, Cátedra, Madrid, 2004, p. 13.
2José Enrique Martínez Fernández, op. cit., pp. 14-33.
3Antonio Colinas, Del pensamiento inspirado I, pp. 56-69; citazione José Enrique Martínez Fernández, op. cit., p. 30.
4Ibid.
5Op. cit., p. 34.


Traduzione di Gloria Bazzocchi




Bibliografia essenziale




POESIE DI ANTONIO COLINAS
a cura di Pablo Lunique Pinilla
traduzione di Gloria Bazzocchi


TIERRA PROMETIDA

Sabía que a mi espalda cegaba el mar inmenso.
Honda estaba la tarde detrás de los olivos
y temblaban las ramas cargadas de susurros.
Desgarraban el cielo en llamas las palomas.
Un aroma oriental embalsamaba el aire.

Sobre toda la faz gloriosa del planeta
resbaló mi mirada probando la hermosura.
Pero sólo posé mis ojos en tus ojos.
Me perdí confiado donde sonaba el agua
de tu voz, donde el sol iluminó la tierra
prometida que estuve soñando desde niño.

(de Preludios a una noche total, 1969)


TERRA PROMESSA

Sapevo che dietro me accecava il mare immenso.
Profonda era la sera a ridosso degli ulivi
e tremavano i rami carichi di sussurri.
Squarciavano il cielo in fiamme le colombe.
Un aroma orientale profumava l'aria.

Su tutta la faccia gloriosa del pianeta
scivolò il mio sguardo assaporando la bellezza.
Ma posai soltanto i miei occhi sui tuoi occhi.
Mi smarrii fiducioso dove risuonava l'acqua
della tua voce, dove il sole illuminò la terra
promessa che andai sognando fin da bambino.


NOCTURNO EN EL RÍO

Detrás de los cristales vi llegar otra noche
cuando encendí la lámpara amarilla del cuarto.
Chirriaba agria la verja, sacudía la parra
su cabellera seca, los gajos ateridos.
Ya fuera, en el paseo de acacias, tiritaban
los ramajes desnudos, las estrellas distantes
de aquella última noche azulada, profunda.
Bajaba hacia la orilla del río y en los sotos
veía las hogueras arder, el humo denso
flotar como un cendal de niebla entre los juncos.
Al calor de las llamas estaban los mendigos
de rostro amoratado. Con sus manos huesudas
echaban a la hoguera cortezas, hojarasca.
Repleto de silencio pasaba el río oscuro.
En los molinos viejos del cauce rebullían
las ratas y las nutrias. Cruzaban a lo lejos
los perros, chapoteaban los restos del deshielo,
las acequias fangosas de la pradera, el légamo.
Salí a buscar las huellas de otros días mejores.
Removí cada brizna de yerba, cada pulso
medroso de la noche de invierno por si acaso
hallaba algún recuerdo de entonces, algún tibio
rincón donde quedaran destellos de su imagen.
Pero sólo encontré la soledad, el miedo.
Recuerdo que era invierno cuando dejé mi cuarto.
Recuerdo que la noche era azulada, fría.

(de Preludios a una noche total, 1969)


NOTTURNO SUL FIUME

Da dietro i vetri vidi arrivare un'altra notte
quando accesi la lampada gialla della stanza.
Cigolava stridulo il cancello, scuoteva la vite
la sua chioma secca, i racimoli intirizziti.
Là fuori, lungo il viale alberato, tremavano
i rami nudi delle acacie, le stelle lontane
di quell'ultima notte azzurra, profonda.
Scendevo verso il fiume e nella boscaglia
vedevo i roghi ardere, il fumo denso
fluttuare come zendado di nebbia tra i giunchi.
Al calore delle fiamme erano i mendicanti
dal volto livido. Con le loro mani ossute
gettavano nel fuoco cortecce, fogliame.
Carico di silenzio passava il fiume oscuro.
Nei mulini vecchi del canale s'agitavano
i ratti e le nutrie. Lontano passavano
i cani, sguazzavano tra i resti del disgelo,
i canali fangosi dei pascoli, la melma.
Uscii a cercare le tracce di giorni migliori.
Rovistai tra ogni filo d'erba, tra ogni palpito
timoroso della notte d'inverno caso mai
rinvenissi un ricordo di allora, un tiepido
angolo con un riflesso della sua immagine.
Trovai soltanto la solitudine, la paura.
Ricordo che era inverno quando lasciai la stanza.
Ricordo che la notte era azzurra, fredda.


