FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

LA POESIA DI DANIELA D'ANGELO

di Alessio Brandolini



Daniela D'Angelo è nata a Trapani nel 1971 e si è laureata in Scienze politiche a Palermo, dove ha vissuto per dodici anni. Si è trasferita a Roma per seguire corsi di formazione per l'editoria e qui lavora dal 2000 come redattore editoriale ed editor. Per la poesia collabora con l'agenzia letteraria Martin Eden. La leggerezza del cuore segna il suo esordio.

Quella di Daniela D'Angelo è una poesia lavorata con calma nel corso degli anni, tessuta da un'intensa riflessione linguistica e filosofica. I suoi testi, essenziali e levigati, si caratterizzano per la scaltrezza metrica, la velocità del dettato e del ritmo, l'ironia e l'autoironia, e la capacità di scavare nel profondo senza appesantire la lettura od oscurare i significati. Per questo conservano sempre l'iniziale leggerezza del titolo della silloge, anche nelle situazioni di solitudine, abbandono, vuoto o dubbio esistenziale. Un humour dissacrante ed epigrammatico, piuttosto raro nella poesia attuale femminile, accostabile a quello di Patrizia Cavalli. Nella consapevolezza e nell'alta tensione emotiva Daniela D'Angelo sembra aver assorbito bene la lezione di Marina Cvetaeva: un verso ruvido che va in frantumi, cede, esplode, alieno alle morbidezze e ai sentimentalismi, dal suono a volte ispido, "tra frastuono e bisbiglio".




LA LEGGEREZZA DEL CUORE
silloge inedita



Daniela D'Angelo
(© Mario D'Angelo)


dai posacenere in giardino
divenuti sotto la pioggia
umide scodelle per l'acqua -
ho appreso la calma,
a riempire
e a svuotare
il cuore. così,
                      a caso
    ***
sono la parolina
che t'arriva all'orecchio
      di notte
il suono
il bisbiglio
il frastuono.
sono la nenia
che non t'addormenta
    ***
accompagno con il pensiero
la discesa dell'acqua
dall'ombrello dentro la camicetta.
cerco il telefono nella borsa
le chiavi
la maniglia
vado con calma, poi di corsa

la manica
la scolatura dell'acqua
è così che si comincia
a sentirsi fuori posto
poi si finisce
a fare l'amore
                   come capita

    ***

a mia madre

ci teniamo strette strette
simili alle pinze del bucato
le tue spallucce commoventi
quando stiri calma nel giardino
e a nulla serve canticchiare
aspettare con comodo la sera.

qualcosa avviene sempre
(che non afferro)
dall'altra parte del giardino

    ***
una curva della voce
un andare per mano: slegati,
ci deve essere stato
un battito di ciglia a destra
mentre io stavo a sinistra,
un respiro spezzato.

qualcosa che non ho capito

    ***
queste occhiaie
simili a stanze
disadorne
non si scompongono
        hanno appreso
il tempo
e la pazienza
    ***
penso al melograno
quando ti vedo
anche se hai gli occhi
scuri e una bocca
colma di promesse
che mordono sul collo
    ***
indosso una gonna arancione
affinché il mondo s'accorga di me.
ho le ciglia e le unghie dipinte
una musica che ronza nelle orecchie
un passo alla fine, alla fuga
     perfetto!

per ritrovarmi di sotto,
                                 in una buca

    ***
ho messo campanelli alle porte
caso mai dovessi tornare mentre dormo.
ho messo campanelli alle finestre
caso mai da lì tu dovessi entrare
  - potrei non accorgermene.
ho messo tagliole negli angoli
nel caso tu volessi tornare
ma con cattive intenzioni,
caso mai tu volessi dirmi
che non è più tempo di sogni.

ho messo tagliole,
e campanelli su tutte le porte

    ***
l'ho fatto una seconda volta,
l'ho fatto di nuovo.
portare via gli abiti e le maglie dai cassetti.
da rimanerci chiusa, tra le maglie
- negli anelli.
cadere in trappola senza nemmeno il gusto
della preda né del cacciatore.

rimandiamo a un momento migliore,
ti ci vuole una pausa, devi capire

ma che dici una pausa,
meglio allora morire!

    ***
il mio varco in ospedale
il mio camice verde il tuo
il mio dottore premuroso
il mio e il tuo.
       buco
       pillola
       odore
       sterile
       tutto
       sterile.

cuore, vita.
                  tutto

    ***
ad avere un passo leggero
come quando andavo incontro
al mio pomeriggio sentimentale
chi ci guadagna,
adesso che non ho
più nulla da stringere,
nemmeno un talismano?
    ***
all'indifferenza dei giorni si dispone
il tuo giardino intatto
dove ormai passeggio rare volte
come la buca delle lettere che attende
una buona notizia, una storiella
    ***
E dunque è un addio, questo
che mi avvolge
le lenzuola
e mi porge
uova alla coque col sale,
triste come un regalo
che torna indietro,
un pacchetto venuto male
    ***
come si chiama la leggerezza del cuore
la vibrazione che assomiglia a un segreto?
mentre si gira dall'altra parte, il dolore
si fa piccolo, minuscolo,
segreto.
con quale parola lo chiamo questo autunno?
mentre già il segnale è messo a punto;
è la promessa che manca alla carezza
distratta e fatta a caso, in mezzo al sonno




INTERVISTA A DANIELA D'ANGELO

La leggerezza del cuore è la tua prima silloge pubblicata su rivista, e proprio qui su "Fili d'aquilone". Eppure risulta un esordio maturo, dove nulla è lasciato al caso, ogni testo sembra sedimentato nella riflessione e nella calma, nella pazienza (che è una parola che ricorre in questi testi). Come hai iniziato a scrivere? e perché la scelta di scrivere in versi?

