FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

FESTA DE "LA VIRGEN DE LA CANDELARIA" DI PUNO
Tradizioni sacre e profane sulle rive del lago Titicaca (Perù)

di Sara Piazza


Quando gli spagnoli giungono in America, portano con sé la religione ed alcuni simboli attraverso cui la religiosità si esprime: il Vangelo, la spada, la croce, i santi, le immagini di Gesù Cristo e della Vergine Maria, raffigurata quest'ultima in numerose icone e riconosciuta attraverso nomi differenti. In particolare la congregazione dei gesuiti, per disposizione dei re di Spagna e della Bolla di Papa Gregorio VIII, fu incaricata di diffondere i dogmi della religione cristiana in terra d'America e dal 1556 iniziò a rimpiazzarne gli idoli e le divinità.

La Virgen de la Candelaria rappresenta una delle immagini cristiane di Maria che giunsero dalla Spagna per evangelizzare gli indigeni e che si stabilì nel territorio su cui sarebbe poi sorta la città di Puno, a sud-est del Perù, sulle rive del lago Titicaca. Il sacerdote del luogo fece costruire in suo onore la cappella che ne custidisce l'immagine, probabilmente intagliata, in origine, in onore alla Vergine di Copacabana e poi trasferita a Puno. Nel 1562, su ordinanza del vescovo di La Paz, si fondò ufficialmente la parrocchia di San Giovanni Battista che accoglie tutt'oggi il santuario della Santissima Vergine della Candelaria.

Il nome Candelaria ha origine dalla tradizione antica di benedire le candele ripartite tra i fedeli nel giorno del 2 febbraio per ricordare l'entrata di Cristo, Luce del Mondo, nel tempio di Gerusalemme. In molti luoghi del mondo questo giorno segnava l'inizio dell'anno e in vari villaggi indigeni si mantiene l'usanza propiziatoria di benedire i semi per il raccolto. Tutti gli anni la città di Puno accoglie in questa data migliaia di visitatori nazionali e stranieri, che si recano al santuario per rendere omaggio alla Vergine e partecipano all'allegria, alle danze, alle feste che si susseguono per circa due settimane, dando vita ad uno straordinario spettacolo, certamente uno dei più grandi eventi del folklore sudamericano, al pari del Carnevale di Rio de Janeiro in Brasile o di quello di Oruro in Bolivia.

Non si sa datare con esattezza il momento in cui si inizia a rendere omaggio alla Vergine; certamente le si attribuiscono, nel XVIII secolo, intercessioni miracolose in aiuto agli spagnoli contro le invasioni ribelli, nonché una particolare protezione in favore dei minatori trasferitisi in quei territori. Da allora la tradizione ha imposto e incoronato la Vergine "Mamacha Candelaria" o "Mamita Canticha", come patrona di Puno e gli abitanti di questa regione andina hanno imparato ad adorare Maria, madre di Gesù, senza smettere di identificare in lei Pachamama, la madre della terra, portatrice di purezza e fertilità.

Il sincretismo praticato dagli inizi dell'evangelizzazione ha sottilmente sostituito la divinità andina con l'immagine della Vergine, senza distruggere o cancellare del tutto il mito della madre terra come simbolo eterno della creazione nella religiosità andina. Nell'antichità il corpo della donna veniva messo in rapporto con la luna: come la donna, la luna cambia la sua forma e riceve la luce dal sole che rimane invece immutato nell'aspetto. Anche la terra rappresentava la femmina, accogliendo i semi che in essa vengono piantati, così come la madre nutre il bimbo nel suo grembo.

Nell'arte cristiana, Maria simboleggia la luna ed è Regina del cielo indossando un manto blu spesso ricoperto di stelle. I romani consideravano la Luna e Diana come aspetti della stessa deità e così Maria fu ritenuta ugualmente Regina del cielo e della terra. Una figura materna dunque era oggetto centrale di venerazione in molte religioni: la figura della madre nella Chiesa cristiana è in realtà espressione di un concetto antico che nasce in era pre-cristiana, dalle remote tradizioni pagane.

L'adorazione alla Virgen de la Candelaria, che si celebra in quella stessa data in altri paesi ispano-cattolici, incluso Bolivia, Cile, Venezuela e Uruguay, è la conferma evidente e tangibile dell'incredibile mix tra religione cattolica e indigena: la festa, che si protrae per 18 giorni, ma i cui riti si concentrano soprattutto nella giornata del 2 febbraio, è un' esplosione di colori, misticismo, musica attraverso cui si manifesta la devozione dei fedeli e il loro ringraziamento per le benedizioni e i miracoli ricevuti durante l'anno. I devoti esternano il fervore della loro fede partecipando alle danze, che sono più di 200, e ai riti sacri in cui la pietà popolare e quella liturgica si incontrano intrecciandosi tra loro.