EN LO OSCURO

Buenas noches, deseo
Traes flores sobre la frente y vienes caminando
por la orilla del mar, salpicada
bajo la verdinegra membrana del crepúsculo.
Buenas noches, y pasa.
Pasa para que quede este instante que tuvo
sabor a olvido,
a sueño consumido
o a fuego inconsumado.
Buenas noches, deseo,
mientras todos los huertos se conmueven
con la frescura de los laureles mojados
y brillas, a lo lejos, como brasa en lo oscuro.

(de Astrolabio, 1979)


NELL'OSCURITÀ

Buona notte, desiderio.
Hai fiori sulla fronte e stai
camminando
lungo la riva del mare, spumeggiante
sotto la membrana verdenera del crepuscolo.
Buona notte, ed entra.
Entra affinché rimanga quell'istante
che sapeva di oblio,
di sogno consumato
o di fuoco inconsunto.
Buona notte, desiderio,
mentre tutti i giardini si commuovono
per la freschezza degli allori bagnati
e tu brilli, lontano, brace nell'oscurità.


X

Mientras Virgilio muere en Bríndisi no sabe
que en el norte de Hispania alguien manda grabar
en piedra un verso suyo esperando la muerte.
Este es un legionario que, en un alba nevada,
ve alzarse un sol de hierro entre los encinares.
Sopla un cierzo que apesta a carne corrompida,
a cuerno requemado, a humeantes escorias
de oro en las que escarban con sus lanzas los bárbaros.
Un silencio más blanco que la nieve, el aliento
helado de las bocas de los caballos muertos,
caen sobre su esqueleto como petrificado.
Oh dioses, qué locura me trajo hasta estos montes
a morir y qué inútil mi escudo y mi espada
contra este amanecer de hogueras y de lobos.
En la villa de Cumas un aroma de azahar
madurará en la boca de una noche azulada
y mis seres queridos pisarán ya la yerba
segada o nadarán en playas con estrellas.

Sueña el sur el soldado y, en el sur, el poeta
sueña un sur más lejano; mas ambos sólo sueñan
en brazos de la muerte la vida que soñaron.
No quiero que me entierren bajo un cielo de lodo,
que estas sierras tan hoscas calcinen mi memoria.
Oh dioses, cómo odio la guerra mientras siento
gotear en la nieve mi sangre enamorada.

Al fin cae la cabeza hacia un lado y sus ojos
se clavan en los ojos de otro herido que escucha:
Grabad sobre mi tumba un verso de Virgilio.

(de Noche más allá de la noche, 1983)


X

Mentre Virgilio muore a Brindisi non sa
che nel nord della Hispania qualcuno fa incidere
sulla pietra un suo verso mentre aspetta la morte.
È un legionario che, in un alba innevata,
vede levarsi un sole di ferro tra i querceti.
Spira una tramontana impestata di carne putrida,
di corno bruciato, di fumanti scorie
d'oro tra cui frugano con le loro lance i barbari.
Un silenzio più bianco della neve, il fiato
gelido delle bocche dei cavalli morti,
cadono sul suo scheletro come pietrificato.
Oh dei, quale pazzia mi ha spinto su questi monti
a morire e quanto inutili il mio scudo e la mia spada
contro questo albeggiare di roghi e di lupi.
Nella città di Cuma un aroma di zagara
maturerà nella bocca di una notte azzurra
e i miei cari staranno calpestando l'erba
falciata o nuoteranno in spiagge con le stelle.

Sogna il sud il soldato e nel sud il poeta
sogna un sud più lontano; ma entrambi solo sognano
in braccio alla morte la vita che sognarono.
Non voglio essere sepolto sotto un cielo di fango,
che questi monti cupi brucino la mia memoria.
Oh dei, come odio la guerra mentre sento
stillare sulla neve il mio sangue innamorato.

Alla fine la testa si piega e i suoi occhi
fissano gli occhi di un altro ferito che ascolta:
Incidete sulla mia tomba un verso di Virgilio.


