FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

ASCOLTARE
una rubrica per le orecchie

di Federico Platania


"Fìlame Gesuccristo!". E dalla borgata del Mandrione sale una preghiera.


Mi chiedo: esiste uno scrittore del Novecento italiano che, meglio di Pasolini, abbia saputo sintetizzare, nella sua vita e nella sua opera, le due grandi categorie del sacro e del profano? È una domanda retorica e la risposta è "no". Basti pensare alla crocifissione (e conseguente morte) del sottoproletario Stracci ne La ricotta (1963, episodio del film Ro.Go.Pa.G.) per avere la prova di un Pasolini che il sacro e il profano li fa convivere a tal punto da non capire più dove inizia l'uno e finisce l'altro. E ancora il pietroso, arido, umanissimo (e dunque tanto più cristiano) Il Vangelo Secondo Matteo (1963-64).
Ma anche non limitandosi a questi titoli, noti almeno a chi si occupa di cinema, è possibile dire che tutta l'opera di Pasolini - soprattutto nei suoi slanci più spericolati, nelle invettive, nei j'accuse senza rete, nelle profezie da Cassandra (tutte puntualmente avveratesi) - è un richiamo alla sacralità della vita. Scandalizzare il pubblico per un tornaconto personale è piuttosto facile, ma prendere posizioni scomode con quell'ingenuità di cui solo i veri poeti sono capaci è una prova di autenticità che a Pasolini va riconosciuta in pieno, dalle sue posizione anti-abortiste alla difesa dei poliziotti contro gli studenti, dai capelloni che non vedono l'ora di diventare piccolo-borghesi al vagheggiamento di un ritorno a una dimensione arcadica della vita, al mito del buon selvaggio. Nel merito, si può discutere finché si vuole su ognuno di questi - e altri - punti. Ma è fuor di dubbio che Pasolini fosse sinceramente convinto di quanto sosteneva.

Mi ha stupito, qualche tempo fa, scoprire che la parrocchia nella quale mi sono sposato aveva organizzato un "Pasolini Day" in occasione del trentesimo anniversario dell'assassinio dello scrittore: un gruppo di ragazzi, guidati dal parroco, è andato in visita al Cimitero Inglese e ha dato vita a una lettura pubblica de Le ceneri di Gramsci. Poi si sono recati a Ostia, sul luogo dell'omicidio e infine, nel pomeriggio, si sono riuniti in una sala dell'oratorio per una visione collettiva del Vangelo secondo Matteo. Come mai lo scandaloso Pasolini - che andava in giro ogni notte a procacciarsi carne giovane per soddisfare i suoi irrefrenabili appetiti sessuali - è riuscito a entrare in Chiesa dalla porta d'ingresso, mentre i suoi contemporanei più morigerati (Calvino, Pavese, per dire i primi due che mi vengono in mente) non sono neanche riusciti a mettere il naso in sagrestia?

Ma io non voglio rispondere, qui, né a questa né ad altre domande. Non voglio avventurarmi in ipotesi su un autore che è vasto come un continente, come l'India, come le Americhe, che anche (e forse tanto più) dopo averlo letto in lungo e in largo mostra sempre le sue zone d'ombra, i suoi recessi impenetrabili, le sue brucianti contraddizioni. Questa è una "rubrica per le orecchie" e allora, finalmente, dopo la lunga premessa, parliamo di musica.

La Azzurra Music ha recentemente ristampato su CD un album di Grazia De Marchi originariamente pubblicato su vinile, nel 1989: Tutto il mio folle amore, una raccolta di dieci canzoni scritte proprio da Pier Paolo Pasolini. Grazia De Marchi, veronese, è una folk singer che dagli anni '70 sta compiendo un attento lavoro di ricerca nel solco della canzone d'autore1, sia italiana (Pasolini, appunto, ma anche il repertorio di Tenco e quello di oscuri canzonettisti degli anni '20 e '30) sia straniera (brani della tradizione argentina, gli inevitabili Brecht/Weill e perle dimenticate della canzone francese).

Tutto il mio folle amore contiene, tra gli altri, quel brano di struggente bellezza che è Che cosa sono le nuvole. I più attenti ricorderanno la versione originale cantata da Domenico Modugno nell'omonimo episodio del film Capriccio all'Italiana, diretto dallo stesso Pasolini. La canzone visse un piccolo revival di successo grazie alla Piccola Orchestra Avion Travel che nel loro Bellosguardo (Sugar, 1990) ne propose una cover vibrante. L'interpretazione della De Marchi, invece, è meno gridata e più toccante e mette in luce le sfumature più commoventi di questo brano.