Nel mese di gennaio, che precede la festa, gli abitanti si riuniscono nei rispettivi quartieri per preparare le nuove coreografie e le musiche delle danze indigene che dovranno presentare; è previsto infatti un concorso a cui i vari gruppi partecipano portando in scena i balli tipici della loro città e regione. L'ultima settimana di gennaio, secondo la tradizione religiosa cattolica, i fedeli accorrono al santuario di San Giovanni per recitare il rosario, pregando di fronte alla Vergine. Il primo giorno di febbraio gli abitanti di Puno si riuniscono dalle prime ora dell'alba nel colle Azoguini, scoppiando piccoli razzi e fuochi artificiali; da lontano si percepiscono i ritmi e le sonorità della danza sicuris (dal nome del tradizionale flauto di Pan di origine india) e mentre le bande accolgono con musica le prime luci del giorno, i partecipanti degustano punch e liquori, cosicchè già al sorgere del sole il clima generale è di allegria ed euforismo.

Lo stesso giorno, l'alferado, responsabile e organizzatore monetario della festa, si reca al santuario portando i ceri e uno stendardo; lo accompagna la sua sposa, portando in braccio l'immagine del bambino Gesù, mentre una processione di fedeli li segue intonando salmi o canti religiosi. Dopo la messa solenne, nell'atrio del santuario si accendono fuochi d'artificio e si prosegue la festa a ritmo di danza. Il 2 febbraio, giorno centrale della manifestazione, la messa è celebrata dal vescovo della città; dopo di che la processione esce per le strade di Puno, accompagnata dalle autorità, da gruppi di musicisti e danzatori, da fedeli a dal pubblico.

La domenica successiva, nello stadio Torres Belón, si realizza invece il Concorso di Danze autoctone, a cui partecipano rappresentanti delle province, distretti e comunità contadine che da sempre praticano quest'arte. Lo spettacolo vuole auspicare un buon raccolto e il mantenimento della forza tellurica delle più suggestive danze aborigene, che cantano la bellezza silenziosa e solenne del paesaggio e che contribuiscono a consacrare Puno capitale del folklore peruviano. Infine, trascorsi otto giorni dal 2 febbraio, si celebra "la Octava": è la festa più sontuosa e colorata, grazie alla varietà di danze presentate e alla preziosità dei vestiti adorni di gemme e ricami d'oro o d'argento. Dopo la messa domenicale, la Vergine viene portata nuovamente in processione mentre le strade vengono prese d'assalto dal pubblico desideroso di assistere alla parata folclorica e alle danze che la accompagnano: ad esempio la diablada, ballo meticcio e ancestrale, che unisce il timore pagano per gli esseri malefici rappresentati dal Diavolo e il suo rispetto alla Vergine, con la presenza dell'Angelo che simboleggia il trionfo del bene sul male.

È a questo punto completata la rappresentazione del folclore. Il sangue quechua, aymara e meticcio sgorgano dalle radici della tradizione e riscoprono incontrandosi, il significato profondo della loro esistenza. La storia di questo popolo, erede dell'impero incaico, risulta essere imprescindibile dal mito in cui si origina, dai rituali, dalla religione, dall'espressione più popolare della sua essenza, che si celebra e si rinnova ogni anno nella festa, nel colore, nella musicalità: elementi profani dentro cui la sacralità si diffonde, trova la sua dimensione popolare e viene vissuta con una intensità e profondità tali da contribuire a caratterizzare e definire in modo inequivocabile l'identità di questo popolo e la sua irriducibile alterità.

A questo proposito trascrivo qui sotto una poesia di José Santos Chocano (Perù, 1867 - Santiago de Chile, 1935) che evoca la fusione tra i due mondi - ispanico e indigeno - e ben sintetizza il sentimento identitario di questo popolo.

    BLASÓN

    Soy el cantor de América autóctono y salvaje:
    mi lira tiene un alma, mi canto un ideal.
    Mi verso no se mece colgado de un ramaje
    Con vaivén pausado de hamaca tropical...

    Cuando me siento inca, le rindo vassallaje
    al Sol, que me da el cetro de su poder real:
    cuando me siento hispano y evoco el coloniaje
    parecen mis estrofas trompetas de cristal.

    Mi fantasía viene de un abolengo moro:
    los Andes son de plata, pero el león, de oro,
    y las dos castas fundo con épico fragor.

    La sangre es española e incaico es el latido:
    y de no ser Poeta, quizá yo hubiera sido
    un blanco aventurero o un indio emperador.


    BLASONE

    Sono il cantore d'America autoctono e selvaggio:
    la mia lira ha un'anima, il mio canto un ideale.
    Il mio verso non si culla appeso ai rami
    con lenta oscillazione di amaca tropicale...

    Quando mi sento inca, rendo omaggio
    al Sole, che mi dà lo scettro del suo potere reale;
    quando mi sento ispano ed evoco il colonialismo
    somigliano le mie strofe a trombe di cristallo.

    La mia fantasia proviene da ascendenza mora:
    le Ande sono d'argento, ma il leone, d'oro,
    e le due caste fondo con epico fragore.

    Il sangue è spagnolo e incaico è il battito;
    e se non fossi Poeta, forse io sarei stato
    un bianco avventuriero o un indio imperatore.

(dalla raccolta Alma América, 1906, traduzione di Sara Piazza)

 

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