EXCAVACIÓN

Todo el día hemos estado arrodillados
abrazando la tierra:
la buena tierra y la tierra infecunda,
la que oculta cenizas, la que guarda tesoros.
Hundimos nuestras manos en la tierra más negra
y hacia el atardecer, como polvo de oro,
la alzamos a los ojos.

¿De dónde este perfume, la ternura del monte?
¿Y de quién estos huesos astillados?
No han durado más ellos
que esa plata ligera que bien pudo ceñirlos;
esos huesos que un día acaso fueron labios
que en otros labios iban mordiendo adolescencia.

Cae el sol y nosotros
caemos abatidos
sobre esta mansa noche de la tierra
que todo nos lo explica y todo nos lo allana.
Y sentimos el sueño que fluye hacia los párpados,
y el oído se pega a la tierra y escucha
el murmullo indecible de un tiempo que no muere.

(de Libro de la mansedumbre, 1997)


SCAVO

Tutto il giorno siamo stati inginocchiati
abbracciando la terra:
la buona terra e la terra infeconda,
quella che copre ceneri, quella che serba tesori.
Abbiamo immerso le mani nella terra più scura
e verso sera, come polvere d'oro,
l'abbiamo alzata agli occhi.

Cos'è questo profumo, la tenerezza del monte?
E di chi sono queste ossa scheggiate?
Non sono durate di più
dell'argento leggero che un tempo le avvolse;
quelle ossa che forse un giorno furono labbra
che in altre labbra mordevano l'adolescenza.

Cade il sole e noi
cadiamo abbattuti
su questa mite notte della terra
che tutto ci spiega e tutto ci chiarisce.
E sentiamo il sonno fluire verso le palpebre,
e l'orecchio attaccarsi alla terra e ascoltare
il mormorio indicibile di un tempo che non muore.



NOCTURNOS - IV

Duermes como la noche duerme:
con silencio y con estrellas.
Y con sombras también.
Como los montes sienten el peso de la noche,
así hoy sientes tú esos pesares
que el tiempo nos depara:
suavemente y en paz.

Te han llovido las sombras,
pero estás aquí, abrazando en la almohada
(en negra noche)
toda la luz del mundo.
Yo pienso que la noche, como la vida, oculta
miserias y terrores,
mas tú duermes a salvo,
pues en el pecho llevas una hoguera de oro:
la del amor que enciende más amor.

Gracias a él aún crecerá en el mundo
el bosque de lo manso
y seguirán girando los planetas
despacio, muy despacio, encima de tus ojos,
produciendo esa música
que en tu rostro disuelve la idea del dolor,
cada dolor del mundo.

Reposas en lo blanco
como en lo blanco cae en paz la nieve.
Duermes como la noche duerme
en el rostro sereno de esa niña
que todavía ignora
aquel dolor que habrá de recibir
cuando sea mujer.

Otra noche,
la nieve de tu piel y de tu vida
reposan milagrosamente al lado
de un resplandor de llamas,
del amor que se enciende en más amor.
El que te salvará.
El que nos salvará.

(de Libro de la mansedumbre, 1997)


NOTTURNO IV

Dormi come la notte dorme:
col silenzio e con le stelle.
E anche con le ombre.
Come i monti sentono il peso della notte,
così oggi senti pesare il dolore
che il tempo ci riserva:
dolcemente e in pace.

Ti sono piovute addosso le ombre,
ma sei qui, ad abbracciare nel cuscino
(nella nera notte)
tutta la luce del mondo.
Io penso che la notte, come la vita, nasconda
miseria e terrore,
ma tu dormi al sicuro,
perché hai dentro di te una fiamma d'oro:
l'amore che accende altro amore.

Grazie ad esso crescerà ancora nel mondo
il bosco dalla mitezza,
e continueranno a girare i pianeti
adagio, molto adagio, sopra i tuoi occhi,
producendo quella musica
che sul tuo viso dissolve l'idea del dolore,
ogni dolore del mondo.

Riposi sul bianco,
come sul bianco cade in pace la neve.
Dormi come la notte dorme
nel volto sereno della bambina
che ancora ignora
quel dolore che le toccherà
quando sarà donna.

