FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 66
marzo 2024

Inverno

 

BARBARA KORUN, ODORE UMANO

di Giancarlo Cavallo



Barbara Korun è senza dubbio, nel novero delle poetesse slovene contemporanee, la più originale e affermata. Lo testimoniano gli importanti premi nazionali ed esteri ricevuti, le molteplici traduzioni in libri e riviste, le frequenti tournée all’estero, l’inclusione delle sue poesie in antologie slovene e straniere. (Per approfondirne la conoscenza è possibile leggere, tra l’altro, sul numero 13 – gennaio/marzo 2009 – di questa rivista un’ampia silloge e alcune sue “Riflessioni sulla poesia”, a cura di a cura di Jolka Milič).

Per la sua seconda opera pubblicata in Italia la Korun ha voluto un titolo diverso da quello originale, così Vmes (Nel mezzo) è diventato Odore umano. Tuttavia, i due titoli si integrano nel presentare alcuni tra i principali nuclei tematici della raccolta; infatti, con questo libro l’autrice immette il lettore in una dimensione precaria, di passaggio reale e simbolico (“Di nuovo smania di scrivere, quando non sono più qua e non sono ancora là”, Partenza da Kiev, p. 41). Sono dunque i “Nonluoghi” (come li definisce Marc Augé in un suo noto saggio) lo scenario in cui è prevalentemente ambientata la raccolta: aeroporti, stazioni, sale d’aspetto, camere d’albergo. Ma anche campi di transito dei migranti in cui l’autrice ha vissuto l’esperienza indelebile del volontariato, che ha determinato la scelta del titolo italiano. “Ma Barbara Korun in molte poesie di questo libro fa di più: si osserva mentre vive queste reti di relazioni, queste varie situazioni, amplificando in tal modo lo straniamento. E questo osservare se stessa nella dinamica relazionale che innesca fughe e introspezioni, si insinua nella complessa relazione fra sé e il mondo.” (da In transito: semplici rimedi per un male irrimediabile, prefazione, pp. 6-7).

In Odore umano il tasso di letterarietà è stato ridotto al minimo a favore di quello di realtà, così come l’asprezza sembra prevalere sulla dolcezza. In molti testi l’autrice sembra quasi voler dissimulare la poesia, nascondendola sotto la veste di una cronaca quotidiana. Ma attenzione: ogni volta che andiamo a rileggerli, i suoi versi ci rivelano qualcosa di nuovo, di inaspettato, che va ben oltre il racconto e giunge a profondità insospettabili. Il dialogo, la scrittura, la riflessione, componenti primarie della poesia di Barbara Korun, propongono al tempo stesso un argine e una rivoluzione: un argine al dilagare dell’assuefazione al disastro morale e ambientale in atto; una rivoluzione data dal cambiare completamente punto di vista, rimettendo al centro quanto di più fragile e prezioso ci sia, cioè la vita nella sua semplice complessità.

Nel libro sono inseriti anche due monologhi (da Monologi 2013){1} in posizione molto significativa: quasi a metà (p. 67) Medea dopo l’uccisione dei suoi figli - Reggia di Creonte, Corinto, tempo mitico, e come finale il monologo Hannah Arendt riferisce sul processo di Eichmann - Gerusalemme, Israele, maggio 1962 (p. 149) a evidenziare il valore di dichiarazione di poetica attribuito a quest’ultimo. Non a caso in questi monologhi l’autrice dà voce a due donne che, pur nella loro sostanziale, antitetica diversità (mito vs realtà, in estrema sintesi), sono accomunate da una eccezionale “problematicità”, fonte di inquietudine e di crisi. Sono sguardi femminili su un mondo che si disgrega e a cui è così difficile restituire una forma coerente. “No, la poesia non basta./ Ma proprio lei è la sorgente della luce/ che riesce a rendere il male visibile./ Solo grazie alla sua esattezza/ riesco a separare gli strati della/ realtà personale da quella comune,/ seguire l’inconcepibile apparente/ rapporto tra cause e effetti.” (Hannah Arendt …, cit., pag. 149).



{1}Un’ampia selezione è tradotta in italiano nella seconda parte di Voglio parlare di te Notte– Monologhi, traduzione di Jolka Milič, Multimedia, Salerno 2014.


Barbara Korun, Odore umano, cura e traduzione dallo sloveno di Jolka Milič, prefazione di Giancarlo Cavallo, Multimedia edizioni, Salerno 2021, pagg. 160, euro 15,00.