Non ho scelto di scrivere in versi. È accaduto. Ho scritto la prima poesia credo assolutamente per caso all'età di cinque anni, in modo naturalmente ingenuo e primitivo. Non è nata subito come scelta cosciente. Oggi scelgo di scrivere in versi perché è il modo che sento più vicino, in cui mi sento più a mio agio, l'unico che ho, che mi riesce, per dire le cose come voglio dirle. E però qualcosa rimane sempre fuori. Ogni esperienza di scrittura, forse, è l'esperienza di questo limite.

Qual è il tuo rapporto con l'ispirazione? come lavori sui tuoi testi?

L'ispirazione è un istante fulgido e urgente. Nasce improvvisamente ma non dal nulla. Da un immagine, da un suono, da un ricordo, dall'emozione che ti dà l'accostamento di due parole, nasce nella concretezza della vita, mentre fai qualcosa, mentre tocchi qualcosa. Scrivere comunque è un grande mistero e non si può dire esattamente come nasca un'immagine poetica, non sappiamo mai da dove arrivi veramente, sentiamo che arriva, che chiede di essere accolta, fissata. Possiamo solo ubbidirle. L'ispirazione è uno spiritello che ti si agita dentro, che si impossessa delle tue giornate e del tuo umore e che non ha pace né ti dà pace fino a quando non si placa sulla pagina. Ma poi questa benedetta ispirazione da sola non basta per scrivere una buona poesia, occorre lavorarci su, cancellare, riscrivere, fare riposare la scrittura per poi alla fine magari ripristinare il verso di partenza.

Scrivere è per te un processo piacevole o doloroso?

Entrambe le cose. È catartico e necessario.

Quali sono i tuo riferimenti letterari e, in modo particolare, poetici?

Soprattutto le poetesse russe del Novecento, ma anche la poesia americana: Sylvia Plath, Marianne Moore, la Bishop. Alejandra Pizarnik, Friederike Mayrocker. Tra le italiane Patrizia Cavalli, Jolanda Insana. Delle russe leggo anche le loro raccolte di lettere, i diari. Per esempio mi affascina la vita di Marina Cvetaeva, da anni raccolgo libri sulla sua storia, ne resto colpita sempre come la prima volta.

Da anni sei redattrice editoriale: in Italia si potrebbe fare qualcosa di più per la poesia?

Gli editori sono imprenditori, inseguono il profitto. La poesia vende poco e gli editori non sono interessati a pubblicarla. Questo però è un falso problema. Gli editori sono anche operatori culturali, innovano nel mercato, creano e guidano le scelte, le assecondano, certo, ma possono anche orientarle. Essere un editore illuminato significa avere una grande responsabilità.

I testi della silloge qui proposta, La leggerezza del cuore, sono intrecciati l'uno all'altro, pieni di richiami e alla fine sembra quasi una storia, un piccolo e densissimo racconto in versi con un tempo circolare. Non a caso l'ultimo verso non finisce con il punto e quello successivo inizia con la minuscola, e così vale per tutti i testi. Perché questa scelta?

Questa silloge è un diario delle emozioni, i nostri giorni vivono nella circolarità del tempo, e così il dolore e la gioia non sono episodi, tappe, puntate della vita che si dispongono lungo un tempo lineare di successione tra passato presente e futuro ma tutto avviene nello stesso momento; ciò che è accaduto e ciò che potrebbe accadere coesistono. Il dolore, la morte, la paura del futuro vengono così annullate, perché nel momento in cui soffriamo, allo stesso tempo, in un altro punto del cerchio stiamo gioendo. La scelta poetica della circolarità rispecchia questa concezione del tempo che ho ritrovato, ad esempio, nel libro di Vonnegut Mattatoio n. 5.

In questi versi c'è un forte senso di smarrimento, dove l'ironia dell'io narrante si fa autoironia e il percorso tracciato ("a caso", "come capita",) è qualcosa che non si afferra, che non si riesce a capire, con il costante rischio di finire "di sotto", "in una buca". Però mai si cede alla disperazione, l'occhio resta umido, ma non lacrima. L'autoironia si fa leggerezza: del cuore, della mente?

Di fronte al senso di smarrimento l'ironia salva dal precipizio. Quello che mi interessa raccontare è l'istante che sopraggiunge immediatamente dopo la disperazione; ecco perché il bisogno di quiete e di leggerezza. Niente è più mutevole, bizzarro e capriccioso del cuore. Quando si è dato fondo a tutte le lacrime, ci si tira su con occhi umidi e sorridendo un po' di se stessi ci si dovrebbe dire, "ma sì, che importa! andiamo avanti, magari anche a caso, qualcosa è già accaduto ma qualcos'altro accadrà ancora".

Non hai avuto fretta di pubblicare, come spesso purtroppo succede e magari poi si parte male, con raccolte sfilacciate, poco incisive. Hai lavorato molto sul senso della tua poesia, sul linguaggio e il taglio dei versi, sul pensiero che li deve sorreggere. Però ora che hai passato i trenta non pensi che sia giunto il momento di lavorare a un libro di poesia? (parlo di libro e non di raccolta perché mi sembra più appropriato alla tua scrittura).

Il tempo della scrittura è un tempo interiore che non combacia con l'età. Ci sono esordi maturi di giovani poeti e poeti maturi che emergono con lavori acerbi. Quello che conta è trovare una propria voce, una corda, non importa quando, l'importante è che vibri.

 

alexbrando@libero.it