L'Argentina ha bisogno di ricordare, l'Argentina ha bisogno di riconoscere pubblicamente e fino in fondo le sue responsabilità nella realizzazione della più terribile dittatura dopo la seconda guerra mondiale. Per ora non l'ha fatto compiutamente. È quindi, a dispetto delle attuali potenzialità di sviluppo economico, un Paese "bloccato". Forse il popolo argentino ritiene che l'ultima dittatura militare sia un problema interno e che il resto del mondo debba rimanerne fuori, per cui si può limitare a una sorta di rimozione collettiva, uno sbrigativo occultamento dei "panni sporchi" e della "guerra sporca". Ma prima o poi quel gesto dovrà compierlo, la memoria torna sempre e ogni volta si fa più dolorosa. È vero che nessun organismo internazionale, dopo la caduta del regime militare, ha fatto pressioni affinché si aprisse - al cospetto del mondo - una nuova Norimberga, ma questo non è un segno di disinteresse e di mancata partecipazione ai sentimenti dei parenti delle vittime del genocidio. Va spiegato, invece, con il sostegno attivo degli Stati Uniti al governo Videla e ai suoi metodi criminali, con il silenzio - per ragioni di carattere commerciale - dell'Unione Sovietica, le due potenze che sconfissero il nazismo. C'è stato un processo a Buenos Aires, che si è concluso con la condanna all'ergastolo dei tre dittatori (Videla, Massera e Agosti), ma i provvedimenti di amnistia del governo Menem hanno cancellato il momento più alto che il Paese aveva saputo esprimere. Dopodichè, al di là dell'instancabile ronda del giovedì da parte delle Madres di Plaza de Mayo, il popolo argentino ha chiuso ancora una volta gli occhi sull'orrore. In ogni caso, anche per le paure del precedente governo Alfonsìn, erano finiti alla sbarra i soli vertici militari, non l'intera classe dirigente che ha governato il Paese tra il '76 e l'83, com'era necessario. Il 24 marzo prossimo cadrà il trentennale del golpe Videla. Chi aveva vent'anni allora, oggi ne ha cinquanta. Ma buona parte di chi aveva vent'anni allora non ha potuto compierne neppure ventuno. La maggioranza dei 30mila desaparecidos eliminati dal regime erano studenti e lavoratori di quell'età, gente che militava semplicemente nella Juventud peronista e che raramente aveva contatti con i guerriglieri dell'Erp e con i Montoneros. La guerra - poi detta "guerra sporca" - dichiarata dal potere militare nei confronti dell'opposizione politica ha avuto "regole" che sono andate al di là di qualsiasi precedente repressione, fino ad emulare i metodi del regime hitleriano attraverso il ricorso scientifico alla tortura e con la creazione di una rete di campi clandestini di concentramento dai quali si sono salvati in pochissimi. "La situazione in Argentina non è diversa da quella in Germania sotto il nazismo", diceva allarmato ai suoi referenti politici in Italia l'allora console italiano a Buenos Aires, Enrico Calamai. Nel più assoluto anonimato e con tutte le coperture necessarie, gli sgherri del regime militare argentino hanno sequestrato studenti, uomini politici, avvocati, giornalisti, scrittori, hanno torturato, violentato, ucciso, derubato, espropriato case, fatto sparire i corpi in mare, rapito bambini. Ma nessuno ha pagato, nessuno - ad eccezione dell'ex tenente Adolfo Scilingo, condannato nel 2005 a oltre mezzo secolo di carcere dal tribunale di Madrid - ha parlato. Il primo marzo 2006 uscirà il mio libro "Mujeres. Storie di donne argentine", edito da Manifestolibri. Ogni storia ha per protagonista una donna. Sono donne molto diverse l'una dall'altra, ognuna rappresenta un problema, un caso, una situazione che dà il segno dell'Argentina di oggi. Succede, tuttavia, che ognuna di queste storie risulti inevitabilmente attraversata, direttamente o indirettamente, dalla tragedia dei desaparecidos. È anche questa una prova che il bubbone degli anni della dittatura non è stato inciso in profondità e che il problema non è superato. Tra le storie che racconto ci sono quelle di Nadia Vicentini Ricny, un'anziana madre di plaza de Mayo di origine italiana, e di Elisa Tokar, una delle poche sopravvissute alla Esma, la Scuola di meccanica della Marina militare di Buenos Aires, che ospitò il più grande centro di detenzione e tortura del Paese e che oggi il presidente argentino Nestor Kirchner intende finalmente trasformare in un Museo della Memoria (il giorno dell'annuncio, due anni fa, Kirchner si accorse che alle pareti della scuola era ancora appeso un ritratto del generale Videla). "La più giovane di noi ha 78 anni, la più anziana ormai 92 e sono 28 anni di lotta, ventotto anni. Quelli là pensavano che dopo qualche mese ci saremmo stancate e saremmo tornate nelle nostre case. Sono stata arrestata due volte, ma sono andata sempre avanti", dice Nadia nel suo racconto. La quale ha visto scomparire alla Esma suo figlio e sua nuora. "Tutte le volte che sono malata - racconta - e non me la sento di alzarmi per andare alla marcia del giovedì penso a quella povera ragazza e alla forza che ha dimostrato sotto tortura per non parlare. E allora mi alzo". Elisa, invece, è riuscita a sopravvivere. Per anni si è portata dentro un atroce senso di colpa, quello della sopravvissuta. Poi si è accorta che doveva liberarsi da quella morsa e con altre quattro donne uscite vive dall'Esma ha registrato le sue memorie, ora diventate un libro, pubblicato anche in Italia da Stampa Alternativa con il titolo "Le reaparecide". Ecco che cos'è l'Argentina: un Paese dove la memoria viene continuamente compressa, ma che inevitabilmente riemerge ogni volta con più forza.
Riccardo De Gennaro, Mujeres. Storie di donne argentine (in uscita il 1° marzo, Manifestolibri)
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