POESIE DI BARBARA KORUN
da Odore umano


ČAKALNICA NA LETALIŠČU V BEOGRADU

Na letališču v Beogradu v nekem redkem trenutku, ko lahko
premagam otrplo sovražnost do same sebe in s tem do sveta in
začnem govoriti o svojem belem mehkem trebuhu kot o nekakšni
čudni, zmečkani gobi z luknjo v sredini, kot o mlahavem testu, za
katerim lahko samo slutim vretje zastrupljenih sokov, kar sem uzrla
v ogledalu s priprtimi očmi in z neznanskim odporom. Potem je tu
neznosno skeleča srbeča koža, suha, da padajo od rok in nog dolge
krpice kože, in boleča na dotik, pod njo pa drobne žilice temno
rdeče in vijolične barve, razpokanine tudi od znotraj. Čudno ljubeče
gnusen je ta odnos, in vendar me pogled na hrbtno stran mojih
rok, iz katerih izstopajo plave žile, skoraj spravi v ekstazo. Kot bi
nemirno preverjala, ali grem po pravi poti, in se hotela prepričati,
ali bo moja koža kmalu tako pergamentna kot prej babičina in zdaj
očetova.


SALA D’ASPETTO ALL’AEROPORTO DI BELGRADO

All’aeroporto di Belgrado in un raro momento in cui riesco a vincere
la rigida avversione verso me stessa e di conseguenza verso il mondo
e mi metto a parlare della mia pancia bianca e flaccida come di
qualche strano fungo spappolato con un buco al centro, simile a
pasta frolla dietro la quale posso solo presagire il ribollire di succhi
tossici, che ho scorto allo specchio ad occhi socchiusi con immensa
riluttanza. Inoltre la pelle insopportabilmente pruriginosa e bruciante,
così secca che dalle braccia e dalle gambe si staccano lunghi strati
di epidermide, e se la tocchi ti fa male, striata da esili venuzze di
colore rosso scuro e viola, e screpolature anche all’interno. È strana,
affettuosamente nauseante questa relazione, eppure la vista del
dorso delle mie mani, dalle quali risaltano le vene azzurre, mi mette
quasi in estasi. Come se controllassi ansiosa se vado per la giusta via
volendo convincermi che la mia pelle ben presto sarà diafana com’era
dapprima la pelle della nonna e ora quella di mio padre.


ČAKALNICA V ZDRAVSTVENEM DOMU

Ni se še zdanilo, a prostor, osvetljen z umetno lučjo, je poln starih,
uvelih ljudi. Kar je grozljivo, niso njihova zanemarjena telesa brez
zavedanja, ampak duša – prazen, otopel pogled, zapičen v neko
točko na tleh ali v brezplačen katalog cenene trgovinske verige.
Spomnim se na prizor v kletki z gorilami v wuppertalskem živalskem
vrtu – koliko bolj žive, čeprav bolj obupane, poblaznele od zločina,
ki se jim godi, zaprtim v majhen prazen prostor brez sončne svetlobe.
Globina njihovih oči. Popolna prisotnost, čeprav v krutem. Tu pa
razpadajoča snov brez duha, telesno udobje brez drobca resnice.
Potem skoz prostor zavaluje hoja na visokih petah: prišla je zdravnica,
mlada in lepa kot boginja – pogledi so polni vere v odrešitev.


SALA D’ASPETTO ALL’AMBULATORIO

Non si è fatto ancora giorno, ma la sala rischiarata da luce artificiale
è piena di gente vecchia, sfiorita. Ciò che spaventa non sono i loro
corpi trasandati e incoscienti, ma l’anima – lo sguardo vacuo, ottuso,
puntato a terra o nel catalogo gratis di qualche catena commerciale
a buon mercato.
Mi viene in mente la scena nella gabbia dei gorilla dello zoo di Wuppertal
− quanto più vivi sebbene più disperati, resi pazzi dal misfatto
che subivano, esser rinchiusi in un esiguo spazio vuoto, privo di luce
solare. La profondità dei loro occhi. Presenza totale, anche nella
crudeltà. Qui invece materia in sfacelo, senza spirito, comfort
senza un briciolo di verità.
In seguito attraversa la sala l’incedere di un’onda di passi su tacchi
alti: è arrivata la dottoressa, giovane e bella come una dea − gli
sguardi sono colmi di fiducia nella salvezza.


NISEM PESNICA

In v hotelu s 4 zvezdicami za 55 evrov zdaj
ležim v postelji, čisto zmehčana od kopeli
(tako lepo se sliši, kopel), gledam dva delavca
na vrhu sosednje hiše, kot na nekakšni terasici
malicata, čepita obrnjena drug k drugemu
in jesta, na glavah imata rdeči čeladi, jasno
lahko vidim, kako sendviča trgata z usti
(torej imata slabe zobe ali slabo
oziroma nikakršno zobno protezo).
Pomislim – kako drugačen bi bil tale
pogled na reko Savo, ko bi jih imela dvajset.
Bi sploh opazila ta dva možaka in to, da sta
prej z rokami preko iz desk improviziranega
škripca zvlekla na streho ogromne količine
korcev, folije, lesa in vsega drugega?

Najraje bi se zavila
v tople rjuhe in odmislila dan in vse
odmislila in spala, neskončno spala,
in potem bi se zbudila v lep, normalen svet,
s prijaznimi ljudmi, ki bi vsi skrbeli drug
za drugega in druga za drugo, brez vojn,
brez beguncev, brez lačnih in ranjenih,
brez zastrašenih, ujetih in mučenih,
brez izdanih in pobitih.

