
Dentro di me ci sono mille io,
ognuno che combatte per emergere, ma nessuno vince.
Antonin Artaud
Documentario
Chi sei?
Chi non sei?
Un campo magnetico disperso
tra la sillaba e l’abisso?
E la bocca non sa
se parlare a se stessa
o al fiume e ai suoi affluenti.
Scena transitoria
Non hai nulla da dire, nulla.
Non sai perché sei qui.
Non sai nemmeno se sei qui.
Divertissement di ballare
nel giardino del tuo sosia distratto.
Oh le brevi giornate
Dimentichi sempre
qualcosa da qualche parte.
Ti si intravede
tra i denti delle foglie
nei riflessi dello stagno.
E non conosci il significato dell’erba rara
dello spazio tra i nervi
del vivere da lontano.
Coagulo d’aria
Lì,
ma non lì
qui
laggiù
ma non del tutto
laggiù.
Ovunque.
Qualcuno crede di conoscere.
Quale ombra sa
di camminare sull’orlo della falesia?
Metamorfosi
Spora che sfugge
al microscopio,
frammento di un vociare lontano
smarrito nelle viscere del bosco.
Tanto qui quanto laggiù
L’identità è una ferita,
un taglio che segna il confine tra l’essere e il nulla
Maria Zambrano
Ogni giorno cambi nome.
Accade più volte al giorno.
Non hai nulla da dire,
allora
perché parli?
Per abitudine?
Per pigrizia?
Per paura del silenzio?
Che cosa accade quando parli, puoi descrivere?
Avanti.
Descrivi.
Puoi descrivere?
Segnali
Punti i riflettori
sui tuoi labirinti
sul sistema immunitario dell’anima.
Combatti sintomi che cambiano
proporzioni ad ogni stagione.
Verticali (forse)
Appena si annuncia una sillaba
ti scuoti con la certezza
che le parole restino
in piedi.
Nuove rose
piccoli soldati
colonne
o pali della luce.
Del suicidio (1)
Io sono verticale, ma preferirei essere orizzontale.
Sylvia Plath
Prende quella via
d’autunno
senza
preoccuparsi
delle foglie.
Del suicidio (2)
Essere è sentirmi divisa
tra ciò che sono e ciò che non raggiungo.
Antonia Pozzi
La notte scavalca
i testimoni della scena.
Perché il ritmo
ha cambiato direzione?
Perdono.
Siamo impegnati a capire.
Perdono.
Siamo nello stupore
di non capire,
nessun volto assomiglia
all’assenza.
Non è dato
leggere
all’interno di una testa.
Per prima cosa
Vai nella stanza segreta
nel giorno dei segreti.
Movimenti l’aria,
nient’altro.
Inventi il deserto
rovesci parole
che non irrigano nulla
se non
il suono della tua voce.
Arrivano momenti
La memoria
nasce con la tramontana.
Discontinua produzione.
Suona il corno
dei passati orizzonti
nell’incerta stagione.
Questa la regola,
questo il rebus!
E se fosse un finto dono?
Estiva
L’estate pensiamo:
il mare non è
un lenzuolo strappato
e neppure
l’unico modo
per andare alla boa.
Dati alla mano
Per così poco,
davvero
per così poco
resisti al tempo e alle tempeste.
Un sole bianco ti accende.
Non un fiammifero,
non un fuoco nel camino.
Un sole.
Prima introverso
poi sorridente
che non sbaglia il tuo nome.
Un soccorso da invocare.
In gesto di mano
Tieni le parole immobili
in fondo al palato
‒ lampi di lungimiranza ‒.
Allentare la presa:
questione di un attimo.
Scegli sillabe che sobbalzano
che ti acidificano la lingua
che si sollevano,
si alzano,
dispiegano le ali.
Disciplina
Forse a non nascere
dovresti allenarti.
In questa esatta
data d’assenza
torneresti alla nuvola.
Alla nuvola senza occhi
senza odore.
Esercizi
Urli.
Grido muto.
Non stai in piedi
ma nemmeno ti accasci.
Se non stai in piedi
che cosa fai?
Galleggi?
Disarticolato?
Stringi le impugnature
del mondo senza colori?
Non dire tutto del bosco.
Promemoria
Leggi:
idea senza forma.
Se idea senza forma
dunque ombra o spasmo.
Se sei ombra o spasmo,
dunque:
frattura?
sventura?
furia?
Completo smarrimento?
Alienazione
Spazio
tra i nervi,
vuoto
che rosicchia la gola.
Ogni parola:
lama,
ogni silenzio:
pietra.
Per non parlare poi di…
Ma quante amanti
ma quante avventure
ma adesso non è l’ora
ma adesso purtroppo
l’imbarazzo è rimasto!
Insomma tu fosti lascivo peccatore
che nelle notti più lascive chiedeva
racconti barbari ‒ barbari e lascivi ‒
e immagini ‒ lascive ‒ da postribolo.
E quello era il modo,
la maniera giusta per avvicinare
il fiore chiaro
che non chiedeva tour de force?
Strumenti
Lucia Joyce
La mia danza è un mosaico di frammenti, e nel ritmo trovo l'unica unità.
(Intervista del 1928)
Hai cercato
la lieve sfumatura
di un passaggio d’arpa
e ti ritrovi
con frustate di tamburi
ripieni di tarli
proprio ora
che il ritmo è ridotto a poltiglia
proprio ora
che hai smesso di ballare.
Nel discontinuo
Io non sono mai stata una sola persona.
Sono tutte quelle che mi hanno abitata.
Marguerite Yourcenar
Ti insinui
come rosa maculata
tra le fenditure del reale,
dove nulla respira e
tutto sanguina.
Sei tu?
Sei tu?
Sei tu?
Sarà,
ma non è mai la stessa cosa.
Ad ogni mondo
Sei il bagliore
in fondo alla ferita
La ferita non esiste
senza il bagliore che guarisce.
Il nero
inghiotte la luce
nel pieno della mente
al porticato del mattino.
Identikit del fantasma
Dimmi, ti ricordi
della tua forma?
Del tuo respiro?
O sei già qualcos’altro?
Un fruscio d’ali senza uccello,
un rantolo nel suo diminuendo.
A te che perdi i documenti
Non vivi:
laceri,
spargi frammenti di te
nella geografia.
Ritrovamenti
E consumi il giorno
tra le schegge di uno specchio
che si sgretola.
Eppure, sei qui.
Consapevole.
Per dire che
sei qui,
consapevole.
A te che non sai chi sei
Fratello, sorella,
scriviamo con ciò
che non sappiamo
e ciò che non sappiamo
ci sovrasta ci annienta.
I viaggi esotici,
tanto esotici quanto inutili, ricordi?
Le foto delle piazze e dei monumenti, ricordi?
Ti servirà in purgatorio
l’inglese come lingua di veicolazione?
À jamais perduti
in chi siamo
a foresta d’errore
a Terra di difficile identificazione.
A te, lettore
Capelli occhi
naso
labbra.
Mosaico sparso
sullo spigolo del tavolo,
nell’indomestica cucina.
Identikit incompleto!
A te, lettore
il compito di disegnare il volto,
e dopo il volto la figura
la silhouette ‒ a detta dei francesi ‒.
A te, lettore tocca muovere
storia e destinazione
di questo fragile viandante
nel profilarsi di papaveri e soffioni.
Altri indizi non abbiamo,
il resto è nei tuoi occhi.
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