Un'altra notte,
la neve della tua pelle e della tua vita,
riposano miracolosamente di fianco
a un bagliore di fiamma,
all'amore che si accende in altro amore.
Quello che ti salverà.
Quello che ci salverà.


LETANÍA DEL CIEGO QUE VE

Que este celeste pan del firmamento
me alimente hasta el último suspiro.
Que estos campos tan fieros y tan puros
me sean buenos cada día más buenos.
Que si en tiempo de estío se me encienden las manos
con cardos, con ortigas, que al llegar el invierno
los sienta como escarcha en mi tejado.

Que cuando me parezca que he caído,
porque me han derribado,
sólo esté arrodillándome en mi centro.
Que si alguien me golpea muy fuerte
sólo sienta la brisa del pinar, el murmullo
de la fuente serena.
Que si la vida es un acabar,
cual veleta, chirriando en lo más alto,
allá arriba me calme para siempre,
se disuelva mi hierro en el azul.
Que si alguien, de repente, vino para arrancarme
cuanto sembré y planté llorando por las nubes,
me torne en nube yo, me torne en planta,
que sean aún semillas mis dos ojos
en los ojos sin lágrimas del perro.

Que si hay enfermedad sirva para curarme,
sea sólo el inicio de mi renacimiento.
Que si beso y parece que el labio sabe a muerte,
amor venza a la muerte en ese beso.
Que si rindo mi mente y detengo mis pasos,
que si cierro la boca para decirte todo,
y dejo de rozar tu sangre ya sembrada,
que si cierro los ojos y venzo sin luchar
(victoria en la que nada soy ni obtengo),
te tenga a ti, silencio de la cumbre,
o a ese sol abatido que es la nieve,
donde la nada es todo.

Que respirar en paz la música no oída
sea mi último deseo, pues sabed
que, para quien respira
en paz, ya todo el mundo
está dentro de él y en él respira.
Que si insiste la muerte,
que si avanza la edad, y todo y todos
a mi alrededor parecen ir marchándose deprisa,
me venza el mundo al fin en esa luz
que restalla.

Y su fuego
me vaya deshaciendo como llama
de vela: despacio, muy despacio,
como giran arriba extasiados los planetas.

(de Tiempo y abismo, 2002)


LITANIA DEL CIECO CHE VEDE

Che il celeste pane del firmamento
mi nutra fino all'ultimo sospiro.
Che i campi così fieri e così puri
siano buoni per me, sempre più buoni.
Che se d'estate mi si infiammano le mani
con cardi, con ortiche, all'arrivo dell'inverno
li senta come brina sul mio tetto.

Che quando penserò di esser caduto
perché mi hanno atterrato,
sia solo perché mi sto inginocchiando.
Che se qualcuno mi colpisce forte
senta solo la brezza dei pini, il mormorio
della fonte serena.
Che se la vita è finire
col cigolare in alto nel cielo, banderuola,
lassù in cima mi calmi per sempre,
si dissolva il mio ferro nell'azzurro.
Che se qualcuno, inatteso, venne per strapparmi
quanto seminai e piantai implorando le nuvole,
diventi io nuvola, diventi pianta,
che i miei due occhi siano ancora semi
negli occhi senza lacrime del cane.

Che la malattia serva per curarmi,
sia l'inizio della rinascita.
Che se bacio e il labbro ha il sapore della morte,
amor vinca la morte in questo bacio.
Che se domino la mia mente e freno i miei passi
che se chiudo la bocca per dirti tutto,
e smetto di sfiorare il tuo sangue già sparso,
che se chiudo gli occhi e vinco senza lottare
(vittoria in cui nulla sono e nulla ottengo),
possa avere te, silenzio della cima,
o questo sole abbattuto che è la neve,
dove il nulla è tutto.

Che respirare in pace la musica non sentita
sia l'ultimo desiderio, ben sapete
che, per chi respira
in pace, tutto il mondo
è già dentro di lui e in lui respira.
Che se la morte insiste,
che se l'età avanza, e tutto e tutti
intorno a me sembrano andarsene di fretta,
mi vinca il mondo infine in quella luce
che crepita.

E il suo fuoco
mi disfi a poco a poco, come fiamma
di candela, adagio, molto adagio,
come girano lassù inebriati i pianeti.


pablo.luque.pinilla@gmail.com
gloria.bazzocchi@unibo.it