Grazia De Marchi

Ma, per restare al tema del "sacro e profano", scorrendo l'elenco dei brani dell'album non si può non citare Cristo al Mandrione, l'accorata preghiera di una derelitta "tutta ignuda / Fracica / fin'all'ossa / de guazza" che vive tra "quattro muri zozzi" e invoca Dio dicendo "Fìlame!" (in romanesco: "guardami", "accorgiti di me"): "Fìlame, se ce sei, Gesuccristo / Io che nun so' niente / E te, Re dei Re".

Il Mandrione è una zona di Roma tra via Casilina e via Tuscolana, ma i suoi confini precisi sfuggono agli stradari: "Mandrione è prima di tutto un nome - ebbe a dire una volta lo scrittore Edoardo Albinati2 - Praticamente nessuno a Roma [...] ha una percezione chiara di questo luogo, ma il nome sì, il nome produce una strana eco e uno si ricorda di esserci stato, magari una notte, in un tour avventuroso". Ed erano davvero avventurose le esplorazioni che Pasolini compiva in questo girone di zingari e puttane, perlustrazioni condotte non certo con il distacco dell'antropologo, ma con la messa in gioco di tutto se stesso, come uomo e come poeta, in corpo e spirito.

Ma tornando all'argomento di questa rubrica: come c'era finito Pasolini a scrivere "canzonette"? "Si può dire che l'odierna canzonetta non sia che un aspetto della diffusione ideologica della classe dominante sulla classe dominata - dichiarò lo scrittore3 - Stando così le cose, non vedo perché sia la musica che le parole delle canzonette non dovrebbero essere più belle. Un intervento di un poeta colto e magari raffinato non avrebbe niente di illecito. Anzi, la sua opera sarebbe altamente raccomandabile. Personalmente non mi è mai capitato di scrivere versi per canzoni: ossia, come alla maggior parte dei miei amici, non mi si è mai presentata l'occasione. Musicisti e parolieri si sono stretti in un impenetrabile clan, si sono ben protetti dalla concorrenza (e si capisce, i diritti d'autore fruttano talvolta milioni). Quanto a me, credo che mi interesserebbe e mi divertirebbe applicare dei versi a una bella musica, tango o samba che sia".

L'occasione arriva quattro anni dopo, quando Laura Betti realizza un recital di canzoni d'autore, Giro a vuoto, che la vede interpretare brani i cui parolieri rispondono ai nomi, tra gli altri, di Arbasino, Moravia, Calvino, Bassani, Parise. E Pasolini, che contribuisce con quattro "canzonette": Macrì Teresa Detta Pazzia, Il Valzer Della Toppa, Ballata Del Suicidio e, appunto, Cristo Al Mandrione (tutti brani che fanno parte della raccolta di Grazia De Marchi, di cui si è parlato prima).

Sono queste (bellissime) canzoni la testimonianza di un Pasolini che fa pace - in qualche modo - con l'intrattenimento piccolo-borghese della canzonetta? Assolutamente no. A più riprese, l'intellettuale si scagliò contro questo mondo, soprattutto nella sua dimensione televisiva, dal Festival di Sanremo, "qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società"4, a Canzonissima: "Si polemizza perché la trasmissione è brutta. (...) Non è questione di bruttezza. È questione di volgarità. E la volgarità della televisione deriva dalla sua sotto-cultura"5, fino alla clamorosa chiamata alle armi rilasciata nel corso di un'intervista del 1974: "Bisogna andare a Canzonissima in diecimila e impedire che si faccia questa trasmissione"6.

Ho iniziato con una domanda retorica e chiudo con una domanda retorica: se quelle erano le sue idee a metà degli anni '70, cosa penserebbe Pasolini della televisione di oggi? Non rispondete, vi prego.



1 Una nota bio-discografica completa è reperibile sul sito ufficiale www.graziademarchi.com.
2 "La Repubblica" del 31 ottobre 2001.
3 "Avanguardia" n. 1, aprile 1956. Questa e le altre citazioni sono state rinvenute sul ricchissimo sito dedicato a Pier Paolo Pasolini: www.pasolini.net.
4 "Tempo", 15 febbraio 1969.
5 "Tempo", 1° novembre 1969.
6 Vedi anche: R Calabretto, Pasolini e la musica (Cinemazero, 1999).

 

federico.platania@virgilio.it