Tako pa ne bom. Počasi se bom oblekla
in šla pogledat, kakšno je tu okrog življenje.


NON SONO UNA POETESSA

E nell’hotel a 4 stelle adesso per 55 euro
me ne sto a letto, ammorbidita dal bagno
(che bel suono ha la parola bagno), guardo due operai
sul tetto della casa vicina, fanno merenda come
su un terrazzino, mangiano accovacciati
l’uno verso l’altro, con in testa un casco rosso,
riesco a vedere chiaramente che strappano i panini
con la bocca (allora avranno denti guasti o qualche
dentiera scadente o sono del tutto privi di protesi dentaria).
Penso − sarebbe totalmente diversa questa vista sul
fiume Sava, se avessi vent’anni. Mi sarei accorta
di questi due uomini, che prima, a
braccia, da una improvvisata carrucola di travi hanno
tirato sul tetto un’enorme quantità di tegole, di lamine,
legno e tanto altro materiale?

Mi piacerebbe immensamente avvolgermi
nelle lenzuola calde e astrarmi dal giorno e
da tutto il resto, dormire senza limiti e dopo
destarmi in un mondo bello e normale, con
persone gentili che si prendono cura l’una dell’altra,
vicendevolmente, un mondo senza guerre,
senza fuggiaschi, senza affamati e feriti,
senza spaventati, prigionieri e seviziati,
senza traditi e trucidati.

Ma non succederà. Mi vestirò pian pianino
e me ne andrò in giro a vedere qui come si vive.


*

Leževa v isto posteljo,
ampak potem se odpraviva
vsak v svojo smer.
Med nama se kopičijo rjuhe
in deke kot neprehodna gorovja.
Včasih pod njimi izkopljeva
tunel, skozenj potisneva roko
kot utapljajoči se iz vode.
Nihče naju ne reši.
Samo včasih
se zjutraj znajdeva
z roko v drugi roki
in jo budna spet
sramežljivo
potegneva k sebi.


*

Ci sdraiamo entrambi nello stesso letto,
ma poi andiamo
ognuno dalla propria parte.
Tra noi si accumulano le lenzuola
e le coperte come montagne invalicabili.
Talvolta scaviamo un tunnel
attraverso il quale solleviamo un braccio
dall’acqua come due che stanno annegando.
Nessuno ci salva.
Solo a volte
ci ritroviamo all’alba
con la mano in un’altra mano
e da svegli
timidamente
la ritraiamo.





Barbara Korun
è nata nel 1963 a Ljubljana in Slovenia dove tuttora risiede. Laureata in slavistica e letterature comparate, docente di lettere presso le scuole superiori della capitale slovena, saggista, critico letterario e teatrale, ma soprattutto poeta, ha lavorato anche in alcuni teatri sloveni con l’incarico di curare il linguaggio e l’interpretazione artistica degli attori. Nel 1999 pubblica con la casa editrice Mladinska knjiga di Ljubljana la raccolta di poesie Ostrina miline (La scabrosità della dolcezza), premiata come miglior opera prima. Nel 2003 il Circolo editoriale Apokalipsa di Ljubljana dà alle stampe la sua seconda opera, questa volta di prose poetiche, Zapiski iz podmizja (Scritti da sotto il tavolo). L’anno successivo vede la luce la sua terza silloge Razpoke (Spaccature), presso l’editrice Nova revija. Nel 2011 di nuovo il circolo editoriale Apokalipsa pubblica Pridem takoj (Vengo subito), grazie al quale ha vinto il premio Zlata ptica (L’uccello d’oro) per la letteratura e il premio Veronika. Nel 2014 pubblica la raccolta Čečica (Turbata d’amore), nel 2016 Vmes (In mezzo) e nel 2021 Idiorhythmia.
È presente in numerose antologie nazionali e internazionali ed è tradotta in ventiquattro lingue. È stata invitata a Cork in Irlanda e ad Essen in Germania, capitali europee della cultura rispettivamente nel 2005 e nel 2010, quale rappresentante poetica della Slovenia. Organizza letture di poetesse slovene ed è attiva nella promozione della poesia nelle scuole slovene.
Ha partecipato a “Il cammino delle comete” (Pistoia) nel 2005 e agli Incontri di Sarajevo nel 2006, a “La poesia resistente. Napolipoesia” nel 2010, “La poesia resistente” a Baronissi nel 2015, “Le molte lingue della poesia” a Desenzano del Garda nel 2019.
È del 2013 il suo primo libro italiano Voglio parlare di te notte. Monologhi, tradotto da Jolka Milič e pubblicato dalla Multimedia Edizioni. Nel 2016 ha ricevuto il “Premio internazionale Casa della poesia – Regina Coppola”. Nel 2020 ha ricevuto il Premio per la Pace, assegnato dalla sezione femminile del Centro sloveno PEN.
Negli ultimi anni ha lavorato come volontaria nei campi profughi in Slovenia.


gccaval@gmail.com